CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 30 luglio 2018, n. 20096
Tributi – Verifica della Guardia di Finanza – Accesso ai locali ad uso esclusivamente abitativo – Autorizzazione del Procuratore della Repubblica – Motivazione – Necessità di gravi indizi di violazione tributaria – Denuncia anonima – Valore indiziario – Esclusione – Inutilizzabilità ai fini dell’accertamento – Annullamento dell’atto impositivo
Fatti di causa
La Guardia di Finanza, previa autorizzazione del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Trento, eseguiva una verifica fiscale nei confronti della ditta individuale “C.R.”, esercente l’attività di ristorante-bar e pizzeria, rinvenendo nel locale destinato ad abitazione privata documentazione relativa all’esercizio commerciale; sulla scorta di tale documentazione, l’Agenzia delle Entrate emetteva avvisi di accertamento e di rettifica ai fini del recupero a tassazione di maggiori introiti ai fini Iva, Irpef ed Ilor per gli anni d’imposta 1996 e 1997.
La contribuente proponeva distinti ricorsi, eccependo la illegittimità degli atti impositivi per carenza del presupposto dei gravi indizi di violazione di norme tributarie richiesto dalla legge per l’accesso domiciliare, il difetto di motivazione del decreto del Procuratore della Repubblica di Trento che l’aveva autorizzato, la mancanza dei presupposti previsti per l’accertamento induttivo dei redditi e la infondatezza della pretesa fiscale.
La Commissione tributaria di primo grado, previa riunione dei ricorsi, li respingeva e, a seguito di gravame, la Commissione tributaria di secondo grado di Trento, con sentenza n. 5/05 del 11.3.2005, confermava parzialmente la decisione impugnata, ritenendo che la richiesta di autorizzazione all’accesso domiciliare fosse sorretta da circostanze integranti gravi indizi di violazione delle norme tributarie e che tutti gli accertamenti fossero sufficientemente motivati, oltre che fondati, in ragione dei documenti di contabilità parallela rinvenuti presso l’abitazione della contribuente che giustificavano il ricorso al metodo induttivo ai fini della determinazione del reddito d’impresa; accoglieva l’appello della contribuente con riguardo alla censura concernente il mancato riconoscimento in deduzione dei costi.
Avverso la suddetta decisione ricorreva per cassazione l’Agenzia delle Entrate, mentre la contribuente proponeva ricorso incidentale.
Con sentenza n. 10568/10, questa Corte, accogliendo il secondo motivo del ricorso incidentale, cassava la sentenza impugnata, ritenendo fondata la denuncia di omessa motivazione della sentenza nella parte in cui aveva respinto la censura di illegittimità del provvedimento del Procuratore della Repubblica per mancanza di motivazione, e rinviava la causa ad altra sezione della Commissione tributaria di secondo grado di Trento.
A seguito di riassunzione del giudizio, la Commissione tributaria di secondo grado di Trento, in sede di rinvio, respingeva l’appello della contribuente, osservando che la richiesta di accesso avanzata dalla Guardia di Finanza e l’autorizzazione del Pubblico Ministero erano rispettose delle condizioni prescritte dall’art. 52 del d.P.R. n. 633/72 e che non erano condivisibili le contestazioni relative alla dedotta insussistenza dei requisiti di gravità degli indizi citati nella richiesta della Guardia di Finanza, in quanto era stata rinvenuta, nel locale ad uso privato, contabilità parallela dalla quale si evinceva la reale situazione contabile dell’attività di ristorazione.
Rilevava, altresì, che gli atti di accertamento erano motivati e, quanto alla deducibilità dei costi non contabilizzati, che la contribuente non aveva fornito prova della esistenza di ulteriori poste negative da riconoscere in deduzione.
C.R. propone ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi, cui resiste l’Agenzia delle Entrate mediante controricorso.
Motivi della decisione
1. Preliminarmente, va dichiarata l’inammissibilità del ricorso proposto nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze.
1.1. In tema di contenzioso tributario, a seguito del trasferimento alle agenzie fiscali, da parte dell’art. 57, comma 1, del d.lgs. 30 luglio 1999, n. 300, di tutti i “rapporti giuridici”, i “poteri” e le “competenze” facenti capo al Ministero dell’Economia e delle Finanze, a partire dal primo gennaio 2001 (giorno di inizio di operatività delle Agenzie fiscali in forza dell’art. 1 del d.m. 28 dicembre 2000), unico soggetto passivamente legittimato è l’Agenzia delle Entrate, sicché è inammissibile il ricorso per cassazione promosso nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze (Cass. n. 1550 del 28/01/2015).
2. Con il primo motivo del ricorso, la contribuente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 52 del d.P.R. 633/1972, 33 del d.P.R. 600/1973, 132 cod. proc. civ., 118 disp. att. cod. proc. civ. e 384 cod. proc. civ., nonché omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in quanto la Commissione regionale, confermando la legittimità dell’autorizzazione emessa dal Procuratore della Repubblica, sebbene esclusivamente fondata su informazioni anonime, non avrebbe dato risposta alla doglianza con la quale si lamentava la mancanza di motivazione del decreto autorizzativo emesso in data 7/1/1998 e non avrebbe spiegato quali fossero i gravi indizi di violazione tributaria legittimanti la perquisizione domiciliare, la cui mancanza era stata allegata a sostegno della prospettata illegittimità degli atti accertativi impugnati.
2.1. La censura di violazione di legge formulata dalla ricorrente merita accoglimento per le ragioni che di seguito si precisano.
2.2. La doglianza, fatta valere dalla ricorrente fin dall’atto introduttivo del giudizio, è stata respinta dalla Commissione tributaria di secondo grado, che sul punto ha motivato: “In riferimento alla questione della presunta illegittimità degli accertamenti per violazione delle disposizioni di cui all’articolo 52 d.p.r. 633/72, come richiamato dall’articolo 33 del d.p.r. 600/73, si deve rilevare che la Contribuente, nel proprio atto di appello in riassunzione, ribadisce le doglianze relative all’asserito vizio di motivazione della sentenza di secondo grado con particolare richiamo alla contestata illegittimità del provvedimento autorizzatorio rilasciato dalla Procura della Repubblica di Trento. Parte appellante, nello specifico, deduce un ritenuto difetto di motivazione dell’autorizzazione del Procuratore della Repubblica ad accedere ai locali debito di privata, nonché la carenza di gravi motivi della relativa richiesta della Guardia di Finanza perché, secondo parte contribuente, basata su presunte “informazioni anonime”. La scrivente Commissione, in considerazione degli atti depositati nel presente giudizio, compresi la richiesta della Guardia di Finanza, che l’autorizzazione del P. M. competente, soddisfino integralmente le condizioni prescritte dall’articolo 52 del d.p.r. 633/72 in quanto, seppur sinteticamente, contengono ogni elemento richiesto dalla normativa vigente in materia. Parimenti non condivisibili sono le contestazioni relative alla ritenuta non sussistenza dei requisiti di gravità degli indizi citati nella richiesta della Guardia di Finanza in quanto il principale di detti indizi (la custodia documentazione relativa ditta in locali ad uso privato) è stato di fatto provato con il rinvenimento, proprio nell’abitazione privata, di contabilità parallela, che, con elementi di preciso riscontro, dimostrava la reale situazione contabile dei ricavi del reddito dell’attività di ristorazione svolta da parte contribuente. Un tanto premesso si ritiene di condividere l’operato della Commissione tributaria di secondo grado precedentemente adita che, seppur con motivazione ritenuta non sufficientemente approfondita dalla Corte di Cassazione, ha riconosciuto le circostanze della manomissione del registratore di cassa, degli acquisti effettuati in nero ed appunto dell’indicazione riferita aliunde come capaci di integrare degli estremi di gravità tali da consentire “incognita causa” il rilascio dell’autorizzazione all’accesso nella dimora privata di parte Appellante. Da rilevare, peraltro, che anche nella non ritenuta ipotesi di irregolarità dell’acquisizione di detti documenti, ciò non potrebbe condurre alla loro inutilizzabilità….”.
2.3. Va, in primo luogo, precisato che in tema di accertamento delle imposte, questa Corte ha precisato che “l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica all’accesso domiciliare, prescritta in materia di Iva dall’art. 52 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (e necessaria anche in tema di imposte dirette, in virtù del richiamo contenuto nell’art. 33 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600), in quanto sottesa all’acquisizione degli elementi di riscontro della supposta evasione fiscale, al fine di evitarne l’occultamento o la distruzione, è contraddistinta da un largo margine di discrezionalità, da cui discende il carattere necessariamente sintetico della relativa motivazione: l’obbligo motivazionale deve pertanto ritenersi assolto nel caso in cui risultino indicate la nota e l’autorità richiedente, con la specificazione che il provvedimento trova causa e giustificazione nell’esistenza di gravi indizi di violazione della legge fiscale, la cui valutazione deve essere effettuata “ex ante” con prudente apprezzamento” (Cass. 9565 del 23/4/2007).
Va, altresì, ricordato che il primo comma dell’art. 52 del d.P.R. n. 633 del 1972, il quale attiene all’accesso nei locali adibiti all’esercizio di attività commerciale, agricola, artistica o professionale, ovvero ad uso promiscuo, si limita a richiedere, rispettivamente l’autorizzazione del capo dell’ufficio e quella del Procuratore della Repubblica, senza fissare specifici presupposti, trattandosi di “mero adempimento procedimentale, la cui ratio è individuabile nell’opportunità che la perquisizione trovi l’avallo di un’autorità gerarchicamente o funzionalmente sovraordinata”, mentre con il comma 2, attinente all’accesso in locali diversi da quelli indicati nel precedente comma, cioè in locali ad uso esclusivamente abitativo, si richiede, invece, anche in considerazione del fatto che l’autorizzazione trova base logica nell’art. 14 Cost., sull’inviolabilità del domicilio, non solo l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica, ma anche la sussistenza di “gravi indizi di violazione tributaria”, previsione questa che conferisce “all’autorizzazione medesima la portata, non di semplice nulla-osta da parte di un organo superiore, bensì di provvedimento valutativo della ricorrenza nella concreta vicenda di specifici presupposti giustificativi dell’ingresso nell’abitazione” (Cass. n. 26829 del 18/12/2014).
2.4. Le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 16424 del 21/11/2002, hanno avuto modo di precisare che “…il giudice tributario, in sede d’impugnazione dell’atto impositivo basato su libri, registri, documenti ed altre prove reperite mediante accesso domiciliare autorizzato dal Procuratore della Repubblica, ha il potere-dovere, oltre che di verificare la presenza nel decreto autorizzativo di motivazione (sia pure concisa, o per relationem mediante recepimento dei rilievi dell’organo richiedente), circa il concorso di gravi indizi del verificarsi d’illecito fiscale, anche di controllare la correttezza in diritto del relativo apprezzamento, nel senso che faccia riferimento ad elementi cui l’ordinamento attribuisca valenza indiziarla…” e che una diversa lettura della norma in esame aprirebbe dubbi di costituzionalità, atteso che “…l’evidenziata natura dell’autorizzazione dell’accesso domiciliare, quale rilevante compressione del diritto all’inviolabilità del domicilio subordinata alla ricorrenza di ipotesi predeterminate, comporrebbe, infatti, seguendo la tesi della insidacabilità dell’apprezzamento del Procuratore della Repubblica sul verificarsi in concreto di dette ipotesi, possibile violazione dell’art. 113 della Costituzione…”.
Affrontando la questione se sia o meno legittimo il provvedimento che ravvisi indizi in notizie anonime, provenienti da persone non identificate, le Sezioni Unite hanno dato risposta negativa, spiegando che “…nella disciplina civilistica delle prove, operante anche nei rapporti e nel processo tributario in difetto di esplicite o implicite deroghe, la nozione d’indizio è ricavabile dagli artt. 2727 e ss. cod. civ….”, e che “l’indizio non è prova, nemmeno presuntiva, in quanto si esaurisce nella cognizione di un accadimento diverso da quello da dimostrare, in sé non sufficiente per desumere il verificarsi di tale fatto da dimostrare secondo parametri di rilevante probabilità logica (id quod plerumque accidit)”.
Hanno quindi sottolineato che “la notizia (verbale o scritta) di fonte non individuata e non individuabile non può assurgere a dignità d’indizio” e che “l’accesso all’abitazione non può essere il primo atto ispettivo dopo una denuncia anonima, occorrendo un minimo d’indagine e di riscontro, per acquisire la cognizione di fatti, sia pure dotati di semplice valore indiziario”, puntualizzando pure che “la soluzione non può mutare se la dichiarazione anonima o confidenziale di fonte non identificata risulti a posteriori attendibile, in ragione del rinvenimento presso il domicilio del contribuente delle prove della violazione in base ad essa ipotizzate, dato che la legge consente la perquisizione solo se l’inchiesta dell’ufficio tributario (o della guardia di finanza) sia già pervenuta a risultati definibili come gravi indizi (cioè abbia raggiunto un quid pluris rispetto alla mera ipotesi dell’infrazione tributaria), e quindi esprime un inequivoco rifiuto per l’ingresso autoritativo nell’abitazione del contribuente a titolo meramente esplorativo, vale a dire allo scopo di accertare fatti al momento totalmente sconosciuti o prospettabili sulla scorta di pura supposizione..”.
Infine, le Sezioni Unite, con la sentenza richiamata, con riguardo agli effetti dell’illegittimità del provvedimento di autorizzazione dell’accesso domiciliare, se adottato senza motivazione, ovvero con motivazione giuridicamente erronea (come quella che qualifichi indizio la denuncia anonima), hanno concluso nel senso dell’inutilizzabilità a sostegno dell’accertamento tributario delle prove reperite mediante la perquisizione, derivando detta inutilizzabilità non da una espressa disposizione sanzionatoria, ma dalla regola generale secondo cui l’assenza del presupposto di un procedimento amministrativo infirma tutti gli atti nei quali si articola.
2.5. Nel caso di specie, la Commissione regionale con la sentenza impugnata non si è uniformata ai principi di diritto enunciati dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 16424 del 2002, richiamati al paragrafo 2.4).
3. Con il secondo motivo – deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 42 d.P.R. 633/72, 54 e 56 d.P.R. 633/72, nonché omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, la contribuente sostiene che i giudici di secondo grado hanno apoditticamente affermato che “…tutti gli atti impositivi emessi dall’Ufficio sono pienamente motivati secondo la normativa vigente”.
4. Con il terzo motivo, deducendo la violazione e falsa applicazione degli artt. 39 del d.P.R. 600/73, 55 del d.P.R. 633/72 e dell’art. 2727 cod. civ., nonché omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione, la ricorrente censura la sentenza nella parte in cui si afferma che i due quaderni ritrovati nell’abitazione privata rappresentano una cd. contabilità parallela.
5. Con il quarto motivo, denunciando violazione e falsa applicazione di norme di diritto, con riferimento all’art. 75 del d.P.R. n. 917/86, nonché omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione, la ricorrente sostiene che la sentenza debba essere cassata anche nella parte in cui ha escluso la deducibilità dei costi non contabilizzati.
6. Con il quinto motivo si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 91, 92 e 132 cod. proc. civ., nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, per avere il giudice di appello condannato la contribuente al pagamento delle spese del giudizio di rinvio e di quelle relative al giudizio di legittimità, senza tenere conto dell’esito favorevole alla contribuente del giudizio di legittimità in forza dell’accoglimento del secondo motivo del ricorso incidentale dalla stessa formulato.
7. L’accoglimento del primo motivo del ricorso consente di ritenere assorbiti gli altri mezzi di ricorso.
In conclusione, in accoglimento del primo motivo di ricorso, la sentenza deve essere cassata con rinvio della causa alla Commissione tributaria regionale di secondo grado di Trento, in diversa composizione, per il riesame, nonché per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze; accoglie il primo motivo del ricorso proposto da C.R. e dichiara assorbiti i restanti motivi; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Commissione tributaria regionale di secondo grado di Trento, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
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