CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 30 settembre 2021, n. 26508
Tributi – IVA – Indebito utilizzo di credito in compensazione – Avviso bonario – Riduzione della sanzione al 10 per cento – Versamento oltre 30 giorni dalla notifica – Decadenza – Sanzione piena
Fatti di causa
A. s.r.l. impugnava una cartella di pagamento con la quale veniva richiesto il pagamento a titolo di recupero del credito di imposta, dell’Iva, degli interessi e delle sanzioni al 30%, nonostante, secondo la ricorrente, tali somme fossero state tutte versate, con applicazione della sanzione al 10% per effetto del ravvedimento operoso ex art. 13 d.lgs. n. 471 del 1997. L’Ufficio, al termine della procedura di liquidazione automatizzata della dichiarazione dei redditi presentata per l’anno 2008, Modello U60, ai sensi dell’art. 36 bis d.P.R. n. 600 del 1973, aveva rilevato l’indebita compensazione di un credito d’imposta per un totale di euro 23.052,00 e l’omesso versamento dell’IVA e saldo per euro 50.635,77, con conseguente irrogazione di sanzioni ed interessi ai sensi del d.lgs. n. 471 del 1997. La società rilevava l’infondatezza del recupero del credito di imposta per compensazioni effettuate regolarmente, l’illegittimità delle sanzioni e degli interessi iscritti a ruolo, e l’errata iscrizione dell’IVA dovuta, avendo la società versato (in compensazione), in data 30.5.2011, un importo di euro 15.000,00 con un debito residuo dovuto di euro 35.635,77. La Commissione Tributaria Provinciale, con sentenza n. 439/02/2011, accoglieva il ricorso ritenendo che la società avesse sanato con “ravvedimento operoso” l’erroneo utilizzo del credito di imposta, sicché appariva evidente che la cartella recava importi non dovuti. L’Ufficio appellava la pronuncia alla Commissione Tributaria Regionale della Sicilia che, con sentenza n. 381/16/13, accoglieva il gravame, atteso che il ravvedimento operoso della società risultava tardivo ed oltre i termini prescritti, che nella fattispecie scadevano in data 30.9.2010.
A. s.r.l. ricorre per cassazione, svolgendo cinque motivi, illustrati con memorie.
L’Agenzia delle Entrate si è costituita con controricorso.
La Procura Generale della Corte di Cassazione ha depositato memorie, concludendo per il rigetto dell’impugnazione. Il ricorso, fissato all’udienza pubblica del 6.5.2021, è trattato in camera di consiglio, in base alla disciplina dettata dal sopravvenuto art. 23, comma 8 bis, del d.l. n. 137 del 2020, inserito dalla legge di conversione n. 176 del 2020, senza l’intervento in presenza del Procuratore Generale e dei difensori delle parti, non avendo nessuna delle parti fatto richiesta di discussione orale.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., dell’art. 13 del d.lgs. n. 472 del 1997, in relazione all’art. 2697 c.c.. e degli arti. 6, comma 5, 1. n. 212 del 2000, 36 bis d.P.R. n. 600 del 1973, e 54 bis d.P.R. n. 633 del 1972.
La società ricorrente lamenta che il controllo automatizzato della dichiarazione aveva evidenziato che l’avviso bonario risultava solo asseritamente notificato dall’Agenzia delle Entrate, la quale non avrebbe provato tale affermazione anche in presenza di formale contestazione sul punto da parte della contribuente. La Commissione Tributaria Regionale, pur in assenza di prova, in violazione dell’art. 2697 c.c., avrebbe dato per scontato l’avvenuta notifica di tale avviso prima della notifica della cartella di pagamento, in base alla sola asserzione dell’Ufficio, pur in presenza di contestazione.
2. Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., dell’art. 132 c.p.c. n. 4, in relazione all’art. 36 bis d.P.R. n. 600 del 1973 e all’art. 54 bis d.P.R. n. 633 del 1972, nonché all’art. 13 del d.lgs. n. 472 del 1997, per motivazione apparente e/o irriducibilmente contraddittoria e viziata da manifesta illogicità della sentenza impugnata. Il giudice di appello sarebbe incorso in errore, in quanto la data del 10.7.2009 non era quella del termine del ravvedimento operoso, bensì quella del termine ordinario di pagamento delle imposte in questione.
Tale errore avrebbe portato il giudice del gravame a sostenere illegittimamente che la mancanza di spontaneità del pagamento impediva l’operatività del ravvedimento, in quanto avvenuto dopo la notifica dell’avviso ex art. 36 bis, quando invece proprio perché il pagamento era stato effettuato dopo la comunicazione dell’avviso il contribuente era nei termini per usufruire del beneficio di pagare l’imposta con le sanzioni ridotte al 10%.
3. Con il terzo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., dell’art. 132 n. 4, c.p.c., in relazione alla mancanza di motivazione, per essere la stessa apparente e/o irriducibilmente contraddittoria e viziata da manifesta illogicità, in quanto da un lato ì giudici di appello darebbero conto dei pagamenti della società anche se in virtù degli errori di cui ai motivi n. 1 e n. 2, sostenendo che le sanzioni sarebbero dovute nella misura del 30%, dall’altro lasciano alla libera determinazione dell’Agenzia dell’Entrate quali somme dovrebbero essere dovute, disponendo la decurtazione dalla cartella solo delle somme versate a qualsiasi titolo dalla società “delle quali l’amministrazione ha contezza”. Secondo la ricorrente la motivazione non giustificherebbe la declaratoria di riforma della sentenza impugnata, laddove la Commissione Tributaria Regionale non risolverebbe il contrasto in ordine alla diversa prospettazione delle parti, ma lascerebbe alla esclusiva determinazione dell’Amministrazione dare contezza del pagamento delle somme (nella fattispecie IRES) che dovrebbero essere decurtate dalla cartella, in virtù della decisione impugnata.
4. Con il quarto motivo di denuncia violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in quanto il giudice di appello avrebbe omesso di esaminare il fatto che A. s.r.l. avrebbe legittimamente effettuato la compensazione dell’IRES mediante ravvedimento operoso, correggendo l’errato utilizzo del credito di imposta inizialmente compensato, anche seguendo le direttive emanate dalla stessa Amministrazione finanziaria con la Risoluzione dell’Ag. Entrate n. 291/E del 10.7.2008, in ordine alla legittimità del credito di imposta utilizzato per errore anticipatamente. In base alle direttive contenute nella richiamata risoluzione, la compensazione IRES con ravvedimento operoso di A. sarebbe pienamente legittima.
5. Con il quinto motivo si denuncia violazione ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in quanto il giudice di appello avrebbe omesso di esaminare il fatto relativo al pagamento delle sanzioni e degli interessi sul debito IVA in relazione all’eccezione della società sui pagamenti effettuati rispetto all’ammontare totale dell’iniziale debito IVA. Secondo la ricorrente sarebbe, pertanto, illegittima l’indicazione in cartella delle voci di sanzioni ed interessi anche in relazione alla parte di debito già pagata prima della sua emissione ed esattamente in data 25.5.2010 e in data 8.6.2010 per complessivi euro 50.874, 23, determinando l’inserimento nella cartella impugnata del residuo IVA di euro 50.635,77, rispetto all’iniziale importo di euro 101.510,00. In base a tale errato principio, l’Amministrazione applica nella cartella le sanzioni nella misura del 30% e gli interessi calcolati dalla data in cui dovevano essere eseguiti i singoli versamenti mensili anche rispetto alla somma di complessivi euro 50.874,23 pagata prima della emissione della cartella. La contribuente evidenzia, inoltre, che nella fattispecie sussisterebbero gravi e fondati motivi che legittimerebbero la richiesta nei modi e nei termini di rito di sospensione dell’esecuzione della sentenza impugnata, ai sensi dell’art. 373 c.p.c.
6. I primi tre motivi di ricorso vanno trattati congiuntamente, in quanto inerenti alla medesima questione.
6.1. La società contribuente lamenta l’applicazione delle sanzioni nella misura del 30% , pur avendo provveduto a versare in data 30.5.2011 in compensazione euro 15.000,00 a deconto dell’IVA dovuta.
Con riferimento al credito di imposta per l’importo di euro 23.052,00 la ricorrente deduce l’infondatezza del recupero, perché la compensazione con quanto dovuto per IRES era stata eseguita nei limiti della capienza dello stesso credito per come indicato nella dichiarazione dei redditi.
In data 29.7.2011, la società ha presentato istanza di ravvedimento operoso per ciascun credito di imposta utilizzato in eccesso rispetto a quanto era maturato.
A tale riguardo il giudice del merito ha accertato, e tale circostanza non è stata oggetto di contestazione, che con memoria del 7.11.2011 la ricorrente ha riconosciuto l’indebita compensazione del credito d’imposta utilizzato ai fini del pagamento del saldo IRES, assumendo di avere sanato a mezzo di ravvedimento operoso il riconosciuto errato utilizzo di tale credito.
6.2. Ciò premesso in fatto, le critiche sono infondate per i principi di seguito enunciati.
a) Va preliminarmente rilevata la contraddittorietà nella formulazione delle censure proposte dalla ricorrente che, con il primo mezzo, contesta di avere ricevuto la notifica della comunicazione di irregolarità della dichiarazione dei redditi presentata nel 2009, a seguito di liquidazione ex art. 36 bis del d.P.R. n. 600 del 1973, mentre con il secondo motivo, deduce che “proprio, perché, come anche riconosce la stessa Commissione Tributaria Regionale, il pagamento è stato fatto dopo la comunicazione ex art. 36 bis ( e si aggiunga anche 54 bis) il contribuente è nei termini e, conseguentemente la motivazione della sentenza sul punto è manifestamente illogica e irriducibilmente contraddittoria”.
La Commissione Tributaria Regionale, con accertamento in fatto, incensurabile in sede di legittimità in quanto il motivo ha natura esclusivamente normativa e non motivazionale, ha invece accertato che in data 21.5. 2010 l’Ufficio aveva notificato alla ricorrente la comunicazione di irregolarità della dichiarazione dei redditi presentata nel 2009 per l’anno 2008, a seguito della liquidazione ex art. 36 bis del d.P.R. n. 600 del 1973.
In ogni caso, la cartella poteva essere emessa anche senza avviso bonario (contraddittorio preventivo) allorquando, come nella specie, la contestazione risultasse dal semplice controllo della dichiarazione, senza incertezze interpretative di sorta, trattandosi dell’utilizzo in compensazione di un credito in eccedenza rispetto alla quota annuale compensabile. Secondo l’indirizzo espresso da questa Corte, che si condivide:
“La notifica della cartella di pagamento a seguito di controllo automatizzato è legittima anche se non preceduta dalla comunicazione del c.d. “avviso bonario” ex art. 36 bis, comma 3, d.P.R. n. 600 del 1973, nel caso in cui non vengano riscontrate irregolarità nella dichiarazione; né il contraddittorio entoprocedimentale è invariabilmente imposto dall’art. 6, comma 5, l. n. 212 del 2000, il quale lo prevede soltanto quando sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione, situazione, quest’ultima, che non ricorre necessariamente nei casi soggetti al citato art. 36 bis, che implica un controllo di tipo documentale sui dati contabili direttamente riportati in dichiarazione, senza margini di tipo interpretativo” (Cass. n. 33344 del 2019). L’obbligo del contraddittorio preventivo non sussiste in tutti i casi in cui si debba procedere ad iscrizione a ruolo ai sensi dell’art. 36 bis del d.P.R. n. 600 del 1973, ma soltanto “qualora sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione”(Cass. n. 27716 del 2016).
b) Dalla prospettazione difensiva illustrata con i motivi di ricorso emerge che il versamento di euro 15.000,00 eseguito in compensazione in data 30.5.2011 non è stato oggetto di contestazione da parte dell’Ufficio, ma tale versamento sarebbe stato effettuato solo a seguito della ricezione della comunicazione ex art. 36 bis del d.P.R. cit., che il giudice del merito, con accertamento in fatto, afferma essere avvenuta in data 21.5.2010.
La disciplina del ravvedimento operoso è contenuta nell’art. 13 del d.lgs. n. 471 del 1997 (Ritardati od omessi versamenti diretti e altre violazioni in materia di compensazione).
La norma dispone che: “1. Chi non esegue, in tutto o in parte, alle prescritte scadente, i versamenti in acconto, i versamenti periodici, il versamento di conguaglio o a saldo dell’imposta risultante dalla dichiarazione, detratto in questi casi l’ammontare dei versamenti periodici e in acconto, ancorché non effettuati, è soggetto a sanzione amministrava pari al trenta per cento di ogni importo non versato, anche quando, in seguito alla correzione di errori materiali o di calcolo rilevati in sede di controllo della dichiarazione annuale, risulti una maggiore imposta o una minore eccedenza detraibile 2. la sanzione di cui al comma 1 si applica ai casi di liquidazione della maggiore imposta ai sensi degli articoli 36 bis e 36 ter del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e ai sensi dell’articolo 54 bis del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633. …4. Nel caso di utilizzo di un’eccedenza o di un credito d’imposta esistenti in misura superiore a quella spettante o in violazione delle modalità di utilizzo previste dalle leggi vigenti si applica, salva l’applicazione di disposizioni speciali, la sanzione pari ai trenta per cento del credito utilizzato.”
Ai sensi dell’art. 13, commi 2 e 5 del d.lgs. n. 471 del 1997 la sanzione delle somme dovute a seguito di controllo auomatizzato ex art. 36 bis è pari al 30% di quelle non versate o versate in ritardo. L’art. 2, comma 2, del d.lgs. n. 472 del 1997 dispone che, se il pagamento avviene entro 30 giorni dal ricevimento della comunicazione di irregolarità, l’ammontare delle sanzioni è ridotto ad un terzo, ovvero la sanzione è del 10% della maggiore imposta o del minor reddito. Il versamento può avvenire in un’unica soluzione, oppure ratealmente.
La procedura del d.lgs. n. 462 del 1997 propone la facoltà del pagamento immediato o dilazionato, subordinato unicamente al rispetto della condizione del versamento della prima rata nel termine perentorio di 30 giorni dalla notifica dell’avviso cartaceo (oppure di novanta giorni dalla formazione dell’avviso telematico). La scadenza del termine determina la perdita della possibilità di usufruire della riduzione delle sanzioni al 10% e del beneficio del pagamento dilazionato.
Infatti, dopo la notifica dell’avviso bonario a seguito del controllo automatico (art. 36 bis d.P.R. n. 600 del 1973), il contribuente può regolarizzare la propria posizione pagando, tramite modello F24, l’imposta omessa oltre a sanzioni ridotte e ai relativi interessi.
Il pagamento tardivo comporta l’iscrizione a ruolo a titolo definitivo e la sanzione pari al 30% e degli interessi legali.
Nella fattispecie, non è contestato che il versamento di euro 15.000,00 è stato eseguito in compensazione in data 30.5.2011, circa un anno, dopo la notifica della comunicazione di irregolarità avvenuta in data 21.5.2010, mentre la cartella di pagamento è stata notificata in data 6.4.2011.
Ne consegue l’infondatezza del secondo motivo di ricorso atteso che, nella specie, il ravvedimento operoso avvenne successivamente non solo all’avviso bonario ma che alla legittima notificazione della cartella, quindi quando già vi era stata contestazione del debito di imposta, determinando, in ragione dei rilievi espressi, l’esclusione dell’applicazione delle minori sanzioni.
Va rigettato anche il terzo motivo atteso che la Commissione Tributaria Regionale ha nella sostanza aderito alla ricostruzione contabile operata dall’Amministrazione finanziaria, non rivedibile nel giudizio di legittimità, non integrando un vizio di motivazione.
7. Con riferimento al quarto e quinto motivo di ricorso, le critiche sono inammissibili ed infondate.
L’inammissibilità va dichiarata in quanto difettano di autosufficienza, atteso che non è riportato nell’atto di impugnazione il contenuto di alcun documento attestante gli asseriti pagamenti, né è stato indicato con quale specifico atto difensivo gli stessi pagamenti siano stati esibiti al giudice del merito a sostegno delle prospettate tesi difensive, ciò al fine di consentire a questa Corte di valutare quali fatti decisivi non siano stati oggetto di valutazione da parte del giudice del merito, il quale, invece, con accertamento in fatto, privo di vizi logici e congruamente motivato, ha chiarito che il debito residuo per imposta IVA, a fronte dei successivi versamenti (eseguito in data 30.5.2011) rimane di euro 35.635,77, oltre sanzioni. Il ricorrente, inoltre, omette di riportare in ricorso, anche con riferimento alla compensazione per imposta IRES, pur solamente per stralcio, il contenuto dei ravvedimenti operosi per ciascun credito di imposta utilizzato in eccesso rispetto a quanto maturato, che si assume essere stati presentati in data 29.7.2011; pur essendo a ciò processualmente onerato, atteso che la censura presuppone un’indagine di fatto, sicché con il ricorso per cassazione deve essere esplicitato in che termini e con quali documenti esibiti nel corso del giudizio la relativa questione era stata sollevata.
Per il principio di autosufficienza (art. 360 bis c.p.c.), la Corte deve essere in grado di compiere il controllo di decisività dei fatti da provare sulla base delle deduzioni contenute nel ricorso, alle cui lacune non è consentito sopperire con indagini integrative.
L’inammissibilità delle doglianze rileva, altresì, sotto un altro profilo, in quanto l’omesso esame deve riguardare un fatto materiale — storico e non una ragione giuridica di legittimità o illegittimità, oltre al fatto che non si può dire, come sopra precisato, che vi sia stato omesso esame sulla contabilizzazione del dovuto, trattandosi di un aspetto che la Commissione Tributaria Regionale ha affrontato.
8. In definitiva il ricorso va rigettato. Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna la parte soccombente al pagamento delle spese di lite che liquida in complessivi euro 5.600,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello pagato, a norma del comma 1 bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
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