CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 31 gennaio 2022, n. 2921

Tributi – ICI – Agevolazione per l’impresa agricola – Attività svolta sotto forma di società semplice

Fatti di causa

C.M. e L.Z. propongono ricorso, affidato a tre motivi, per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe, con cui la Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia-Romagna aveva respinto l’appello avverso la sentenza n. 405/2014 della Commissione Tributaria Provinciale di Forlì in rigetto del ricorso proposto avverso avvisi di accertamento emessi dal Comune di Predappio per omessa denuncia ed omesso versamento ICI annualità 2007-2008.

La Commissione Tributaria Regionale, in particolare, aveva respinto l’appello ritenendo che, esercitando i contribuenti in forma di società semplice l’attività agraria sui fondi oggetto di tassazione, non sussistesse pertanto il diritto ad ottenere l’esenzione stabilita dalla legge, e che i fabbricati oggetto di tassazione non potevano qualificarsi come di natura rurale e pertinenziali allo svolgimento dell’attività agricola essendo accatastati come immobili abitativi.

Il Comune resiste con controricorso ed ha depositato memoria difensiva.

Ragioni della decisione

1.1. Con il primo motivo i ricorrenti denunciano violazione di norme di diritto (artt. 2 e 9 D.Lgs. n. 504/1992, art. 58 D.Lgs. n. 446/1997, art. 10 D.Lgs. n. 228/2001, art. 1 D.Lgs. n. 99/2004) per avere la Commissione Tributaria Regionale escluso che potesse attribuirsi, ai fini dell’esenzione in oggetto, la natura di imprenditore agricolo professionale alla società semplice.

1.2. Con il secondo motivo si lamenta omessa pronuncia da parte della Commissione Tributaria Regionale nella sentenza impugnata con riguardo alla doglianza sollevata in grado di appello dai contribuenti circa l’esenzione applicabile, nella specie, per il carattere montano delle aree in cui ricadono i fabbricati sottoposti a tassazione.

1.3. Con il terzo motivo i ricorrenti lamentano violazione dell’art. 2 D.Lgs. n. 504/1992, dell’art. 9, commi 3, 3 bis e 3 ter, D.L. n. 557/1993 conv., per avere la Commissione Tributaria Regionale escluso, con riguardo agli immobili in oggetto, la natura pertinenziale allo svolgimento dell’attività agricola esercitata dalla società semplice, in quanto accatastati come immobili abitativi.

2.1. E’ fondato il primo motivo.

2.2. In tema di società agricole si è avuta un’evoluzione della giurisprudenza di legittimità, in linea con la normativa eurounitaria, secondo cui le disposizioni di cui al D.lgs. n. 228 del 2001, e del D.lgs. n. 99 del 2004, hanno profondamente inciso sulla stessa configurazione del requisito soggettivo per la fruizione delle agevolazioni tributarie.

2.3. A proposito del requisito soggettivo necessario ai fini del riconoscimento della connotazione agricola del fondo, nell’ottica della predetta disciplina, va posto in evidenza che l’art. 12 della Legge 9 maggio 1975 n. 153 (nella lettera risultante a seguito della modifica introdotta dall’art. 10 del D.L.vo 18 maggio 2001 n. 228) prevede che «le società sono considerate imprenditori agricoli a titolo principale qualora lo statuto preveda quale oggetto sociale l’esercizio esclusivo dell’attività agricola, ed inoltre: a) nel caso di società di persone qualora almeno la metà dei soci sia in possesso della qualifica di imprenditore agricolo a titolo principale (…)».

2.4. Ai sensi dell’art. 1 del D.L.vo 29 marzo 2004 n. 99, «ai fini dell’applicazione della normativa statale, è imprenditore agricolo professionale (I.A.P.) colui il quale, in possesso di conoscenze e competenze professionali ai sensi dell’articolo 5 del regolamento (CE) n. 1257/1999 del Consiglio, del 17 maggio 1999, dedichi alle attività agricole di cui all’articolo 2135 del codice civile, direttamente o in qualità di socio di società, almeno il cinquanta per cento del proprio tempo di lavoro complessivo e che ricavi dalle attività medesime almeno il cinquanta per cento del proprio reddito globale da lavoro» (comma 1) e «le società di persone, cooperative e di capitali, anche a scopo consortile, sono considerate imprenditori agricoli professionali qualora lo statuto preveda quale oggetto sociale l’esercizio esclusivo delle attività agricole di cui all’articolo 2135 del codice civile e siano in possesso dei seguenti requisiti:

a) nel caso di società di persone qualora almeno un socio sia 5 in possesso della qualifica di imprenditore agricolo professionale. Per le società in accomandita la qualifica si riferisce ai soci accomandatari; b) nel caso di società cooperative, ivi comprese quelle di conduzione di aziende agricole, qualora almeno un quinto dei soci sia in possesso della qualifica di imprenditore agricolo professionale; c) nel caso di società di capitali, quando almeno un amministratore sia in possesso della qualifica di imprenditore agricolo professionale» (comma 3).

2.5. Il Collegio ritiene di condividere i principi espressi in sede di legittimità da un orientamento recente, ma in via di consolidamento (dopo un isolato arresto di segno contrario: Cass., n. 22484/2017), secondo cui le disposizioni di cui al D.L.vo 18 maggio 2001 n. 228 ed al D.L.vo 29 marzo 2004 n. 99 hanno profondamente inciso sulla stessa configurazione del requisito soggettivo per la fruizione dell’agevolazione, fornendo una lettura più in linea con la normativa eurounitaria.

2.6. In particolare è stato affermato che, in tema di I.C.I., le agevolazioni previste dall’art. 9 del D.L.vo 30 dicembre 1992 n. 504, consistenti nel considerare agricolo anche il terreno posseduto da una società agricola di persone si applicano – a seguito della modifica dell’art. 12 della Legge 9 maggio 1975 n. 153 da parte dell’art. 10 del D.L.vo 18 maggio 2001 n. 228 e della sua successiva abrogazione e sostituzione con l’art. 1 del D.L.vo 29 marzo 2004 n. 99 – qualora detta società possa essere considerata imprenditore agricolo professionale ove lo statuto preveda quale oggetto sociale l’esercizio esclusivo delle attività agricole di cui all’art. 2135 cod. civ. ed almeno un socio sia in possesso della qualifica di imprenditore agricolo ovvero abbia conoscenze e competenze professionali, ai sensi dell’art. 5 del regolamento 6 (CE) n. 1257 del 17 maggio 1999, e dedichi alle attività agricole di cui all’art. 2135 cod. civ. almeno il cinquanta per cento del proprio tempo di lavoro complessivo, ricavando da dette attività almeno il cinquanta per cento del proprio reddito globale da lavoro (cfr. Cass. civ. nn. 11415/2019, 28062/2018, 375/2017; conf. Cass. n. 27130/2020 in motiv.).

2.7. Peraltro, come anche nelle altre fattispecie interessate dal mutato indirizzo, in relazione alle annualità in contestazione, erano già entrate in vigore le disposizioni di cui al D.L.vo 18 maggio 2001 n. 228 e del D.L.vo 29 marzo 2004 n. 99, che hanno profondamente inciso sulla stessa configurazione del requisito soggettivo per la fruizione dell’agevolazione, il primo, oltre ad individuare la nuova nozione codicistica (art. 2135 cod. civ.) di imprenditore agricolo, stabilendo, per quanto qui interessa, (art. 12 della Legge 9 maggio 1975 n. 153, quale sostituito dall’art. 10 del D.L.vo 18 maggio 2001 n. 228), che «le società sono considerate imprenditori agricoli a titolo principale qualora lo statuto preveda quale oggetto sociale l’esercizio esclusivo dell’attività agricola» e, nel caso di società di persone (lett. a), «qualora almeno la metà dei soci sia in possesso della qualifica di imprenditore agricolo a titolo principale», disposizione ora abrogata dall’art. 1 del D.L.vo 29 marzo 2004 n. 99, stabilendo che «le società di persone, cooperative e di capitali, anche a scopo consortile, sono considerate imprenditori agricoli professionali qualora lo statuto preveda quale oggetto sociale l’esercizio esclusivo delle attività agricole di cui all’articolo 2135 del codice civile e siano in possesso dei seguenti requisiti: a) nel caso di società di persone qualora almeno un socio sia in possesso della qualifica di imprenditore agricolo professionale (…)».

2.8. Sulla portata novativa del D.L.vo 18 maggio 2001 n. 228, anche in epoca più risalente, tuttavia, era stato osservato che la Corte di Giustizia, intervenendo con due successivi arresti in materia tributaria sulla nozione di <<imprenditore agricolo a titolo principale>>, «(…) ha affermato che non è possibile ricavare dalle disposizioni del trattato o dalle norme di diritto comunitario derivato una definizione comunitaria generale ed uniforme di <<azienda agricola>>, valida per tutte le disposizioni di legge e di regolamento concernenti la produzione agricola (C. Giust. 15/10/1992 in C-162/91 par. 19), riguardando il regolamento 797/85 un regime di aiuti agli investimenti nel settore agricolo rigorosamente determinati, mentre altre modalità di aiuti (nella specie agevolazioni tributarie in tema di imposta di registro) riguardano esclusivamente il legislatore nazionale; concetto quest’ultimo riferibile evidentemente ad altri tributi (e nella specie all’I.C.I.) e ribadito con la sentenza della stessa Corte 11 gennaio 2001 n. 403 in C-403/98 nella quale si afferma (par. 26 e segg.) che le disposizioni dei regolamenti comunitari (e nella specie quelle dei regolamenti 797/85 e 232/91 in materia di aiuti agli investimenti nell’agricoltura) non producono tutte effetti immediati nell’ordinamento nazionale, ma richiedono norme attuative in assenza delle quali (par. 29) gli art. 2, n. 5, u.c. del reg. 797/85 e 5 n. 5 u. c. del reg. 2328/91 (che richiedono la parificazione delle persone giuridiche a quelle fisiche nel settore agricolo) non possono essere invocati davanti ad un giudice nazionale da società di capitali al fine di ottenere il riconoscimento dello status di imprenditore agricolo a titolo principale allorché il legislatore di uno Stato membro non ha adottato le misure necessarie per la loro esecuzione nel suo ordinamento giuridico interno”, misure che possono in effetti riscontrarsi nel d.lgs. n. 228 del 2001, di portata non retroattiva (…)» (in termini: Cass. n. 5931/2010).

2.9 Nella specie, la Commissione Tributaria Regionale non ha dunque fatto corretta applicazione del principio enunciato, atteso che, dopo aver premesso che i fondi sono condotti nella forma dell’impresa agricola societaria da parte dei contribuenti, ha affermato che <<la conduzione del fondo attraverso una società semplice costituita dagli stessi contribuenti esclude l’applicazione del trattamento agevolato di cui all’art. 9 d. legisl. n. 504/1992>>, cosicché <<qualora l’attività di coltivazione e conduzione del fondo sia esercitata in forma diversa attraverso il ricorso allo strumento della società semplice, il beneficio non è più applicabile in quanto viene a mancare il collegamento diretto con la persona fisica>>.

2.10. L’accoglimento del motivo in esame determina l’assorbimento del secondo, anch’esso concernente un seppur diverso trattamento agevolato dei terreni, in quanto asseritamente insistenti in ambito montano ex articolo 7 lett h) d.lvo 504/92.

3.1. Va invece respinto il terzo motivo relativamente ai fabbricati che insistono sugli immobili in questione, da esaminare preliminarmente rispetto al secondo motivo.

3.2. Come già affermato da questa Corte (cfr. Cass. n. 2115/2017), per la dimostrazione della ruralità dei fabbricati, ai fini del trattamento esonerativo, è dirimente l’oggettiva classificazione catastale con attribuzione della relativa categoria (A/6 per le unità abitative, o D/10 per gli immobili strumentali), sicché l’immobile che sia stato iscritto come <<rurale>>, in conseguenza della riconosciuta ricorrenza dei requisiti previsti dall’art. 9 del d.l. 30 dicembre 1993, n. 557 (conv. in legge 26 febbraio 1994, n. 133) non è soggetto all’imposta, ai sensi dell’art. 23 comma 1 bis del d.l. 30 dicembre 2008, n. 207 (conv. in legge 27 febbraio 2009, n. 14) e dell’art. 2, comma 1, lett. a), del d.lgs. 30 dicembre 1992 n. 504; per converso, qualora l’immobile sia iscritto in una diversa categoria catastale (di non ruralità), è onere del contribuente, che invochi l’esenzione dall’imposta, impugnare l’atto di classamento per la ritenuta ruralità del fabbricato, restandovi altrimenti quest’ultimo assoggettato, ed allo stesso modo, il Comune deve impugnare autonomamente l’attribuzione della categoria catastale A/6 o D/10, al fine di poter legittimamente pretendere l’assoggettamento del fabbricato all’Ici.

3.3. Si tratta di orientamento già fissato dalla sentenza SSUU n. 18565/2009, ed a tale orientamento hanno fatto seguito innumerevoli pronunce di legittimità (Cass. nn. 7102/2010; 8845/2010; 20001/2011; 19872/2012; 5167/2014), confermate da Cass. n. 16737/2015, con la quale, in particolare, è stato osservato che <<non ha alcuna rilevanza nel caso in esame la questione dello svolgimento o meno, nel fabbricato di cui trattasi, di attività diretta alla manipolazione o alla trasformazione di prodotti agricoli (conferiti dai soci come da chiunque altro). L’esenzione dall’Ici per i fabbricati di tipo rurale segue il criterio della determinazione catastale, nel senso che per la dimostrazione della ruralità dei fabbricati, ai fini del trattamento esonerativo, è rilevante l’oggettiva classificazione catastale con attribuzione della relativa categoria (A/6 o D/10). Solo l’immobile che sia stato iscritto come rurale, in conseguenza della riconosciuta ricorrenza dei requisiti previsti dal D.L. 30 dicembre 1993, n. 557, art. 9 del (convertito, con modificazioni, dalla L. 26 febbraio 1994, n. 133), non è soggetto all’imposta, ai sensi del D.L. 30 dicembre 2008, n. 207, art. 23, comma 1-bis, (convertito, con modificazioni, dalla L. 27 febbraio 2009, n. 14) e del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 2, comma 1, lett. a). Cosicché, qualora l’immobile sia iscritto in una diversa categoria catastale, è onere del contribuente, che pretenda l’esenzione dall’imposta, impugnare l’atto di classamento per la ritenuta ruralità del fabbricato, quest’ultimo restandovi, altrimenti, assoggettato>>.

3.4. Nello stesso senso, Cass. n. 7930/2016, ha ribadito che in tema d’ICI, ai fini del trattamento esonerativo rileva l’oggettiva classificazione catastale dell’immobile, per cui l’immobile iscritto come <<rurale>>, con attribuzione della relativa categoria (A/6 o D/10), non è soggetto all’imposta, ai sensi dell’art. 23, comma 1 bis, del d.l. n. 207 del 2008 e dall’art. 2, comma 1, lett. a), del d.lgs. n. 504 del 1992, mentre, qualora l’immobile sia iscritto in una diversa categoria catastale, è onere del contribuente, che pretenda l’esenzione, impugnare l’atto di classamento; fermo restando, invece, che se il fabbricato non risulti iscritto in catasto e il contribuente agisca per ottenere il rimborso dell’imposta, l’accertamento della ruralità può essere immediatamente compiuto dal giudice, ma incombe al contribuente dimostrare la sussistenza dei requisiti ex art. 9 del d. l. n. 557 del 1993.

3.5. Le SSUU cit. si sono fatte carico anche dei profili di jus superveniens riconducibili all’emanazione di due norme rilevanti (entrambe di efficacia retroattiva): – il co.3 bis dell’art.9 d.l. 557/93 conv. in L. 222/07, come introdotto dall’articolo 42 bis d.l. 9/07 conv. in l. 222/07, secondo cui <<ai fini fiscali deve riconoscersi carattere di ruralità alle costruzioni strumentali necessarie allo svolgimento dell’attività agricola di cui all’articolo 2135 del codice civile e in particolare destinate: (…) i) alla manipolazione, trasformazione, conservazione, valorizzazione o commercializzazione dei prodotti agricoli, anche se effettuate da cooperative e loro consorzi di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 228; (…)>>; – il co.1 bis dell’art.23 d.l. 207/08 conv. in l.14/09, secondo cui <<ai sensi e per gli effetti dell’articolo 1, comma 2, della legge 27 luglio 2000, n. 212, l’articolo 2, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, deve intendersi nel senso che non si considerano fabbricati le unità immobiliari, anche iscritte o iscrivibili nel catasto fabbricati, per le quali ricorrono i requisiti di ruralità di cui all’articolo 9 del decreto-legge 30 dicembre 1993, n. 557, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 1994, n. 133, e successive modificazioni>>.

3.6. Nel prendere in esame, in particolare, quest’ultima disposizione (successiva e presupponente quella introdotta dall’art. 42 bis cit.), le SSUU hanno tratto argomento per affermare come la disciplina sopravvenuta, lungi da smentire la necessaria rilevanza, ai fini Ici, della classificazione catastale, l’abbia ulteriormente confortata e resa imprescindibile; al punto che l’obiettivo di sottrarre il fabbricato strumentale all’imposizione di un tributo che trova il suo presupposto proprio nella natura di fabbricato accatastato o accatastabile del cespite (artt.1 e 2 d.lgs. 504/92) è stato perseguito dal legislatore (ex art. 23 d.l. 207/08 cit.) mediante, non già l’esenzione dalla classificazione in categoria catastale di ruralità, bensì – e più in radice – attraverso l’espunzione di tali unità immobiliari, così accatastate, dalla nozione legislativa medesima di “fabbricato”.

3.7. Hanno in proposito osservato le SSUU – riaffermando la <<decisività della classificazione catastale come elemento determinante per escludere, o affermare, l’assoggettabilità ad Ici di un fabbricato>> – che la norma da ultimo citata, di natura interpretativa, <<sostanzialmente conferma che la ruralità del fabbricato direttamente ed immediatamente rileva ai fini della relativa classificazione catastale, ma ricollega a questa conseguita classificazione l’esclusione del fabbricato (catastalmente riconosciuto come) rurale dalla stessa nozione di fabbricato imponibile ai fini Ici>>.

3.8. Affermazione, quest’ultima, certamente valida anche nell’interpretazione del comma 3 bis dell’art.9 d.l. 557/93 cit., con la conseguenza che non è dato al giudice tributario (salvo il caso, qui non ricorrente, di fabbricato non iscritto in catasto) di accertare in concreto, incidentalmente, il carattere rurale del fabbricato di cui si sostenga l’esenzione da Ici.

3.9. Nemmeno, i su richiamati precedenti giurisprudenziali di segno contrario possono trovare condivisione alla luce dell’ulteriore jus superveniens costituito: – dal d.l. n. 70 del 13 maggio 2011, convertito dalla legge n. 106 del 12 luglio 2011 che, all’art. 7, comma 2 bis, ha previsto che, ai fini del riconoscimento della ruralità degli immobili, i contribuenti avessero la facoltà (esercitabile entro il 30 settembre 2011) di presentare all’allora Agenzia del Territorio una domanda di variazione della categoria catastale per l’attribuzione delle categoria A/6 e D/10, a seconda della destinazione, abitativa o strumentale dell’immobile, sulla base di un’autocertificazione attestante che l’immobile possedeva i requisiti di ruralità di cui all’art. 9 del D.L. n. 557/1993, convertito in L. n. 133/1994, e modificato dall’art. 42 bis del D.L. 1 ottobre 2007, n. 159, convertito con modificazioni in L. 29 novembre 2007, n. 159, <<in via continuativa a decorrere dal quinto anno antecedente a quello di presentazione della domanda>>; – dal d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, in L. 22 dicembre 2011, n. 214 che ha quindi previsto, all’art. 13, comma 14 bis, che le domande di variazione di cui al predetto D.L. n. 70 del 2011, producessero <<gli effetti previsti in relazione al riconoscimento del requisito della ruralità fermo restando il classamento originario degli immobili ad uso abitativo>>; – dal decreto del ministero dell’economia e delle finanze del 26 luglio 2012, che ha stabilito, all’art. 1, che <<ai fabbricati rurali destinati ad abitazione ed ai fabbricati strumentali all’esercizio dell’attività agricola è attribuito il classamento, in base alle regole ordinarie, in una delle categorie catastali previste nel quadro generale di qualificazione. Ai fini dell’iscrizione negli atti del catasto della sussistenza del requisito di ruralità in capo ai fabbricati rurali di cui al comma 1, diversi da quelli censibili nella categoria D/10 (Fabbricati per funzioni produttive connesse alle atti vità agricole), è apposta una specifica annotazione. Per il riconoscimento del requisito di ruralità, si applicano le disposizioni richiamate all’art. 9 del decreto-legge 30 dicembre 1993, n. 557, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 1994, n. 133.

Art. 2 Presentazione delle domande per il riconoscimento del requisito di rurali >>; – dal d.l. 31 agosto 2013, n. 102, convertito, con modificazioni, in L. 28 ottobre 2013, n. 124, all’art. 2, comma 5 ter, che ha stabilito che <<ai sensi dell’articolo 1, comma 2, della legge 27 luglio 2000, n. 212, l’articolo 3, comma 14 bis, del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, deve intendersi nel senso che le domande di variazione catastale presentate ai sensi dell’articolo 7, comma 2 bis, del decreto legge 13 maggio 2011, n. 70, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 maggio 2011, n. 106, e l’inserimento dell’annotazione degli atti catastali, producono gli effetti previsti per il requisito di ruralità di cui all’articolo 9 del decreto legge 30 dicembre n. 557, conv. con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 1994 n. 133, e successive modificazioni, a decorrere dal quinto anno antecedente a quello di presentazione della domanda>>.

3.10. Si tratta infatti di disposizioni che rafforzano l’orientamento esegetico già adottato dalle SSUU nel 2009, in quanto disciplinano le modalità (di variazione-annotazione) attraverso le quali è possibile pervenire alla classificazione della ruralità dei fabbricati, anche retroattivamente, onde beneficiare dell’esenzione Ici, sulla base di una procedura ad hoc che non avrebbe avuto ragion d’essere qualora la natura esonerativa della ruralità fosse dipesa dal solo fatto di essere gli immobili concretamente strumentali all’attività agricola, a prescindere dalla loro classificazione catastale conforme.

3.11. Nel caso che occupa i fabbricati dei contribuenti, accatastati come abitativi, come rilevato dalla Commissione Tributaria Regionale, debbono, perciò, ritenersi assoggettati all’imposizione Ici per le annualità 2007-2008, posto che non risulta sia stato neppure richiesto il riconoscimento della ruralità a norma del D.L. n. 70 del 2012.

4. Sulla scorta di quanto sin qui illustrato, ne consegue che la censura non può trovare accoglimento, atteso che la decisione della Commissione Tributaria Regionale risulta conforme all’indirizzo di legittimità in materia di Ici dei fabbricati rurali.

4. Le considerazioni sin qui svolte comportano l’accoglimento del primo motivo di ricorso, respinto il terzo ed assorbito il secondo, e la cassazione della sentenza impugnata limitatamente al motivo accolto.

5. Inoltre, non richiedendosi, per la risoluzione della controversia, alcun altro accertamento di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ex art. 384 c.p.c., comma 1, con l’accoglimento del ricorso introduttivo dei contribuenti limitatamente ai terreni agricoli.

6. Poiché l’orientamento giurisprudenziale di questa Corte, in base al quale si è decisa la causa, s’è consolidato dopo la proposizione del ricorso per cassazione, si ritiene opportuno compensare tra le parti le spese processuali delle fasi di merito e di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il primo motivo di ricorso, respinto il terzo motivo ed assorbito il secondo motivo; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso introduttivo dei contribuenti limitatamente ai terreni agricoli; compensa tra le parti le spese processuali dei gradi di merito e di legittimità.