CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 30 ottobre 2019, n. 27918
Lavoro – Malattia professionale – Risarcimento del danno biologico e morale – Responsabilità contrattuale datoriale ai sensi dell’art. 2087 c.c.
Fatto
Con sentenza del 19 settembre 2014, la Corte d’appello di Roma condannava F.A. (ora F.G.A.) s.p.a. al pagamento, in favore di P.Z., della somma di € 7.032,16, oltre accessori, a titolo di danno biologico e morale conseguenti a malattia professionale (ipoacusia XleolensgPfallei bilaterale) contratta per avere lavorato alle dipendenze della predetta società dal 10 febbraio 1969 al 2004, con mansioni di operaio, addetto dal 15 maggio 1999 al reparto lastroferratura, al reparto montaggio fino al 13 giugno 2000 e quindi spostato ad altro reparto: così riformando la sentenza di primo grado, che aveva invece rigettato la domanda del lavoratore, ritenendola prescritta.
Essa escludeva la prescrizione in quanto di durata decennale, per la responsabilità contrattuale datoriale ai sensi dell’art. 2087 c.c., decorrente dal momento di percezione manifesta del danno, individuato (non già nel periodo aprile – giugno 1994, della prima diagnosi di ipoacusia percettiva bilaterale, ma) nel periodo aprile – maggio 2000, di diagnosi definitiva della malattia dall’Azienda USL di Frosinone e di presentazione dal lavoratore di denuncia all’Inail di malattia professionale.
Nel merito, premessa la non indennizzabilità dall’Inail del danno biologico per insorgenza della malattia prima dell’entrata in vigore del dlg. 38/2000, la Corte d’appello capitolina riteneva la responsabilità datoriale a norma dell’art. 2087 c.c. per l’insufficiente documentazione dei rilievi ambientali (soltanto per gli anni 1996, 1997 e 2000: quest’ultimo successivo alla denuncia della malattia) in ordine alla misurazione dell’inquinamento acustico dell’ambiente di lavoro e alla conseguente adozione di idonee misure protettive del lavoratore, neppure adibito a diverse mansioni più tutelate a seguito della prima diagnosi di ipoacusia del 1994: con integrazione così di uno specifico profilo di colpa della società.
In esito all’esperita C.t.u. medico-legale, essa determinava quindi il danno biologico in misura del 5% di riduzione dell’integrità psico-fisica in base della tabella elaborata da Marello, la più accreditata nel settore delle ipoacusie, che liquidava sulla scorta delle tabelle adottate dal Tribunale di Roma e pertanto in misura di € 4.688,11 e il danno morale, in ordine al disagio esistenziale e relazionale comportato dalla ipoacusia, in misura del 50% del danno biologico (€ 2.344,05).
Con atto notificato il 15 settembre 2015, la società ricorreva per cassazione con due motivi; il lavoratore intimato non svolgeva difese.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo, la società deduce violazione o falsa applicazione dell’art. 2935 c.c., per erronea individuazione del termine di decorrenza della prescrizione nel periodo aprile – maggio 2000, di diagnosi definitiva di ipoacusia percettiva bilaterale dall’Azienda USL di Frosinone e di presentazione dal lavoratore di denuncia all’Inail di malattia professionale, invece piuttosto di suo aggravamento, non integrante momento di percezione manifesta del danno (identificato dalla giurisprudenza di legittimità, anche richiamata dalla Corte territoriale, come dies a quo): da collocare anzi nel periodo aprile – giugno 1994, di sua prima diagnosi, con segnalazione della datrice all’Inail di una sospetta malattia professionale.
2. Con il secondo, essa deduce nullità della sentenza per manifesta o irriducibile contraddittorietà e mera apparenza della motivazione, in riferimento alla non corretta individuazione del termine di decorrenza del termine di prescrizione oggetto del precedente mezzo.
3. I due motivi, congiuntamente esaminabili per ragioni di stretta connessione, sono infondati.
3.1. La Corte territoriale ha correttamente applicato il principio di diritto in materia, secondo cui la prescrizione del diritto al risarcimento del danno alla salute patito dal lavoratore in conseguenza della mancata adozione da parte del datore di adeguate misure di sicurezza delle condizioni di lavoro, ai sensi dall’art. 2087 c.c., decorre dal momento in cui il danno si è manifestato, divenendo oggettivamente percepibile e riconoscibile solo ove l’illecito sia istantaneo, ossia si esaurisca in un tempo definito, ancorché abbia effetti permanenti, mentre ove, l’illecito sia permanente e si sia perciò protratto nel tempo, il termine prescrizionale inizia a decorrere al momento della definitiva cessazione della condotta inadempiente (Cass. 30 marzo 2011, n. 7272).
3.2. Al riguardo, essa ha accertato in fatto la sua concreta decorrenza dall’aprile 2000, a seguito del controllo audiometrico presso l’Azienda Usl di Frosinone in esito al quale era diagnosticata al lavoratore un’ipoacusia neurosensoriale bilaterale per le alte frequenze più grave a destra, di entità medio grave. E ciò dopo che “nella visita … dell’8 luglio 1994”, successiva ad una prima diagnosi di ipoacusia mista a destra e di un’ipoacusia neurosensoriale a sinistra (con controllo audiometrico a dodici mesi), era “stato valutato “nella norma”‘ ed espresso giudizio di idoneità” (così in particolare dal quint’ultimo al penultimo capoverso di pg. 3 della sentenza). Sicché, un tale accertamento in fatto, congruamente argomentato (per le ragioni esposte dal quarto capoverso di pg. 3 al quarto di pg. 4 della sentenza), è insindacabile in sede di legittimità.
3.3. Sono poi infondate, alla luce del novellato testo dell’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., le censure di contraddittorietà e mera apparenza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, sesto comma Cost., individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’art. 132, secondo comma, n. 4 c.p.c. e danno luogo a nullità della sentenza – di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 12 ottobre 2017, n. 23940).
Neppure sussiste nel caso di specie alcuna violazione dell’obbligo di motivazione, ricorrente qualora essa risulti del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione (per essere afflitta da un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili oppure perché perplessa ed obiettivamente incomprensibile) e, in tal caso, si concreta una nullità processuale deducibile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4 c.p.c. (Cass. 25 settembre 2018, n. 22598). E ciò per la più che adeguata motivazione sopra specificamente richiamata.
4. Dalle superiori argomentazioni discende allora il rigetto del ricorso, senza alcun provvedimento sulle spese del giudizio, non avendo il lavoratore intimato vittorioso svolto difese.
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13.
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