CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 30 ottobre 2018, n. 27566
Tributi – Accertamento – Reddito d’impresa – Frode carosello – Operazioni soggettivamente inesistenti
Fatti di causa
1. Con sentenza n. 100/22/2011, depositata in data 16 dicembre 2011, non notificata, la Commissione tributaria regionale del Piemonte, rigettava l’appello proposto da G.R. nei confronti dell’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, avverso la sentenza n. 70/01/2010 della Commissione tributaria provinciale di Asti che aveva rigettato il ricorso proposto dal contribuente avverso l’avviso di accertamento n. T7L013500533/2009 con il quale l’Ufficio, previo p.v.c. della Guardia di Finanza, aveva contestato a quest’ultimo, titolare di ditta individuale esercente la attività di commercio di autoveicoli, per l’anno 2004, ai fini Irpef, Irap e Iva, un maggior reddito di impresa per indebita deduzione di costi e detrazione di Iva in relazione ad operazioni ritenute soggettivamente inesistenti relative all’importazione intracomunitaria di autoveicoli per il tramite di società “cartiere” fittiziamente interposte all’effettivo cedente comunitario.
1.1. La CTR, in punto di diritto, per quanto di interesse, ha osservato che:l) dall’esame dell’atto di accertamento era emerso che le società A.C. s.r.l., C. s.r.l., P.C. s.r.l. avevano emesso fatture “fittizie”, non essendo dotate di una organizzazione di impresa, e non avendo versato l’iva che era stata ripartita con il cliente tramite vendite sottocosto; 2) il contribuente, avendo avuto contatti commerciali con le dette società, “non poteva non sapere” che le stesse dopo avere svolto le operazioni soggettivamente inesistenti non versavano l’iva; 3) il contribuente non aveva fornito la prova della buona fede, non essendo quest’ultima desumibile dall’effettiva consegna della merce ovvero dal versamento del corrispettivo; 4) il fatto che l’accertamento aveva tratto origine da precedenti controlli nei confronti di altri soggetti non aveva inciso sul diritto di difesa del contribuente, essendo stato quest’ultimo invitato a produrre relativa documentazione probatoria; 5) l’Ufficio aveva emesso l’accertamento, ai sensi dell’art. 39, comma 1, lett. d) del d.P.R. n. 600 del 1973, rettificando il reddito di impresa risultante da elementi incompleti, falsi e inesatti indicati nella dichiarazione; 6) l’atto di accertamento era stato notificato, a mezzo servizio postale in data 9 settembre 2005, con conseguente possibilità di difesa da parte del contribuente; 7) l’atto di accertamento poteva essere sottoscritto oltre che dal Capo dell’Ufficio anche da un impiegato delegato della carriera direttiva.
2. Avverso la sentenza della CTR, G.R. propone ricorso per cassazione affidato a undici motivi, cui resiste, con controricorso, l’Agenzia delle entrate.
3. G.R. ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c. insistendo per l’accoglimento del ricorso.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., la insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza impugnata in ordine ad un fatto controverso e decisivo per il giudizio, non avendo la CTR argomentato in modo sufficiente – limitandosi a sub-dichiarazioni di “giudizio statico” – in ordine al motivo di appello concernente l’assunto difetto di motivazione e di prova dell’accertamento con il quale era stato contestato il coinvolgimento del contribuente in una vicenda di c.d. “frode carosello”.
Ha, in particolare, osservato che: a) aveva eccepito, sia in primo che in secondo grado, che le operazioni definite “soggettivamente inesistenti” erano state descritte dalla stessa Agenzia delle Entrate senza indicazione o individuazione di un diverso cedente delle autovetture, con la conseguenza che doveva ritenersi che tutte le operazioni fossero effettivamente avvenute; b) la Agenzia delle Entrate non aveva fornito prova degli assunti richiamati nell’avviso di accertamento; c) le affermazioni contenute nella sentenza e poste a fondamento della decisione erano state tratte dall’avviso di accertamento, sicché la motivazione era apparente, e non teneva conto della documentazione prodotta nel giudizio di appello, ed, in particolare, dei listini del settore e della relazione tecnica redatta da ingegnere esperto nel settore degli autoveicoli comprovante che i prezzi di acquisto delle autovetture oggetto di contestazione erano coerenti con i prezzi di mercato del settore di riferimento/d) la società fornitrice A. s.r.l. era titolare di partita Iva ed operava nel settore degli autoveicoli, circostanza questa che faceva escludere che fosse un soggetto “finto”; e) la circostanza che la società C. s.r.l. non riversasse l’iva all’Erario non era indice di falsità del fornitore; f) il fatto che la P.C. avesse acquistato da Autocommerciale Verbania (che non era fornitore del Rivello) restava fatto sconosciuto al contribuente ed inidoneo a dimostrare che la P.C. fosse soggetto “finto”.
2. Con il secondo motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., 115 e 116 c.p.c. per avere la CTR ritenuto legittimo l’accertamento, ancorché, in violazione del criterio distributivo dell’onere della prova, l’Amministrazione finanziaria non avesse fornito elementi, idonei a comprovare, anche in via presuntiva, l’assunto meccanismo fraudolento – nel quale erano semmai coinvolti soggetti terzi – e la asserita connivenza o compartecipazione del cessionario, essendo, invece, emersi molteplici indici della regolarità delle operazioni, quali la documentazione (pubblici registri, contratti, ordini etc.) comprovante la veridicità delle fatture, l’avvenuta consegna e il regolare pagamento delle autovetture, il versamento dell’ Iva ai fornitori, la conformità dei prezzi di vendita a quelli di mercato.
Ha ribadito di avere intrattenuto rapporti commerciali con le società indicate nell’avviso, tutte operanti nel settore della compravendita di auto, ignorando che i propri fornitori non riversassero riva all’Erario, e che l’Ufficio non aveva offerto prova che i prezzi di acquisto fossero “più favorevoli”, né che la contribuente avesse usufruito degli effetti favorevoli della frode; ha fatto pure presente che in sede penale era stata dichiarata la sua estraneità ad ogni fatto contestatogli.
3. Con il terzo motivo, il ricorrente denuncia la omessa o insufficiente motivazione circa un fatto decisivo e controverso per il giudizio per non avere la CTR argomentato in ordine alla assunta consapevolezza del contribuente dell’eventuale altrui frode, non avendo indicato alcun elemento presuntivo dal quale desumere il detto coinvolgimento, non potendo essere, a tal fine, rilevante la circostanza di avere avuto il contribuente “contatti commerciali” con le asserite società interposte; ciò senza considerare la non vagliata documentazione fornita da quest’ultimo in ordine alla conformità dei prezzi di vendita a quelli di mercato (mercuriali, listini di riferimento del settore, una relazione estimativa), facendo parte gli eventuali sconti delle ordinarie dinamiche del mercato dell’auto.
4. Con il quarto motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 17, par. 2, lettera b) della direttiva n. 77/388/CEE, per avere la CTR erroneamente ritenuto legittimo l’accertamento, ancorché l’Amministrazione non avesse, in violazione dei principi di certezza del diritto e di affidamento affermati dalla Corte di giustizia (sentenza del 12 gennaio 2006 della Corte Giustizia delle CEE, nelle cause riunite C/354, C/355 e C/484 del 2003, Optigen Ltd. C/Commissioners of Customs & Excise), provato la consapevole partecipazione del contribuente all’assunta frode.
5. Il primo, il secondo, il terzo ed il quarto motivo, che possono essere esaminati congiuntamente per la evidente connessione, sono fondati nei sensi di cui in motivazione.
5.1. Questa Corte, alla luce della giurisprudenza comunitaria, ha statuito il seguente principio di diritto: “In tema di IVA, l’Amministrazione finanziaria, se contesta che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, ha l’onere di provare, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta, dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi e specifici, che il contribuente era a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo, usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente; ove l’Amministrazione assolva a detto onere istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi (Cass. n. 9851 del 2018).
5.2. Nella specie, con riferimento alla detraibilità dell’Iva, il giudice a quo si è attenuto ai suddetti principi, in quanto, con una motivazione sufficiente e scevra da vizi logici-giuridici, ha correttamente verificato l’assolvimento, da parte dell’Amministrazione finanziaria, dell’onere probatorio sia in ordine alla soggettiva fittizietà delle società fornitrici che in ordine alla conoscibilità da parte del contribuente che l’operazione si inseriva in una evasione Iva.
Quanto alla individuazione degli elementi indiziari della fittizietà della interposizione, ha posto in rilievo, sulla base dell’atto di accertamento, che a) la ditta fornitrice A.C. s.r.l. “non svolge una reale attività di impresa”, poiché non possiede requisiti di struttura e di organizzazione b) la società C. s.r.l. non ha assolto gli obblighi tributari, avendo omesso di versare l’Iva e trattenuto la medesima ripartendola con il cliente tramite vendita sottocosto c) la società cedente, P.C. s.r.l., «ha posto in essere fatture soggettivamente inesistenti provenienti dalla società A.C.V. s.r.l., operatore fittizio, all’uopo costituito e che non disponeva di normali strutture organizzative e commerciali»; tali circostanze, complessivamente valutate, sono sicuramente idonee a far ritenere provata, da parte dell’Amministrazione fiscale, la natura di “cartiere” delle società interposte.
Sotto il profilo della conoscenza o conoscibilità da parte del contribuente, la C.T.R. ha ritenuto che il cessionario “non poteva non sapere” del meccanismo fraudatorio, in considerazione di elementi presuntivi obbiettivi quali i rapporti commerciali intrattenuti dal contribuente con una pluralità di soggetti aventi la qualità di “cartiera” (A.C. s.r.l., C. s.r.l., P.C. s.r.l.), la immediatezza dei rapporti intercorsi tra i soggetti, e l’acquisto sottocosto delle autovetture, derivante dalla ripartizione dell’Iva non versata dal fornitore con il cliente. Sul punto, la CTR ha correttamente ritenuto assolto l’onere probatorio da parte dell’Amministrazione finanziaria circa la consapevolezza del cessionario del meccanismo fraudatorio, in presenza dell’indice obbiettivo dell’intrattenimento da parte di quest’ultimo di una serie di rapporti commerciali, nel corso del 2004, con una pluralità di imprese prive di un’organizzazione di impresa, tale da fare sorgere in capo al cessionario un obbligo di verifica, secondo i criteri dell’ordinaria diligenza e alla luce della qualificata posizione professionale ricoperta da quest’ultimo di esercente attività di compravendita di autovetture. Posta la prova fornita dall’Amministrazione finanziaria degli elementi costitutivi delle contestate operazioni “soggettivamente inesistenti”, la CTR ha poi negato – con una valutazione in fatto non sindacabile in sede di legittimità – che gli elementi probatori offerti dalla ditta contribuente fossero idonei a superare gli elementi presuntivi esposti dall’Ufficio, considerato che la regolarità della documentazione contabile, la effettiva consegna dei veicoli, il previo versamento del corrispettivo e la congruità dei prezzi praticati – che il ricorrente assumeva di avere dimostrato mediante la produzione in appello dei listini di settore e di consulenza tecnica redatta da un ingegnere esperto nel settore – non costituivano circostanze concludenti (Cass. n. 428 del 14/1/2015), trattandosi di dati facilmente falsificabili.
5.3. Un discorso distinto occorre invece svolgere per quanto concerne la deducibilità dei costi per operazioni inesistenti ai fini delle imposte dirette.
Il ricorrente ha censurato la sentenza impugnata anche nella parte in cui la C.T.R. afferma che «…anche sotto il profilo dell’imposizione diretta, l’acquisto di merce con fatture soggettivamente inesistenti non comporta la detrazione dei costi ove non emerga chiaramente la buona fede dell’acquirente».
Deve, al riguardo, rilevarsi che l’art. 8, comma 1, del d.l. 2 marzo 2012 n. 16 (convertito in legge 26 aprile 2012 n. 44) ha sostituito il comma 4 bis dell’art. 14 della legge n. 537 del 1993 nei seguenti termini: «Nella determinazione dei redditi di cui all’articolo 6, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986 n. 917 non sono ammessi in deduzione i costi e le spese dei beni o delle prestazioni di servizio direttamente utilizzati per il compimento di atti o attività qualificabili come delitto non colposo per il quale il pubblico ministero abbia esercitato l’azione penale o, comunque, qualora il giudice abbia emesso il decreto che dispone il giudizio ai sensi dell’art. 425 del codice di procedura penale ovvero la sentenza di non luogo a procedere ai sensi dell’articolo 425 dello stesso codice fondata sulla sussistenza della causa di estinzione del reato prevista dall’articolo 157 del codice penale…… »
Tale disposizione normativa ha diretta rilevanza nel presente giudizio, operando quale “ius superveniens”, che trova applicazione d’ufficio anche in sede di legittimità, in quanto il rapporto tributario controverso non è ancora esaurito.
Infatti, il comma 3 dello stesso art. 8 ha stabilito che le disposizioni di cui al citato comma 1 «si applicano, in luogo di quanto disposto dal comma 4-bis dell’articolo 14 della legge 24 dicembre 1993 n. 537, previgente, anche per fatti, atti o attività posti in essere prima dell’entrata in vigore» dello stesso comma 1, «ove più favorevoli, tenuto conto degli effetti in termini di imposte o maggiori imposte dovute, salvo che i provvedimenti emessi in base al citato comma 4 – bis previgente non si siano resi definitivi».
Questa Corte ha già rilevato, sulla scorta della relazione al disegno di legge di conversione del d.l. n. 16 del 2012, che la nuova normativa comporta che, poiché nel caso di operazioni soggettivamente inesistenti, i beni acquistati – di regola – non sono stati utilizzati direttamente per commettere il reato ma, nella maggior parte dei casi, per essere commercializzati, non è più sufficiente il coinvolgimento, anche consapevole, dell’acquirente in operazioni fatturate da soggetto diverso dall’effettivo venditore perché non siano deducibili, ai fini delle imposte dirette, i costi relativi a dette operazioni; ferma, restando, tuttavia, la verifica della concreta deducibilità dei costi stessi in relazione ai requisiti generali di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità (Cass. 24426 del 30/10/2013; n. 13803 del 18/6/2014, n. 10167 del 20/6/12, n. 12503 del 22/5/13; n. 25249 del 7/12/2016; 16528 del 22/6/2018).
Ne consegue che ai soggetti coinvolti nelle “frodi carosello” non è più contestabile, alla luce della nuova norma, la deducibilità dei costi, in quanto i beni acquistati non sono stati utilizzati direttamente “al fine di commettere il reato”, ma, salvo prova contraria, per essere commercializzati e venduti.
Poiché nel caso in esame non è in contestazione la oggettività delle operazioni commerciali poste in essere dalla ditta Rivello, risulta del tutto irrilevante l’accertamento della consapevolezza o meno della frode da parte della ditta cessionaria, anche se rimangono fermi i criteri ordinari, previsti dall’art. 109 del Testo Unico delle imposte dirette, che impongono la verifica della sussistenza dei principi di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza e determinabilità dei componenti negativi che possono essere portati in deduzione dal reddito imponibile.
6. Con il quinto motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., avendo la CTR omesso di pronunciarsi in ordine al motivo di appello concernente la dedotta nullità dell’atto di accertamento, per violazione degli artt. 42 del d.P.R. n. 600/73 e 56, ultimo comma del d.P.R. n. 633/72 e 7 della legge n. 212 del 2000, facendo quest’ultimo riferimento ad atti estranei al ricorrente e redatti nei confronti di terzi non conosciuti e non allegati.
6.1. Il motivo è infondato.
6.2. La C.T.R., seppure con motivazione sintetica, ha respinto il motivo di appello affermando che l’Ufficio ha eseguito l’accertamento ai sensi dell’art. 39, primo comma, lett. d) del d.P.R. 600/1973 e che, sebbene l’accertamento sia scaturito da precedenti controlli effettuati nei confronti di altri soggetti, il contribuente è stato posto in condizione di difendersi, tanto che è stato invitato a produrre documentazione probatoria. Non è, quindi, ravvisabile vizio di omessa pronuncia, che ricorre quando vi sia omissione di qualsiasi decisione su un capo della domanda, intendendosi per capo di domanda ogni richiesta delle parti che abbia un contenuto concreto formulato in conclusione specifica, sulla quale deve essere emessa pronuncia di accoglimento o di rigetto (Cass. n. 28308 del 27/11/2017; n. 7653 del 16/5/2012).
7. Con il sesto motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., la insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo e controverso per il giudizio, in quanto la sentenza considera motivato l’accertamento e provata la pretesa, sebbene l’avviso di accertamento non indichi precisamente la norma in base alla quale è stato eseguito e faccia riferimento ad atti e verbalizzazioni redatti nei confronti di terzi, non allegati e, quindi, non conosciuti.
7.1.Il motivo è inammissibile.
7.2. Infatti, è inammissibile, per difetto di autosufficienza, il ricorso per cassazione ex art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., avverso la sentenza che abbia ritenuto correttamente motivato l’atto impositivo, qualora non sia trascritta la motivazione di quest’ultimo, precludendo, pertanto, al giudice di legittimità ogni valutazione (Cass. n. 2928 del 13/02/2015; n. 16147 del 28/6/2017).
Nel caso di specie il ricorrente ha omesso la trascrizione dell’atto impugnato.
8. Con il settimo motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 54 e 55 d.P.R. n. 633 del 1972, 42 del d.P.R. n. 600 del 1973, 39 del d.P.R. n. 600/73, 14, comma 4 bis della legge n. 537 del 1993, 8 del d.l. n. 16 del 2012, per avere la CTR dichiarato legittimo l’accertamento, ancorché non sorretto da presunzioni gravi, precise e concordanti, avendo il Rivello sostenuto effettivamente i costi per l’acquisto delle autovetture, in relazione ai quali era mancata la prova della connessione a fatti di reato, non essendo stato il contribuente condannato in sede penale.
8.1. Il motivo è inammissibile.
8.2. Il ricorrente, sebbene lamenti la violazione o falsa applicazione di legge, prospetta in realtà un vizio di motivazione, assumendo che la disamina di tutte le censure mosse in primo ed in secondo grado avrebbero dovuto condurre il giudice di appello ad una diversa decisione e si limita a richiamare fatti che, secondo l’assunto difensivo, non sarebbero stati esaminati (esborsi sostenuti per l’acquisto dei veicoli acquistati, mancata indicazione dei fornitori comunitari, assoluzione in sede penale), che sono, di per sé, non idonei ad escludere la inesistenza soggettiva delle operazioni e la partecipazione alla frode.
9. Con l’ottavo motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. la contraddittoria e apparente motivazione in ordine ad un fatto controverso e decisivo per il giudizio, laddove la sentenza afferma «Col terzo motivo il ricorrente impugna la sentenza dei giudici provinciali riguardo la inesistenza della relata di notifica ».
Il contribuente ha posto in rilievo che già nel giudizio di primo grado aveva eccepito la inesistenza o nullità della notifica dell’avviso di accertamento e la conseguente decadenza della Amministrazione dal potere accertativo per l’annualità 2004, ormai maturato con lo spirare del termine del 31.12.09, questione sulla quale la C.T.R. avrebbe reso una motivazione apparente, dato che nella sentenza si assume che «l’atto sia stato notificato a mezzo del servizio postale in data 9.9.2005», mentre l’atto di accertamento è stato emesso in data 2/11/2009.
9.1. Il motivo è inammissibile.
9.2. Con riferimento alla eccepita inesistenza della relata di notifica ed alla decadenza della Amministrazione dal potere accertativo, la C.T.R. ha motivato che l’atto è stato notificato a mezzo servizio postale in data 9.9.2005 e che, conseguentemente, il contribuente ha avuto possibilità di spiegare il diritto di difesa; ha inoltre richiamato giurisprudenza di questa Corte secondo la quale la eccezione di inesistenza o inefficacia della notifica dell’avviso di accertamento può essere fatta valere solo al fine di eccepire la decadenza dal potere accertativo o al fine di dimostrare la tempestività dell’impugnazione.
Tale statuizione è conforme al principio espresso dalla Corte, secondo il quale anche in tema di notifica di un atto tributario l’inesistenza è configurabile, oltre che in caso di totale mancanza materiale dell’atto, nelle ipotesi in cui venga posta in essere una attività priva degli elementi costitutivi essenziali idonei a rendere riconoscibile un atto quale notificazione, ricadendo ogni altra ipotesi di difformità dal modello legale nella categoria della nullità, sanabile con efficacia “ex tunc” o per raggiungimento dello scopo (Cass. n. 21865 del 28/10/2016).
Nel caso di specie la notifica ha raggiunto il suo scopo con effetto sanante, posto che il contribuente ha tempestivamente esercitato il suo diritto di difesa proponendo il ricorso, mentre la doglianza relativa alla decadenza della Amministrazione dal potere accertativo è generica, in ragione della mancata indicazione, da parte del contribuente, della data in cui è avvenuta la notifica e dovendo ritenersi che quella indicata nella sentenza impugnata sia dipesa da un mero errore materiale.
10. Con il nono motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. la insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine ad un fatto controverso e decisivo per il giudizio, per non avere la CTR argomentato in ordine all’eccepita, sia in primo che in secondo grado, sottoscrizione degli atti prodromici all’atto di accertamento da parte di soggetti non titolari del potere accertativo in quanto diversi dal capo dell’Ufficio e non delegati, non risultando la delega, ritenuta dal giudice di appello esistente, essere stata né indicata né allegata all’atto impositivo.
10.1. Il nono motivo è infondato.
10.2. La C.T.R. ha rilevato che l’atto impugnato reca la firma del soggetto addetto all’Ufficio, in conformità a quanto previsto dall’art. 42 del d.P.R. n. 600/73 e, pertanto, non è ravvisabile il dedotto vizio di motivazione per il fatto che il Giudice di appello non si è pronunciato in merito alla mancanza di sottoscrizione di atti prodromici all’atto di accertamento (atti non autonomamente impugnabili) da parte di soggetti non titolari del potere accertativo, trattandosi di doglianza che non investe l’atto oggetto di impugnazione.
11. Con il decimo motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., la violazione dell’art. 112 c.p.c., per avere la CTR omesso di pronunciare su una serie di eccezioni formulate sia in primo che in secondo grado concernenti: 1) la contraddittorietà tra I’ “utile accertato” nell’atto impositivo e la successiva assunta indeducibilità di costi; 2) l’omessa indicazione nell’avviso di accertamento delle aliquote di imposta applicate e del calcolo degli interessi; 3) l’omessa indicazione delle ragioni giuridiche del trattamento sanzionatorio applicato.
11.1. Il motivo è fondato.
11.2. La C.T.R., come dedotto dal contribuente e come si desume dall’esame dei motivi di appello ritrascritti nel ricorso, non ha esaminato e deciso le doglianze formulate in ordine alla mancata indicazione nell’avviso di accertamento delle aliquote di imposta applicate, dei criteri di calcolo degli interessi di mora e delle sanzioni, pur trattandosi di contestazioni dedotte con il ricorso di primo grado e reiterate in sede di appello. Costituisce una violazione della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, e configura il vizio di cui all’art. 112 cod. proc. civ., l’omesso esame di specifiche richieste o eccezioni fatte valere dalla parte e rilevanti ai fini della definizione del giudizio, che va fatto valere ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4 cod. proc. civ. (Cass. n. 22759 del 27/10/2014; n. 16/3/17 n. 6835).
12. Con l’undicesimo motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. la omessa motivazione della sentenza impugnata su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, avendo la CTR dichiarate “assorbite” le altre eccezioni sollevate dal contribuente, con una mera affermazione di stile, inidonea a dare conto dell’iter logico motivazionale seguito.
12.1. Il motivo è inammissibile in quanto il contribuente, pur deducendo un vizio di motivazione della sentenza, laddove la C.T.R. ha affermato «vengono assorbite le altre eccezioni poste, considerato il grado di importanza che rivestono», omette di indicare le eccezioni decisive e rilevanti non esaminate dal giudice di appello.
13. In conclusione, vanno accolti il primo, secondo, terzo e quarto motivo di ricorso nei sensi di cui in motivazione, nonché il decimo motivo, respinti i restanti, con conseguente cassazione della decisione impugnata – in relazione ai motivi come accolti – e rinvio, alla Commissione Tributaria regionale del Piemonte, in diversa composizione, per il riesame e per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il primo, secondo, terzo e quarto motivo di ricorso nei sensi di cui in motivazione, nonché il decimo motivo e rigetta tutti gli altri; cassa la sentenza impugnata – in relazione ai motivi come accolti – e rinvia alla Commissione tributaria regionale del Piemonte, in diversa composizione, anche per la determinazione delle spese relative al giudizio di legittimità.
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