CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 30 luglio 2020, n. 16354
Iva – Esenzione – Acquisti strumentali allo svolgimento di attività – Ospedalizzazione e cure mediche – Applicabilità dell’agevolazione
Fatti di causa
1. La CENTRO DI S. S.P.A. propose ricorso, innanzi alla C.T.P. di Roma, avverso il silenzio rifiuto formatosi sull’istanza di rimborso, per i periodi di imposta 2003-2006, dell’I.V.A. corrisposta in relazione agli acquisti strumentali allo svolgimento di attività (nella specie, ospedalizzazione e cure mediche) esentate dal relativo pagamento.
2. La C.T.P. accolse il ricorso con sentenza 125/60/12, avverso la quale l’agenzia delle entrate propose appello innanzi alla C.T.R. del Lazio; quest’ultima, con sentenza 372/22/13, depositata il 14.11.2013, accolse il gravame osservando – per quanto in questa sede ancora interessa – che “non tutti gli acquisti di beni effettuati da parte di un soggetto che pone in essere operazioni esentate [sono] esentati dall’IVA con conseguente diritto al rimborso…l’esenzione si [può] applicare unicamente alla rivendita di beni preliminarmente acquistati da un soggetto passivo per le esigenze di una attività esentata…se l’IVA versata in occasione dell’acquisto iniziale di detti beni non abbia formato oggetto di un diritto a detrazione” e, dunque concludendo per l’inapplicabilità di tale principio al caso – ricorrente nella specie – di acquisto di cespiti necessari all’esercizio dell’attività esentata svolta dalla contribuente.
3. Avverso tale decisione la centro di S. s.p.a. in liquidazione ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, il secondo ed il terzo dei quali scomposti in sottocensure. Si è costituita ed ha resistito con controricorso I’agenzia delle entrate.
4. Le parte ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo parte ricorrente lamenta (in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.), la violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 cod. civ., per avere la C.T.R. erroneamente disatteso l’eccezione di giudicato esterno sollevata da essa contribuente con riferimento alla sentenza n. 206/32/06 con la quale la C.T.P. di Roma, in accoglimento delle istanze di esso CENTRO DI S., aveva riconosciuto il diritto al rimborso I.V.A. per i periodi di imposta 2000-2002.
1.1. Il motivo è inammissibile.
1.2. Ed infatti, parte ricorrente ha omesso di trascrivere, in ricorso, il precedente della C.T.P. invocato a titolo di giudicato esterno, così precludendo al Collegio (per difetto di specificità del motivo, ex art. 366, comma 1, n. 6, cod. proc. civ.) di valutare la effettiva portata del comando giudiziale contenuto in tale decisione, in relazione alla concreta estensibilità delle conclusioni ivi raggiunte al presente giudizio. D’altra parte costituisce principio consolidato di questa Corte quello in virtù del quale l’interpretazione del giudicato esterno può essere effettuata anche direttamente dalla Corte di cassazione con cognizione piena, nei limiti, però, in cui il giudicato sia riprodotto nel ricorso per cassazione, in forza del principio di specificità di questo mezzo di impugnazione, con la conseguenza che, qualora l’interpretazione che abbia dato il giudice di merito sia ritenuta scorretta, il ricorso deve riportare il testo del giudicato che si assume erroneamente interpretato, con richiamo congiunto della motivazione e del dispositivo, atteso che il solo dispositivo non può essere sufficiente alla comprensione del comando giudiziale (cfr., da ultimo, Cass., Sez. L, 8.3.2018, n. 5508, Rv. 647532-01).
2. Con il secondo motivo parte ricorrente si duole (in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ.) dell’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione in relazione alla ritenuta inefficacia, rispetto al presente giudizio, del giudicato rappresentato dalla sentenza n. 206/32/06 della C.T.p. di Roma.
2.1. Il motivo è inammissibile sotto diversi profili.
2.2. Anzitutto va evidenziato che, trattandosi di ricorso per cassazione proposto avverso una sentenza della C.T.R. depositata il 14.11.2013, trova applicazione l’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., nella formulazione novellata dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv. con mod. dalla l. n. 134 del 2012 (cfr. Cass., Sez. U, 7.4.2014, n. 8053, Rv. 629829-01): ciò, però, implica, quale conseguenza della riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione, che è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuti in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali, esaurendosi tale anomalia nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (cfr. Cass., Sez. U, 7.4.2014, n. 8053, cit., Rv. 629830-01).
2.2. A quanto precede aggiungasi che il motivo si palesa inammissibile per difetto di specificità (ex art. 366, comma 1, n. 6, cod. proc. civ.), non avendo parte ricorrente trascritto il precedente della C.T.P. invocato a titolo di giudicato esterno, così precludendo al Collegio – anche sotto tale ulteriore aspetto – di valutare l’effettiva portata del comando giudiziale contenuto in tale decisione, in relazione alla concreta estensibilità delle conclusioni ivi raggiunte al presente giudizio.
3. Con il terzo motivo, infine, parte ricorrente lamenta (in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.) la violazione e falsa applicazione dell’art. 13, parte b), lett. c) della sesta direttiva del Consiglio CEE n. 388 del 17.5.1977 (nonché dell’art. 107 del T.F.U.E. e dell’art. 20 della Carta di Nizza), per avere la C.T.R. limitato l’applicazione dell’esenzione ivi prevista alla sola ipotesi di rivendita dei beni destinati all’esercizio di un’attività esente e non anche al caso di primo acquisto.
3.1. Il motivo è infondato.
3.2. La Corte di Giustizia si è pronunciata sulla tematica sollevata con il motivo in esame con ordinanza del 6 luglio 2006, emessa nelle cause riunite C-18/05 e C-155-05, precisando che:”la prima parte dell’art. 13, parte B, lett. c), della sesta Direttiva … dev’essere interpretata nel senso che l’esenzione da essa prevista si applica unicamente alla rivendita di beni preliminarmente acquistati da un soggetto passivo per le esigenze di un’attività esentata in forza del detto articolo, in quanto l’imposta sul valore aggiunto versata in occasione dell’acquisto iniziale dei detti beni non abbia formato oggetto di un diritto a detrazione“. In sostanza, dunque, l’esenzione prevista dall’art. 13, parte B, lett. c), della sesta Direttiva, recepita nell’ordinamento nazionale dall’articolo 10, n. 27-quinquies, del d.P.R. n. 633/1972 (cd. decreto IVA), va applicata solo nei confronti di coloro che – non avendo potuto detrarre l’IVA corrisposta al momento dell’acquisto del bene in ragione del regime di esenzione applicabile all’attività dagli stessi svolta – successivamente decidono di rivendere a terzi detto bene.
3.3. Tale interpretazione, peraltro, non solo è corroborata dall’evoluzione della normativa unionale (dall’1.1.2007, infatti, la Direttiva n. 77/388/CEE è stata sostituita dalla Direttiva n. 2006/112/CE, nella quale, all’articolo 136, lettera a, la nuova formulazione della disposizione già contenuta nell’art. 13 in questione, è tale da non concedere più alcun dubbio interpretativo), ma è stata altresì recepita dalle Sezioni Unite di questa Corte con sentenza 17.4.2009, n. 9142 (massimata, però, sotto altro profilo. Cfr., per quanto in questa sede interessa, il § 5 della motivazione) e con sentenza 23.12.2009, n. 27207, Rv. 611202-01, cui hanno fatto seguito, tra le altre Cass., Sez. 5, 6.5.2015, n. 9160 (non massimata), Cass., Sez. 5, 10.4.2015, n. 7209 (non massimata) e, da ultimo, Cass., Sez. 5, 24.2.2016, n. 360 (anch’essa non massimata ed alla cui motivazione si rinvia, quale precedente specifico, ex art. 118 disp. att. cod. proc. civ.), la quale non solo si dilunga sulla irrilevanza, ai fini che in questa sede interessano, dei principi affermati dalla Corte di Giustizia nella sentenza del 25.6.1997, in causa C-45/95 (richiamata dalla società ricorrente ai fini del chiesto rinvio pregiudiziale), ma affronta funditus, altresì, la questione della conformità al diritto comunitario (oltre che a Costituzione) di tale interpretazione – con conseguente irrilevanza del chiesto rinvio pregiudiziale.
4. In conclusione il ricorso va rigettato, con condanna della società ricorrente al pagamento, in favore dell’AGENZIA delle entrate, in persona del Direttore p.t., delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il centro di S. s.p.a. in liquidazione, in persona del legale liquidatore p.t., al pagamento, in favore dell’AGENZiA delle entrate, in persona del Direttore p.t., delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in € 4.000,00 (quattromila/00), oltre spese prenotate a debito.
Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del CENTRO DI S. S.P.A. IN LIQUIDAZIONE, in persona del liquidatore p.t. dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, se dovuto.
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