CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 31 luglio 2020, n. 16505
Tributi – Accertamento – Contenzioso tributario – Omessa documentazione di prestazioni di servizi effettuati
Fatti di causa
1. Con la sentenza n. 02/02/12 del 08/02/2012, la Commissione tributaria regionale della Sicilia – Sezione staccata di Messina (di seguito CTR) respingeva l’appello principale proposto da S. Hotels s.r.l. (di seguito SH) ed accoglieva l’appello incidentale dell’Agenzia delle entrate avverso la sentenza n. 355/13/07 della Commissione tributaria provinciale di Messina (di seguito CTP), che aveva accolto parzialmente il ricorso proposto dalla società contribuente avverso un avviso di accertamento per IRPEG, IRAP e IVA relative all’anno d’imposta 1999.
1.1. Come emerge anche dalla sentenza impugnata, l’avviso di accertamento era stato emesso per numerose violazioni tributarie commesse dalla società contribuente nell’esercizio della propria attività.
1.2. La CTR, per quanto ancora interessa in questa sede, motivava il rigetto dell’appello principale di SH e l’accoglimento di quello incidentale dell’Agenzia delle entrate osservando che: a) all’entrata in vigore della I. 27 dicembre 2002, n. 289 (01/01/2003), era pendente il procedimento penale nei confronti degli amministratori e detto procedimento costituiva causa ostativa alla definizione agevolata prevista dalla legge; b) poiché risultava comprovata la omessa documentazione di prestazioni di servizi effettuati da N.P. & C. s.a.s. nei confronti della società contribuente, era dovuta l’IVA riconnessa al costo non fatturato.
2. SH impugnava la sentenza della CTR con ricorso per cassazione, affidato a due motivi, illustrati da memoria ex art. 380 bis.1 cod. proc. civ.
3. L’Agenzia delle entrate resisteva con controricorso.
4. Con ordinanza resa all’esito dell’udienza camerale del 14/01/2020 la causa veniva rinviata alla pubblica udienza, ritenendo la Corte che «la questione attinente alla ostatività alla definizione agevolata della sussistenza di un procedimento penale definito con sentenza di non luogo procedere o di assoluzione merita un approfondimento non consentito in camera di consiglio, anche in ragione della questione di legittimità costituzionale sollevata da parte ricorrente».
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso SH deduce la violazione e la falsa applicazione degli artt. 9 e 15 della I. n. 289 del 2002, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., in quanto la non ammissione alla definizione prevista dalla legge in ragione del procedimento penale pendente contro gli amministratori della società sarebbe illegittima, essendo stato il menzionato procedimento definito in sede penale con sentenza di non doversi procedere o di assoluzione.
2. Con il secondo motivo di ricorso si contesta omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., e la violazione dell’art. 39 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, dell’art. 11 del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, dell’art. 19 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 e degli artt. 1, 5, comma 4, e 6, comma 6, del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, evidenziandosi che erroneamente la CTR ha ritenuto la legittimità delle riprese (illegittima deduzione di costi ai fini delle imposte dirette e indebita detrazione dell’IVA) concernenti i lavori (non fatturati) effettuati da N.P. & C. s.a.s. in favore di SH.
2.1. In buona sostanza, la società contribuente si duole dell’omesso esame delle risultanze del processo verbale di constatazione e dell’avviso di accertamento, dall’esame congiunto dei quali si evincerebbe che mentre la contestazione contenuta nel primo riguarderebbe l’omessa autofatturazione, la contestazione contenuta nel secondo riguarderebbe l’indebita deduzione di costi e l’indebita detrazione dell’IVA.
3. Il motivo è infondato.
3.1. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, «in tema di condono fiscale, l’art. 15, comma 1, ultimo periodo, della legge 27 dicembre 2002, n. 289, va inteso nel senso che il contribuente non può beneficiare del condono in tutti i casi di esercizio dell’azione penale, di cui egli abbia avuto formale conoscenza, per i reati previsti dal d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, e non solo nelle ipotesi in cui vi sia una stretta e diretta connessione tra la fattispecie di reato contestata ed i rilievi oggetto dell’atto tributario definibile in via agevolata, rispondendo tale interpretazione alla “ratio” della norma diretta a precludere l’accesso al beneficio del condono a chiunque, come imputato di un qualsiasi reato tributario, si riveli “indegno” a fruirne» (Cass. n. 11926 del 28/05/2014; Cass. n. 30227 del 22/11/2018).
3.1.1. Tale previsione opera anche nei confronti della società nel caso in cui ad essere sottoposti a procedimento penale sono gli amministratori della stessa (Cass. n. 21292 del 29/08/2018; Cass. n. 26810 del 18/12/2014; Cass. n. 10499 del 14/05/2014; Cass. n. 8705 del 10/04/2013; Cass. n. 21795 del 05/12/2012; Cass. n. 8324 del 25/05/2012), i quali devono avere avuto conoscenza del procedimento penale pendente entro la data prevista per il perfezionamento della definizione (Cass. n. 20088 del 24/09/2014);
3.1.2. È stato anche affermato che «la disposizione di cui all’art. 15, comma 1, della legge 27 dicembre 2002, n. 289, che eleva a causa ostativa, in via generale e senza eccezioni, l’avvenuto esercizio dell’azione penale anteriormente ad una specifica data, risponde a canoni di eguaglianza e razionalità, atteso che l’opposta opzione, di attribuire rilevanza ai successivi esiti del processo, avrebbe di fatto impedito di assicurare la definizione del relativo procedimento entro tempi certi e ragionevoli» (Cass. n. 10499 del 2014, cit.).
3.2. Nel caso di specie, è pacifico che SH abbia avuto notizia del procedimento penale pendente nei confronti dei suoi amministratori in data antecedente a quella di perfezionamento della definizione agevolata (16/04/2003) e, con riferimento ad H.M.G., che la stessa sia stata assolta solo in epoca successiva alla menzionata data, sicché deve ritenersi che la società contribuente non può beneficiare del condono, come correttamente affermato dalla CTR.
3.3. La ragionevolezza della disposizione richiamata rende, poi, manifestamente infondata l’eccezione di costituzionalità proposta, in via gradata, da SH in relazione all’art. 3 Cost.: «la scelta discrezionale del legislatore, di configurare quale causa ostativa del condono, in via generale e senza eccezioni, un determinato evento (esercizio dell’azione penale) cristallizzato ad una determinata data, deve ritenersi conforme a canoni di eguaglianza e di razionalità, considerato che l’opposta scelta di attribuire rilevanza ai successivi esiti del processo, avrebbe di fatto impedito di assicurare la definizione del procedimento di condono entro tempi certi e ragionevoli» (così, in motivazione, Cass. n. 10499 del 2014, cit.).
3.3.1. A ciò può aggiungersi che: a) il condono è un istituto di carattere straordinario ed eccezionale, che ha lo scopo precipuo di riduzione del contenzioso, sicché la scelta di precludere l’accesso al beneficio non determina una disparità di trattamento, essendo rivolta in ogni caso a chiunque sia imputato di un qualsiasi reato tributario, con valutazione comunque affidata ad un organo esterno all’Amministrazione finanziaria quale il pubblico ministero; b) l’eventuale e contingente durata del procedimento penale, che può concludersi con l’assoluzione sia prima del 16/04/2003 che successivamente, costituisce un elemento fattuale estraneo alla fattispecie normativa, che non ne fa venire meno la intrinseca ragionevolezza;
4. Il secondo motivo, con cui si denuncia essenzialmente un vizio di motivazione, è inammissibile.
4.1. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, «la motivazione omessa o insufficiente è configurabile soltanto qualora dal ragionamento del giudice di merito, come risultante dalla sentenza impugnata, emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione, ovvero quando sia evincibile l’obiettiva carenza, nel complesso della medesima sentenza, del procedimento logico che lo ha indotto, sulla base degli elementi acquisiti, al suo convincimento, ma non già quando, invece, vi sia difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato dal primo attribuiti agli elementi delibati, risolvendosi, altrimenti, il motivo di ricorso in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento di quest’ultimo tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione» (Cass. S.U. n. 24148 del 25/10/2013).
4.2. Nel caso di specie, la CTR ha motivato la decisione di confermare l’avviso di accertamento proprio sulla base delle risultanze del processo verbale di constatazione, sicché la diversa valutazione dei fatti che sembra suggerire la ricorrente non può essere delibata in sede di legittimità.
5. In conclusione, il ricorso va rigettato, con conseguente condanna della ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio, che si liquidano come in dispositivo avuto conto di un valore di lite dichiarato di euro 154.427,34.
5.1. Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, che ha aggiunto il comma 1 quater dell’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, ove dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese di lite, che si liquidano in euro 5.600,00, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della I. n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente del contributo unificato previsto per il ricorso a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13, ove dovuto.