CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 30 settembre 2019, n. 24279
Tributi – ICI – Esenzione – Immobili destinati a pubblica utilità – Errata classificazione catastale – Denuncia di variazione – Efficacia retroattiva – Esclusione – Rimborso imposta pagata – Esclusione
Fatti di causa
1. – La I. s.p.a. ha presentato ricorso avverso il diniego di rimborso dell’ICI per l’anno 2009, che essa aveva richiesto al Comune di Fondi, deducendo che gli immobili di sua proprietà (ove insiste il mercato ortofrutticolo) erano stati classificati nella categoria D/8 per un errore del tecnico – da loro incaricato – che aveva chiesto il classamento nella suddetta categoria, nonostante l’opera fosse stata dichiarata di pubblica utilità sin dal 1993, con decreto del presidente della Regione Lazio. Detto errore era stato emendato dalla società, che nel 2012 ha presentato denuncia di variazione tramite procedura DOCFA, con il passaggio alla categoria da D/8 a E/3 (costruzioni e fabbricati per speciali esigenze pubbliche, esente ICI). Tale classificazione è stata formalizzata nel dicembre 2013, e secondo la contribuente l’esenzione che ne consegue avrebbe dovuto trovare applicazione anche per gli anni 2009/2008, atteso che l’esenzione ICI vale non solo per gli immobili classificati come E/3 ma anche per quelli così classificabili e nella fattispecie l’immobile era – deduce la società – fin dall’inizio così classificabile, stante la destinazione a pubblica utilità.
2. – La tesi della società è stata respinta dal giudice di primo grado; la società ha interposto appello che è stato respinto dalla CTR del Lazio con sentenza depositata in data 2.12.2016.
3- Avverso la predetta sentenza propone ricorso per cassazione la società I. affidandosi a quattro motivi. Resiste II Comune con controricorso.
Ragioni della decisione
4. – Con il primo motivo di ricorso la società deduce il vizio di cui all’art. 360 n. 3 c.p.c. per vizio di ultrapetizione.
Secondo la contribuente la CTR ha esaminato eccezioni mai proposte dal Comune che non ha mai contestato il diritto dell’immobile ad essere classificato nella categoria E/3.
Con il secondo motivo di ricorso si deduce l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio e cioè non è stata esaminata, anzi è stata data per non prodotta la documentazione relativa alla richiesta di rettiifca dell’immobile. Di contro osserva la società detta documentazione è stata depositata e ciò non è contestato dal Comune e non esaminata. Con il terzo motivo di ricorso si lamenta l’omesso esame di fatto decisivo per il giudizio. Si lamenta che la CTR abbia ritenuto non retroattiva la modifica della iscrizione, ritenendo che tale retroattività possa riconoscersi solo agli immobili iscritti nella categoria D/10. Con il quarto motivo di ricorso si lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 7 lett. B) del D.lgs 504/1992. Secondo la società ricorrente non si tratta di una esezione oggettiva diversa dalle altre e cioè estesa non solo agli immobili “classificati” ma anche a quelli “classificabili” nelle categorie catastali da E/l a E/9, con ciò intendendosi gli immobili destinati a uso pubblico ab initio quale che sia all’eventuale (erroneo) inquadramento nella diversa categoria catastale.
I motivi possono esaminarsi congiuntamente.
4.1.- La CTR ha rigettato l’appello fondandosi su una pluralità di rationes decidendi di cui quella principale, già espressa dal primo giudice e qui rilevante, perché da sola è sufficiente a fondare la pronuncia di rigetto, è che la variazione dell’accatastamento non può valere che per il futuro, non essendovi alcuna previsione legislativa di retroattività.
La società contribuente deduce che si tratta qui di intrepretare correttamente l’art. 7 lett. b) del D.lgs. 504/1992 che introduce una esenzione di tipo particolare e cioè estesa non solo agli immobili “classificati” ma anche a quelli “classificabili” nelle categorie catastali da E/l a E/9, con ciò intendendosi gli immobili di fatto destinati a uso pubblico quale che sia all’eventuale (erroneo) inquadramento nella diversa categoria catastale. Si cita in merito la sentenza n. 7042/2014 di questa Corte, sulla portata retroattiva della rettifica degli errori.
4.2- La tesi della contribuente è priva di fondamento.
In primo luogo, deve distinguersi il caso in cui la classificazione di un immobile muta perché l’amministrazione procede in autotutela, prendendo atto di un proprio errore, -caso cui si riferisce il precedente giurisprudenziale invocato dalla contribuente, qui non applicabile- dal caso in cui è il contribuente che dopo avere chiesto (ed ottenuto) la classificazione del proprio immobile in una certa categoria, ne richiede la classificazione in una categoria diversa.
Sul punto la giurisprudenza di questa Corte è chiara nell’affermare che gli immobili erroneamente classificati in una categoria non conforme alla destinazione d’uso, non possono essere esentati da imponibilità ove tale errato classamento sia stato determinato da una omissione del contribuente, che non abbia provveduto a denunciare l’effettivo utilizzo del cespite, non essendo onere dell’ente impositore richiedere all’ufficio competente la modifiche della rendita preesistente nell’ipotesi di negligenza del soggetto per legge onerato (Cass. n. 3277/2019; Cass. 1704/2016; Cass. 15025/2016).
Vi è quindi un onere del contribuente di denunciare esattamente la destinazione d’uso, e in caso di errore la rettifica non può estendere i suoi effetti agli anni di imposta in cui l’amministrazione si è regolata sulla base della dichiarazione del contribuente.
Si tratta di una regola generale, sulla quale la giurisprudenza di questa Corte, cui il Collegio intende dare continuità, è ferma: “in tema d’imposta comunale sugli immobili (ICI), la regola generale prevista dall’art. 5, comma 2, del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, secondo cui le variazioni delle risultanze catastali hanno efficacia, ai fini della determinazione della base imponibile, a decorrere dall’anno d’imposta successivo a quello nel corso del quale sono state annotate negli atti catastali, si applica anche quando il contribuente si avvalga della procedura DOCFA ai fini della determinazione della rendita catastale, ai sensi del d.m. finanze 19 aprile 1994 n. 701, non avendo tale procedura caratteristiche dissimili da qualsiasi altra istanza di attribuzione di rendita ed essendo il termine di efficacia, previsto dall’art. 5, comma 2, cit., ispirato a ragioni di uniformità delle dichiarazioni e degli accertamenti. Tale interpretazione non solo non comporta alcuna violazione dell’art. 53 Cost., in quanto l’esigenza di tener conto della capacità contributiva non esclude il potere discrezionale del legislatore di fissare un termine di efficacia uguale per tutti i contribuenti, ma è essa stessa espressione del principio di uguaglianza, in quanto l’applicazione di un termine differenziato nell’ipotesi di ricorso alla procedura DOCFA, comporterebbe una discriminazione fra contribuenti”. (Cass. 21310/10; in termini Cass. 3168/15; Cass. n. 17824 del 2017; Cass. n. 11846/2017). Al riguardo, anche il ministero, richiamando la regola generale prevista dalla normativa IMU, impone di fare riferimento alla rendita catastale vigente al 1° gennaio dell’anno di imposizione; pertanto le variazioni di rendita catastale intervenute nel corso dell’anno avranno efficacia solo a partire dall’anno successivo (Cass. 2017, n. 20463). Detto principio patisce eccezione per la sola ipotesi in cui le variazioni costituiscano correzioni di errori materiali di fatto (come tali riconosciuti dalla stessa Amministrazione) incorsi nel classamento che sostituiscono; ovvero conseguano a modificazioni della consistenza o della destinazione dell’immobile denunciate dallo stesso contribuente, dovendo allora esse trovare applicazione dalla data della denuncia, in quanto il fatto che la situazione materiale denunciata risalga a data anteriore non ne giustifica un’applicazione retroattiva rispetto alla comunicazione effettuata all’Amministrazione; ciò in quanto il riesame delle caratteristiche dell’immobile da parte del medesimo ufficio comporta, previa correzione degli errori materiali, l’attribuzione di una diversa rendita con decorrenza dall’originario classamento rivelatosi erroneo o illegittimo (Cass. n. 21310 del 2010; Cass. n. 13018/2012; Cass. 3168 del 2015 Cass. n. 11844 del 2017; Cass. n. 27024 del 2017)
4.3.- La lettura dell’art. 7 lett. b) proposta dalla contribuente non è accettabile.
Laddove la norma parla di immobili “classificabili” nelle categorie da E/l a E/9, fa riferimento solo agli immobili non ancora classificati e non anche a quelli già classificati, su istanza del contribuente, in una categoria che in seguito, sempre ad istanza del contribuente, venga rettificata. Questa è la conclusione cui si giunge in primo luogo seguendo i criteri dell’interpretazione letterale avendo attenzione al significato del termine usato dal legislatore, “classificabile”; il suffisso “-abile” dal latino abilis, è un derivativo degli aggettivi tratti dai verbi della coniugazione in “are” e indica l’attitudine, possibile o necessaria, di quanto predicato dal verbo. Pertanto, classificabile si dice di un oggetto non ancora classificato, ma abile, idoneo ad esserlo. Nello stesso senso depone anche la lettura sistematica della norma in questione: il comma 3 dell’art. 5 del citato D.lgs. trattando degli immobili della categoria D, chiarisce che gli immobili così “classificabili” sono quelli non ancora iscritti in catasto. Nello stesso senso depone infine la lettura coerente con i principi fondamentali dell’ordinamento e in particolare con i principi della certezza dei rapporti giuridici, del legittimo affidamento, che vale anche nei rapporti con l’ente pubblico, nonché con il principio, dato dall’art. 14 delle preleggi, che le norme eccezionali, quali sono quelle che riguardano le esenzioni dal tributo, sono di stretta interpretazione (Cass. n. 13145/2019).
In conclusione deve enunciarsi il principio che l’art. 7 lett. b) del D.lgs. 504 1992, laddove dispone che sono esenti da imposta “/ fabbricati classificati o classificabili nelle categorie catastali da E/l a E/9” deve essere letto nel senso che l’esenzione si riferisce ai fabbricati così classificati oppure a quelli non ancora iscritti in catasto, ma nondimeno così classificabili, e che per il periodo in cui non sono stati ancora classificati, sono esenti da imposta se sussistono, per il medesimo periodo, i presupposti per la loro iscrizione nella categorie indicate. Di contro, l’esenzione non si applica agli immobili che siano stati classificati in una categoria diversa da quelle indicate con le sigle da E/3 a E/9 ad iniziativa del contribuente, che non può, ai fini della suddetta esenzione, invocare in suo favore l’errore, se non nei limiti e con gli effetti temporali propri della variazione della classificazione.
La sentenza impugnata, nella sua principale ratio decidendi, è conforme a questi principi.
Ne consegue il rigetto del ricorso. Trattandosi una questione con profili di novità le spese del doppio grado di merito e del giudizio di legittimità si compensano interamente tra le parti.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Compensa interamente tra le parti le spese del doppio grado di merito e del giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del DPR 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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