CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 30 maggio 2018, n. 13677
Sussistenza del rapporto di lavoro agricolo – Accertamento – Onere della prova – Iscrizione negli elenchi anagrafici – Cancellazione
Fatti di causa
1. Con sentenza n. 7460 del 2011, la Corte d’appello di Bari ha confermato la sentenza del Tribunale di Foggia di accoglimento della domanda proposta da A.D.S. nei confronti dell’ I.N.P.S. tesa all’accertamento dell’effettiva sussistenza del rapporto di lavoro agricolo intercorso nell’anno 2001 per 106 giornate con la soc. coop. agricola San Leonardo ed alla condanna dell’INPS alla nuova iscrizione del medesimo ricorrente negli elenchi anagrafici nominativi degli operai a tempo determinato del comune di residenza, posto che l’INPS aveva disconosciuto la sussistenza del rapporto ed aveva cancellato la relativa iscrizione.
2. La Corte territoriale, pur riconoscendo che la giurisprudenza di legittimità ha qualificato come diritto la posizione dell’interessato tesa ad ottenere l’iscrizione negli elenchi anagrafici ed il giudizio ad esso relativo come fondato sul rapporto e non sull’atto di cancellazione con ciò escludendosi che possa procedersi alla disapplicazione dell’atto di cancellazione, ha affermato l’inapplicabilità dell’art. 1, comma 136, della legge n. 311 del 2004 – ritenuto dal primo giudice idoneo a fissare in tre anni il termine finale per l’esercizio dell’attività di autotutela di cancellazione d’ufficio – prospettando al tempo stesso l’eventualità di valutare la legittimità della cancellazione per violazione dell’art. 21 novies della legge n. 240 del 1991. La Corte di merito ha poi affermato che la cancellazione travolge l’accertamento relativo ai requisiti di legge per l’iscrizione ed assume carattere negativo e vincolato con la conseguenza che, in caso di contestazione giudiziale, il giudice ordinario giudica sul rapporto e sull’esistenza degli elementi costitutivi del diritto; il lavoratore ha l’onere di provare i fatti che costituiscono il fondamento della propria domanda di accertamento ma detto onere si atteggia in modo peculiare nei giudizi di cancellazione o mancata iscrizione conseguenti ad accertamenti ispettivi presso il datore di lavoro in ragione del titolo rappresentato dalla pregressa iscrizione che può essere annullato solo con l’uso legittimo dell’azione amministrativa di disconoscimento.
3. Quindi, in tali fattispecie, è l’INPS onerato di provare il carattere simulato o fittizio del rapporto già riconosciuto nelle forme di legge, mentre il lavoratore ha solo l’onere di confutare tali conclusioni, trattandosi di esercizio del potere di autotutela da parte dell’INPS, derivato dall’azione di controllo sulle denunce dei privati. Nella concreta fattispecie, I’INPS non ha assolto al proprio onere della prova giacché si è limitato ad una generica contestazione in ordine alla sussistenza del rapporto di lavoro, non essendo all’uopo sufficiente l’accertamento compiuto sulla regolarità dell’attività svolta dal datore di lavoro e non sul lavoratore.
Per la cassazione della sentenza l’INPS ha proposto ricorso, affidato a due motivi. G.D.S. non ha svolto difese.
Ragioni della decisione
1. Il primo motivo di ricorso deduce violazione e o falsa applicazione dell’art. 12 del Regio decreto 24 settembre 1940 n. 1949 e dell’art. 4 del d.lgs. n. 59 del 1948, dell’art. 9 quinquies del d.l. 1 ottobre 1996 n. 510 conv. con modif. in l. n. 608 del 1996, dell’art. 2697 cod. civ. e vizio di motivazione.
Il ricorrente deduce l’erroneità della sentenza laddove ha attribuito all’INPS l’onere di provare la fondatezza del proprio operato e cioè della cancellazione dalle liste anagrafiche del lavoratore agricolo, seppure a seguito di accertamento ispettivo relativo alla posizione del datore di lavoro.
2. Con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 12 del Regio decreto 24 settembre 1940 n. 1949, dell’art. 4 del d.lgs. 23 gennaio 1948 n. 59, dell’art. 9 quinquies del d.l. n. 510 del 1996 convertito con modif. in I. n. 608 del 1996, dell’art. 2697 cod. civ. e vizio di motivazione. Il ricorrente deduce che, una volta posta correttamente la regola del riparto dell’onere probatorio, il lavoratore avrebbe dovuto provare l’esistenza, la durata, la natura onerosa e la subordinazione del rapporto di lavoro agricolo. Ciò non è accaduto ed in più è stata omessa la valutazione dei contenuti del verbale ispettivo che il ricorrente riproduce.
3. Il ricorso è fondato. I due motivi, strettamente connessi, vanno trattati congiuntamente perché la loro disamina presuppone la definizione del sistema delle tutele giudiziarie derivanti dall’atto di cancellazione dagli elenchi dei lavoratori agricoli adottato dall’Inps a seguito dei controlli ispettivi espletati per accertare l’effettiva sussistenza dei rapporti di lavoro che fungono da presupposto per l’iscrizione del lavoratore agricolo nei relativi elenchi. Si contrappongono, in sostanza, la pretesa dell’iscritto nell’elenco dei lavoratori agricoli a rimanere tale, e l’obbligo dell’Istituto di imporre il rispetto della regola della effettività dell’attività connessa all’ iscrizione assicurativa; si tratta di posizioni giuridiche non legate ad alcun interesse legittimo né ad alcuna discrezionalità amministrativa, giacché all’espletamento dell’attività agricola subordinata corrisponde il diritto all’iscrizione, senza alcuna ulteriore valutazione discrezionale da parte dell’amministrazione, per cui è evidente che non si possa inquadrare la fattispecie in esame nell’ ipotesi della disapplicazione dell’atto amministrativo illegittimo ai sensi dell’art. 5 all.to E della legge n. 2284/1865, ponendo a base della disamina la disciplina dell’annullamento in autotutela ed in genere della legge n. 240 del 1991 che riguardano l’attività amministrativa in senso stretto.
4. Questa Corte di cassazione, in particolare, ha affermato ripetutamente il principio secondo il quale l’iscrizione di un lavoratore nell’elenco dei lavoratori agricoli svolge una mera funzione ricognitiva della relativa situazione soggettiva e di agevolazione probatoria, che viene meno qualora l’I.N.P.S., a seguito di un controllo, disconosca l’esistenza del rapporto di lavoro, esercitando una propria facoltà (che trova conferma nel d.lgs. n. 375 del 1993, art. 9) con la conseguenza che, in tal caso, il lavoratore ha l’onere di provare l’esistenza, la durata e la natura onerosa del rapporto dedotto a fondamento dei diritto all’iscrizione e di ogni altro diritto consequenziale di carattere previdenziale fatto valere in giudizio” (cfr. Cass. 10096 del 2016, nonché anche Cass. nn. 27144, 27145 del 19 dicembre 2014; Cass. 26949 del 19 dicembre 2014; Cass. n. 25833 del 5 dicembre 2014; Cass., n. 23340 del 3 novembre 2014). Ha trovato, quindi, conferma quanto già affermato dalle Sezioni unite di questa Corte n. 1133 del 26 ottobre 2000 e nn. 1186, 1187 e 1188 del 17 novembre 2000 secondo cui “il rapporto giuridico assicurativo nei confronti dell’ente previdenziale sorge come diretta conseguenza di un’attività di lavoro, subordinata o autonoma svolta da un determinato soggetto: l’attività lavorativa, quindi, costituisce il presupposto (o l’elemento) essenziale per la nascita del rapporto”; tuttavia in taluni casi la legge prevede, per la nascita del rapporto, la presenza di ulteriori presupposti.
5. Così per il lavoro in agricoltura lo svolgimento di un minimo di giornate lavorative nell’anno deve essere certificato dall’iscrizione negli elenchi nominativi di cui al R.D. 24 settembre 1940 n. 1949 che ha stabilito la compilazione per ogni comune di elenchi nominativi dei lavoratori subordinati dell’agricoltura, distinti per qualifiche, con il relativo compito di accertamento affidato dapprima a commissioni comunali, quindi attribuito agli Uffici provinciali SCAU (Servizio per i contributi agricoli unificati). La disciplina è stata successivamente modificata dal D.L. n. 7 del 1970, convertito, con modificazioni, nella legge n. 83 del 1970, che, tra l’altro, ha affidato la compilazione di detti elenchi a commissioni locali della mano d’opera agricola, appositamente costituite presso gli uffici locali di collocamento, poi sostituite da altri organi per effetto delle successive disposizioni che hanno apportato ulteriori modifiche al sistema di accertamento e riscossione dei contributi in agricoltura. Nella materia è, quindi, intervenuto il d.lgs. n. 375 del 1993 (che ha, in particolare, riformato il sistema dei ricorsi amministrativi). Allo SCAU (soppresso dall’art. 19 della legge n. 724/1994) è, poi, subentrato l’I.N.P.S. (art. 9 sexies del D.L. 1/10/1996 n. 510 conv. con modif. nella legge n. 608/1996).
6. Richiamando le suddette pronunce a Sezioni unite, va tenuta presente la regola generale posta dall’art. 2697, primo comma, cod. proc. civ., secondo cui l’onere della prova del fatto costitutivo del diritto grava su colui che agisce in giudizio per far valere una determinata pretesa nei confronti della controparte. Pertanto, il lavoratore che domandi l’erogazione della prestazione previdenziale deve dimostrare di avere esercitato un’attività di lavoro subordinato per un numero minimo di giornate nell’anno di riferimento e la prova deve essere sempre fornita mediante il documento che dimostra l’iscrizione negli elenchi nominativi (senza che, com’è ovvio, possa essere impedito alla parte di dedurre ulteriori mezzi per fondare il convincimento del giudice), essendo tuttavia sempre possibile che la prestazione previdenziale venga chiesta in giudizio anche in assenza di iscrizione negli elenchi nominativi (in tal caso il ricorrente, sul quale grava ogni onere probatorio, potrà chiedere contestualmente la declaratoria giudiziale del suo diritto a tale iscrizione ovvero chiedere che il relativo accertamento avvenga incidentalmente, al solo fine della pronuncia sulla prestazione previdenziale per cui agisce).
7. Se poi è vero che l’iscrizione negli elenchi ha la funzione di rendere certa la qualità di lavoratore agricolo, conferendole efficacia nei confronti dei terzi, la stessa non integra una prova legale – salvo che per quanto concerne la provenienza del documento stesso e i fatti che il pubblico ufficiale attesta essere avvenuti in sua presenza o essere stati da lui compiuti – costituendo, alla stregua di qualsiasi altra attestazione proveniente dalla pubblica amministrazione, una risultanza processuale che deve essere liberamente valutata dal giudice.
Ne deriva che, quando contesti l’esistenza dell’attività lavorativa o del vincolo della subordinazione, l’ente previdenziale ha l’onere di fornire la relativa prova, cui l’interessato può replicare mediante offerta, a sua volta, di altri mezzi di prova; con l’ulteriore conseguenza che, se la prova (contraria) viene data mediante la produzione in giudizio di verbali ispettivi – i quali, a loro volta, essendo attestazioni di fatti provenienti da organi della pubblica amministrazione, sono soggetti al medesimo regime probatorio sopra illustrato per l’iscrizione negli elenchi (cfr. Cass. Sez. un. 3 febbraio 1996, n. 916 e numerose successive conformi) – l’esistenza della complessa fattispecie deve essere accertata mediante la comparazione e il prudente apprezzamento di tutti i contrapposti elementi acquisiti alla causa.
8. Nel caso in esame, tenuto conto di tutte le considerazioni svolte, deve essere negativamente valutata la decisione impugnata in quanto ha operato la ricostruzione sistematica della concreta fattispecie, che è relativa a diritti soggettivi totalmente devoluti alla cognizione del giudice ordinario della previdenza, applicando i principi relativi al sindacato del giudice ordinario nei confronti dell’attività amministrativa ed, inoltre, in quanto ha affermato che l’iscrizione negli elenchi nominativi (considerata, al punto c) della pag. 6, come espressione di una presunzione legale di legittimità ed, a pag. 7, come asserzione precisa e puntuale del lavoratore) mantenga in sostanza una presunzione di legittimità che non può essere superata dall’ente previdenziale attraverso gli esiti ispettivi contenuti in un verbale di accertamento della irregolarità della conduzione aziendale dell’asserito datore di lavoro in quanto soggetto diverso dal lavoratore.
9. Ciò è errato giacché, come questa Corte ha ripetutamente affermato nei precedenti sopra ricordati, da parte dell’Inps può essere offerta la prova contraria dell’esistenza del rapporto di lavoro risultante dagli elenchi anche mediante la produzione, come nel caso di specie (allegato pure in questa sede di legittimità a garanzia di sufficiente specificità del motivo di ricorso), del verbale del 24 novembre 2004 – redatto da propri ispettori – dal quale l’Istituto trae elementi concreti a sostegno della denuncia del carattere simulato del rapporto di lavoro agricolo, derivanti: dalla documentazione verificata durante l’accesso ispettivo e cioè nel modello unico 2001, dal bilancio di esercizio 2001 relativo all’anno 2000, dalle fatture di acquisti e vendite dal dicembre 1999 al dicembre 2000, dalle visure catastali presso UTE, dai contratti di conferimento dei soci non registrati e dalla dichiarazione del presidente p.t. della Cooperativa San Leonardo attestanti l’inattività della stessa sin dall’anno 2000.
A fronte di tale concreta ed articolata situazione processuale, la sentenza impugnata non ha proceduto al confronto delle fonti di prova concretamente richieste ed offerte dalle parti ma ha mantenuto il giudizio su basi di mero confronto tra astratte presunzioni, privilegiando immotivatamente quella a favore del lavoratore relative all’espletamento di 106 giornate lavorative nell’anno 2001.
10. Il ricorso deve essere, quindi, accolto e la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione alle censure accolte, con rinvio della causa ad un altro giudice, che si designa nella Corte di appello di Bari in diversa composizione e che, nella concreta valutazione del materiale istruttorio ritualmente acquisito, dovrà uniformarsi al seguente principio di diritto: « L’iscrizione di un lavoratore nell’elenco dei lavoratori agricoli svolge una funzione di agevolazione probatoria che viene meno qualora l’INPS, a seguito di un controllo, disconosca l’esistenza del rapporto di lavoro, esercitando una propria facoltà (che trova conferma nel D.Lgs. n. 375 del 1993, art. 9) con la conseguenza che, in tal caso, il lavoratore ha l’onere di provare l’esistenza, la durata e la natura onerosa del rapporto dedotto a fondamento del diritto all’iscrizione e di ogni altro diritto consequenziale di carattere previdenziale fatto valere in giudizio».
Il giudice di rinvio dovrà provvedere anche sulle spese della presente fase del giudizio. Non ricorrono le condizioni, atteso l’accoglimento del ricorso, per il pagamento del contributo di cui all’art. 13, comma 1 quater, del d.p.r. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Bari in diversa composizione che regolerà anche le spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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