CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 30 settembre 2020, n. 20829
Tributi – IVA – Detrazione – Rimborso credito – Principio di inerenza del costo – Accertamento del giudice di merito
Fatti di causa
La S.P. & S.G. S.n.c. impugnò il provvedimento di diniego emesso dall’Agenzia delle Entrate sull’istanza di rimborso dei crediti IVA, maturati negli anni 2001, 2002 e 2003, fondata sulla disapplicazione delle limitazioni normative alla detraibilità della detta imposta, risultate contrarie al diritto comunitario.
Accolta l’impugnazione in primo grado, l’Agenzia delle Entrate propose appello innanzi alla Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia Romagna, che, con sentenza depositata il 18 gennaio 2011, lo respinse, confermando il diritto della contribuente al rimborso, nonostante la sua adesione alla definizione automatica prevista dall’art. 7 della legge n. 289 del 2002.
Avverso la detta sentenza, l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi, cui resiste con controricorso S.P. s.r.I., già S.P. & S.G. s.n.c.
La controricorrente ha depositato memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c.
Fissata adunanza in camera di consiglio, il collegio ha invitato le parti ad interloquire sulla questione, rilevata d’ufficio, della disapplicazione della normativa in tema di condono ex art. 7 della legge n. 289 del 2002; la ricorrente e la controricorrente hanno depositato memorie, mentre il Pubblico Ministero ha concluso per il rigetto del ricorso.
Il collegio ha quindi ha ritenuto di rinviare la trattazione in pubblica udienza.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo lamenta l’Agenzia delle Entrate la violazione dell’art. 7 della legge 27 febbraio 2002, n. 289, in quanto l’adesione della contribuente alla definizione automatica dei carichi, ha precluso alla medesima la possibilità di rimborso per le annualità definite in via agevolata.
1.1. Il motivo è infondato, per le ragioni di cui si dirà.
Va osservato che questa Corte in tema di condono ai sensi della legge n. 289 del 2002, occupandosi di IRAP, ha affermato il principio a tenore del quale la presentazione della relativa istanza, preclude al contribuente ogni possibilità di rimborso per le annualità d’imposta definite in via agevolata, anche nell’ipotesi di asserito difetto del presupposto, giacché il condono – determinando la formazione di un titolo giuridico nuovo in forza del quale il contribuente volontariamente sceglie di versare le somme risultanti dall’applicazione di parametri predeterminati – costituisce una modalità di definizione “transattiva” della controversia, da cui consegue il componimento delle opposte pretese e quindi l’azzeramento, a fronte di eventuali ulteriori rivendicazioni del Fisco, della richiesta del contribuente al rimborso (Cass. 06/03/2015, n. 4566; Cass. 10/02/2012, n. 1967; Cass. 16/02/2007 n. 3682).
Ancora, questa S.C. ha pure affermato che ove il contribuente abbia impugnato il silenzio rifiuto su un’istanza di rimborso d’imposta, l’Amministrazione finanziaria può proporre, per la prima volta anche in appello, l’eccezione inerente l’adesione del contribuente al condono, ex art. 7 della legge n. 289 del 2002, da cui derivano la preclusione del diritto al rimborso e l’effetto estintivo del relativo giudizio, trattandosi di una questione di ordine pubblico, rilevabile d’ufficio dal giudice, senza che occorra una specifica deduzione ad opera della parte interessata a farla valere (Cass. 14/10/2015, n. 20650).
1.2. Occorre, tuttavia, considerare che sempre in tema di c.d. “condono tombale” ex lege n. 289 del 2002, le Sezioni Unite di questa Corte, a composizione di un contrasto sorto all’interno della quinta sezione civile, hanno chiarito che l’Erario può sempre accertare i crediti da agevolazione esposti dal contribuente nella dichiarazione, in quanto il condono – avendo come scopo il recupero di risorse finanziarie e la riduzione del contenzioso e non già l’accertamento dell’imponibile – elide in tutto o in parte, per sua natura, esclusivamente il debito fiscale, ma non opera sui crediti che il contribuente possa vantare nei confronti del fisco (Cass. S.U. 06/07/2017, n. 16692).
Secondo le Sezioni Unite del ’17, in sostanza, avuto riguardo alla sua intrinseca natura, il condono deve ritenersi idoneo ad incidere esclusivamente sui debiti tributari dei contribuenti e non sui loro crediti, in quanto si traduce in una forma atipica di definizione del rapporto tributario, nella prospettiva di recuperare risorse finanziarie e di ridurre il contenzioso, non già in quella dell’accertamento dell’imponibile; e l’atipicità sta appunto nel fatto che con il condono si regola l’obbligazione tributaria prescindendo dall’accertamento dell’imponibile, per finalità deflattive e di bilancio.
L’effetto normale del condono, del resto, è quello di elidere la res litigiosa e le conseguenze sanzionatorie, amministrative e penali, mediante un pagamento in misura predefinita; non si tratta, dunque, di un c.d. regime fiscale sostitutivo, perché opera a posteriori e non a priori, né di una transazione – come pure a volte affermato dalla giurisprudenza anche della S.C. – o di una novazione, perché manca l’origine bilaterale e volontaria tipica della materia contrattuale.
In definitiva, la sanatoria derivante dal condono è un effetto che discende ex lege dall’adesione oblativa, senza che il fisco possa esercitare alcun potere decisorio, operando secondo meccanismi di diritto pubblico diversi dalla modificazione negoziata dell’obbligazione per via di novazione, transazione o conciliazione (così Cass. S.U. 27/01/2016, n. 1518).
Anche il Giudice delle leggi, pronunciandosi sulla questione di legittimità costituzionale dell’art. 9 della ridetta legge n. 289 del 2001, ha affermato che «il condono non influisce di per sé sull’ammontare delle somme chieste a rimborso, non impone al contribuente la rinuncia al credito e non impedisce all’erario di accogliere tali richieste, allorché la pretesa di rimborso sia riscontrata fondata» (Corte Cost. 27/07/2005, n. 340).
1.3. Siffatti principi meritano allora di essere ribaditi anche in tema di rimborsi dei crediti IVA, dovendosi escludere che l’adesione al condono, con riferimento ad un determinato tributo e ad un determinato periodo temporale, possa incidere sul diritto ad ottenere il rimborso dei crediti vantati, in relazione ai medesimi tributi e annualità d’imposta, nei confronti dell’Amministrazione finanziaria, perché crediti e debiti tributari non risultano mai inscindibilmente avvinti dagli effetti definitori del condono.
1.4. Deve conclusivamente pronunciarsi il seguente principio di diritto: «In tema di condono fiscale, ai sensi della legge n. 289 del 2002, l’adesione alla definizione automatica in relazione a determinati debiti tributari, non osta all’accoglimento delle domande di rimborso fondate sui crediti tributari sorti nel medesimo periodo e per tributi oggetto di condono».
La commissione tributaria regionale, allora, respingendo le doglianze dell’Agenzia delle Entrate, in relazione ai crediti IVA maturati negli anni 2001 e 2002, che erano appunto ricompresi nel periodo condonato, ha fatto corretta applicazione del detto principio e, pertanto, il motivo deve andare respinto.
1.5. Resta, infine, assorbita la questione concernente l’ipotizzato contrasto tra l’art. 7 della legge n. 289 del 2002 e il diritto comunitario, alla luce di Corte di Giustizia CE 17 luglio 2008, in causa C-132/06, la quale com’è noto, in esito ad una procedura di infrazione promossa dalla Commissione Europea, dichiarò l’incompatibilità con il diritto comunitario (in particolare con gli artt. 2 e 22 della VI direttiva CE) degli artt. 8 e 9 della legge n. 289 del 2002, nella parte in cui prevedevano la condonabilità dell’IVA alle condizioni ivi indicate.
2. Con il secondo motivo deduce violazione degli artt. 19, 19- bis del d.p.r. 26 ottobre 1972, n. 633, dell’art. 1 del d.l. 15 settembre 2006, n. 258, convertito con modificazioni dalla legge 10 novembre 2006, n. 278 e dell’art. 2697 c.c., poiché il giudice di merito erroneamente ha ritenuto che il contribuente avesse dato la prova dell’inerenza degli acquisti con l’attività svolta, al fine di ottenere il richiesto rimborso.
3. Con il terzo motivo eccepisce vizio di motivazione, ex art. 360, comma primo, n. 5), c.p.c., in quanto la commissione tributaria regionale ha motivato in maniera insufficiente in ordine al requisito dell’inerenza degli acquisti rispetto all’attività svolta, valorizzando il solo dato delle scritture contabili dell’impresa.
3.1. I due motivi, meritevoli di trattazione congiunta, sono entrambi fondati, nei limiti di cui si dirà.
Va precisato, in primo luogo, che in tema d’IVA, l’art. 1 del d.l. 15 settembre 2006, n. 258, convertito con legge 10 novembre 2006, n. 278, al fine di disciplinare il rimborso dell’imposta indebitamente pagata per gli acquisti e le importazioni di beni e servizi indicati nell’art. 19-bis-1, primo comma, lett. c) e d), del d.p.r. 26 ottobre 1972, n. 633 – norma dichiarata incompatibile con il diritto comunitario -, ha costituito, in deroga al principio dell’efficacia retroattiva delle sentenze del giudice europeo, un nuovo diritto alla ripetizione, con il relativo termine di esercizio, ma ha fatto salvo il diritto dei contribuenti che non abbiano aderito alla procedura di rimborso forfetario (o che non abbiano presentato l’istanza entro il 15 aprile 2007) di chiedere la restituzione dell’intera imposta (Cass. 06/05/2015, n. 9034).
Dunque, considerato che l’istanza della contribuente risulta presentata pacificamente per l’intera somma detraibile e prima ancora dell’entrata in vigore delle cennate disposizioni, deve escludersi l’applicabilità della ridetta normativa alla vicenda che ci occupa.
3.2. Tuttavia, occorre considerare che la commissione tributaria regionale ha desunto il requisito dell’inerenza dei costi sostenuti rispetto all’attività svolta, semplicemente richiamandosi «alla regolarità delle scritture contabili e alla trasparenza dei dati che da essa si possono desumere»; ma, com’è ovvio, le sole scritture contabili dell’azienda, di per sè, quale che sia l’attività d’impresa esercitata, non sono sufficienti a comprovare il detto requisito. Spetta invece al giudice di merito il compito di accertare, in relazione al singolo acquisto di cui si invoca il rimborso dell’IVA in precedenza assolta, quale sia stato in concreto il suo impiego e, in particolare, se esso si possa definire effettivamente inerente all’attività d’impresa svolta.
4. In definitiva, respinto il primo motivo di ricorso, meritano di essere accolti il secondo e il terzo; la sentenza impugnata va pertanto cassata, in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia Romagna, in diversa composizione, per un nuovo esame e per statuire anche sulle spese di legittimità.
P.Q.M.
Respinge il primo motivo del ricorso, accoglie il secondo e terzo; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Commissione Tributaria dell’Emilia Romagna, in diversa composizione, anche per statuire sulle spese del giudizio di legittimità.