CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 31 maggio 2018, n. 13883
Tributi – Imposta di consumo sugli oli lubrificanti – Versamento accise sugli oli minerali – Violazione di norme comunitarie – Sentenza della Corte di Giustizia C-437/01 – Rimborso – Applicazione del termine di decadenza ex art. 14, del D.Lgs. n. 504/1995 – Decorrenza dalla data del pagamento
Fatti di causa
L’Agenzia delle Dogane ricorre con due motivi per la cassazione della sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Liguria indicata in epigrafe con la quale è stato rigettato l’appello dell’ufficio locale dell’Agenzia e confermato il diritto della C.S.I.L. e A. s.r.l al rimborso dell’imposta di consumo sugli oli lubrificanti da essa corrisposta negli anni 2000, 2001, 2002 e 2003.
Il giudice di appello premetteva, in punto di fatto, che: la C.S.I.L. e A. S.r.l, società che gestisce un deposito di prodotti lubrificanti di sua proprietà e di soggetti terzi, aveva provveduto, per gli anni 2000, 2001, 2002 e 2003, al versamento dell’imposta di consumo prevista dall’art. 62, comma 1, del decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504 e che, a seguito della pronuncia del 25 settembre 2003 (resa nella causa C-437/01) della Corte di Giustizia, che aveva dichiarato la contrarietà dell’art. 62, comma 1, sopra citato, con l’ordinamento comunitario, la suddetta società, con istanza presentata il 7 dicembre 2004 all’Agenzia delle entrate e il 9 dicembre 2004 all’Ufficio tecnico di Finanza (U.T.F) di Genova, aveva richiesto il rimborso dell’importo di euro 569.629,37 in quanto illegittimamente corrisposto; l’U.T.F. di Genova aveva notificato alla società un provvedimento di diniego integrale del rimborso e, avverso il suddetto atto, la società aveva proposto ricorso dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Genova che, con sentenza n. 167/03/2007, depositata il 2 luglio 2008, lo aveva accolto, riconoscendo il diritto della società al rimborso delle imposte illegittimamente versate; avverso la suddetta pronuncia aveva proposto appello l’Agenzia delle dogane – circoscrizione dogale di Genova, eccependo la decadenza dal diritto al rimborso, ai sensi dell’art. 14 del decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504, (che prevede che il rimborso deve essere richiesto, a pena di decadenza, entro due anni dalla data del pagamento ovvero dalla data in cui il relativo diritto può essere esercitato) e, in subordine, l’applicabilità nella fattispecie della previsione di cui all’art. 29, comma 2, della legge 29 dicembre 1990, n. 428, in materia di non rimborsabilità dei tributi riconosciuti incompatibili con norme comunitarie qualora il relativo onere sia stato trasferito ad altri soggetti; la società si era costituita contestando i motivi di impugnazione proposti.
Il giudice di appello, respingendo l’impugnazione, ha confermato il diritto al rimborso, ritenendo, in particolare, non applicabile l’art. 14 del d.lgs. n. 504/1995, atteso che tale previsione troverebbe applicazione solo nel caso di versamento di una maggiore imposta per effetto di errore compiuto dal contribuente o dall’Amministrazione su di un prodotto soggetto ad imposta, non anche in ipotesi, quale quella in esame, di difetto del potere impositivo dello Stato, nel qual caso dovendo trovare applicazione il termine di prescrizione ordinario decennale.
Avverso la suddetta pronuncia ha proposto ricorso l’Agenzia delle dogane affidato a due motivi di censura.
La C.S.I.L. e A. s.r.l. si è costituita con controricorso.
All’udienza pubblica del 25 marzo 2013, la Corte, sentiti il Pubblico Ministero e i procuratori delle parti, rinviava la causa a nuovo ruolo per la sua rifissazione all’esito della decisione delle Sezioni Unite alla quale la Sesta sezione della medesima Corte, con ordinanza del 16 gennaio 2013, n. 959, aveva rimesso la questione sulla decorrenza del termine per la ripetizione dell’indebito fiscale in caso di violazione delle norme comunitarie.
Il ricorso è stato quindi fissato per l’odierna udienza.
Con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 14, comma 2, del decreto legislativo n. 504/1995 e dell’art. 1, comma 2, lettera h) del DM 12 dicembre 1996, n. 698, anche con riferimento agli artt. 2946, 2041 e 2033, cod. civ., in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3), cod. proc. civ., per avere il giudice di appello erroneamente ritenuto non applicabile alla fattispecie il termine di decadenza di cui all’art. 14 del decreto legislativo n. 504/1995 e, invece, applicato il termine di prescrizione decennale.
La ricorrente argomenta, sul punto, che la disposizione in esame ha valenza specifica per tutti i tributi regolati dal decreto legislativo n. 504/1995, sicché non potrebbe essere preso in considerazione il termine di prescrizione decennale di cui all’art. 2946 cod. civ., che trova applicazione solo in assenza di specifica disciplina in materia. Osserva, in particolare, che la stessa Corte di Giustizia ha, in più occasioni, chiarito che il diritto comunitario non vieta ad uno Stato membro di opporre alle azioni di ripetizione di tributi riscossi in violazione del diritto comunitario un termine nazionale di decadenza, purché tale restrizione sia rispettosa del principio di equivalenza e si applichi indifferentemente, per lo stesso tipo di tasse o canoni, a ricorsi fondati sulla violazione del diritto comunitario e a quelli fondati sull’inosservanza del diritto interno, il che sarebbe riscontrabile nel caso di specie, in quanto il termine di decadenza in esame troverebbe applicazione con riferimento a tutte le domande di rimborso relative alle imposte disciplinate dal decreto legislativo n. 504/1995, sia che esse siano in contrasto con il diritto comunitario sia che, invece, non abbiano alcun rilievo per l’ordinamento comunitario.
Con il secondo motivo di ricorso si censura la sentenza impugnata per contraddittorietà e insufficienza della motivazione circa un fatto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 5), cod. proc. civ., per non avere il giudice di appello motivato sulle ragioni per le quali ha ritenuto di disattendere la linea difensiva della ricorrente in ordine alla non applicabilità alla fattispecie del termine di prescrizione ordinario di cui all’art. 2946 cod. civ., stante la prevalenza della disposizione speciale di cui all’art. 14 del decreto legislativo n. 504/1995.
La controricorrente ha contestato i motivi di ricorso proposti.
In particolare, ha eccepito l’inammissibilità del ricorso: per violazione del principio di autosufficienza, atteso che l’affermazione contenuta nel ricorso, in ordine al fatto che era pacifico e incontestato tra le parti che l’istanza di rimborso era stata presentata quando il biennio dal pagamento di tutte le annualità era già maturato, non era corrispondente al vero e comunque non risultava alcuna indicazione nel ricorso delle espressioni da cui ricavare che la questione era da considerarsi non contestata; per contraddittorietà fra il motivo di ricorso e il petitum, in quanto, anche ove si applicasse la previsione di cui all’art. 14 del decreto legislativo n. 504/1995, non sarebbero da considerarsi sottoposti alla decadenza i pagamenti effettuati dopo il giorno 8 dicembre 2012, tenuto conto che l’istanza di rimborso era stata presentata il 7 dicembre 2004.
Inoltre, ha contestato il primo motivo di ricorso, tenuto conto che l’art. 14 del decreto legislativo n. 504/1995 non poteva essere considerato rispettoso del principio di equivalenza e di effettività affermato dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia.
Ha, infine, contestato il secondo motivo di ricorso, deducendone l’inammissibilità, atteso che la pronuncia del giudice di appello aveva adeguatamente motivato sulle ragioni per le quali l’art. 14 del decreto legislativo n. 504/1995 non poteva trovare applicazione nel caso di specie.
Ragioni della decisione
1. Sulle questioni preliminari
Preliminarmente, va precisato che, come evidenziato dalla parte controricorrente, la questione oggetto di controversia, tenuto conto delle deduzioni delle parti, attiene unicamente alla corretta interpretazione ed applicabilità alla fattispecie della previsione di cui all’art. 14 del decreto legislativo n. 504/1995, non essendo stata riproposta in questa sede la diversa questione, prospettata nei giudizi di merito in via subordinata, dell’applicabilità dell’art. 29, comma 2, della legge 428/1990 in materia di traslazione dell’onere tributario.
I motivi di ricorso proposti, invero, recedono su tale questione, con conseguente delimitazione della materia del contendere unicamente al profilo sopra indicato.
Ancora in via preliminare va disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso per difetto del principio di autosufficienza proposta dalla parte controricorrente.
La stessa, in particolare, ha eccepito l’inammissibilità del ricorso in quanto presenterebbe motivi e richieste contraddittorie, con violazione del principio di autosufficienza, atteso che parte ricorrente avrebbe assunto come dato pacifico, senza alcuna specifica indicazione sul punto, che l’istanza di rimborso era stata presentata dalla società solo in data 9 dicembre 2004 … Quando il biennio per le annualità in discussione (31 dicembre di ciascun anno di riferimento) era già maturato, come è pacifico e incontestato in causa.
L’eccezione è infondata.
La non contestazione e quindi la pacificità del fatto indicato da parte ricorrente è da riferirsi alla data di presentazione dell’istanza di rimborso (9 dicembre 2004), mentre l’ulteriore passaggio riportato, relativo al maturarsi della decadenza per tutte le annualità è, più correttamente, da riferirsi alla linea difensiva sostenuta, nel corso dei giudizi, dalla parte ricorrente. Ciò risulta confermato dalla memoria del 16 marzo 2013 della ricorrente, ove è precisato, a pag. 2), che “nessuna ragione c’era, quindi, per riprodurre in ricorso l’istanza di rimborso, peraltro presente in atti, perché – ripetesi – non della sua data si discuteva, ma della questione di diritto generale sulla quale è stato formulato il quesito di diritto a conclusione del primo mezzo di gravame”.
Viene quindi chiarito che il fatto pacifico tra le parti era da riferirsi alla data di presentazione dell’istanza di rimborso, mentre, per il resto, il profilo della applicabilità del termine di decadenza costituiva, e lo è anche in questo giudizio, oggetto di contestazione tra le parti e costituisce la materia del contendere. La questione, peraltro, prospettata dalla parte controricorrente, della non applicabilità della decadenza biennale a tutti i versamenti da essa compiuti dal 2000 al 2003 costituisce profilo di accertamento di competenza del giudice del merito.
2. Sul secondo motivo di ricorso
Procedendo logicamente in ordine inverso, il secondo motivo di ricorso è inammissibile.
La censura trascura infatti che il vizio motivazionale di cui all’art. 360, comma primo, n. 5), cod. proc. civ., deve riguardare l’accertamento di un fatto e più precisamente la motivazione circa le ragioni per cui un fatto può o non può considerarsi provato. Nulla di tutto ciò è leggibile nel mezzo in esame, riferito solo ai motivi di diritto che sono stati posti a base delle difese di merito, avendo censurato la decisione del giudice di appello che non ha motivato sulle ragioni per le quali ha ritenuto applicabile nella fattispecie il termine generale di prescrizione di cui all’art. 2946 cod. civ.. Peraltro, le suddette ragioni risultano comunque esplicitate, avendo il giudice di appello chiarito che dalla non applicabilità della previsione di cui all’art. 14 del decreto legislativo n. 504/1995 discendeva la conseguente applicazione della generale previsione di cui all’art. 2946 cod. civ..
3. Sul primo motivo di ricorso
Il primo motivo di ricorso è, invece, fondato.
Sul punto, occorre fare una precisazione.
La pretesa al rimborso delle imposte di consumo sugli oli lubrificanti versate dalla controricorrente nel periodo 2000-2003 trova fondamento sul fatto che la previsione di cui all’art. 62, comma 1, del decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504, è stata ritenuta, dalla pronuncia del 25 settembre 2003 (resa nella causa C-437/01) della Corte di Giustizia, contraria al’ordinamento comunitario.
Non rileva, sul punto, la circostanza, evidenziata dalla ricorrente (vd. pag. 3 del ricorso nonché pag. 4 della memoria del 16 marzo 2013), che, a seguito dell’adozione della direttiva n. 2003/96/CE, come modificata dalla direttiva del Consiglio 29 aprile 2004, 2004/75/CE, la normativa nazionale di cui all’art. 62 del d.lgs. n. 504/1995 non si pone in contrasto con il diritto comunitario (vd. Cass. Civ., sez. V, 29 dicembre 2011, n. 29571).
Invero, la direttiva 27 ottobre 2003 n. 2003/96/CE, che ha escluso dal campo di applicazione del sistema fiscale da essa stabilito i prodotti energetici destinati a usi diversi dalla carburazione e combustione, lasciando liberi gli stati membri liberi di imporre una propria tassazione sui prodotti energetici destinati ad usi diversi dalla combustione o carburazione, senza porre alcun vincolo normativo, ha abrogato esplicitamente le direttive n. 1992/81/CE e n. 1992/82/CE a partire dal 31 dicembre 2003 (articolo 30).
Pertanto, la vicenda in esame, relativa alla richiesta di rimborso delle imposte versate dalla parte controricorrente è da inquadrarsi, temporalmente, nell’ambito del periodo di vigore delle sopra citate direttive n. 1992/81/CE e n. 1992/82/CE, con conseguente operatività del contrasto con la normativa europea della previsione dell’art. 62 del d.lgs. n. 504/1995, come sancito dalla Corte di giustizia con la sentenza del 25 settembre 2003 (in causa C-437/01).
In astratto, quindi, può correttamente ragionarsi, con riferimento alla fattispecie in esame, della pretesa della controricorrente al rimborso delle imposte versate in ragione di quanto disposto da una previsione normativa (l’art. 62, comma 1, del d.lgs. n. 504/1995) che, ratione temporis, era da considerarsi non conforme alla normativa comunitaria.
La questione, più in particolare, deve essere considerata alla luce di quanto previsto dall’art. 14, comma 2, del decreto legislativo n. 504/1995, che prevede che il rimborso deve essere richiesto, a pena di decadenza, entro due anni dalla data del pagamento ovvero dalla data in cui il relativo diritto può essere esercitato Ciò precisato, profilo centrale da esaminare, evidenziata dalla parte ricorrente nel primo motivo di censura, è quello della verifica della decorrenza del termine di decadenza entro cui l’istanza di rimborso deve essere proposta in caso di pronuncia della Corte di giustizia che ha ritenuto il contrasto di una previsione normativa nazionale con quella comunitaria.
Su questa questione, le Sezioni Unite di questa Corte, con la pronuncia 16 giugno 2014, n. 13676, hanno precisato che «costituisce principio immanente in ogni Stato di diritto quello in virtù del quale qualsiasi situazione o rapporto giuridico diviene irretrattabile in presenza di determinati eventi, quali lo spirare di termini di prescrizione o di decadenza, l’intervento di una sentenza passata in giudicato, o altri motivi previsti dalla legge, e ciò a tutela del fondamentale e irrinunciabile principio, di preminente interesse costituzionale, della certezza delle situazioni giuridiche: si tratta della nota categoria dei c.d. rapporti esauriti, la cui definizione spetta solo al legislatore determinare, nel rispetto dei principi di uguaglianza e di ragionevolezza».
Pertanto, prosegue la citata pronuncia «Il limite dell’esaurimento del rapporto in ordine alla efficacia retroattiva delle pronunce di illegittimità costituzionale è principio pacifico e non si ravvisano ragioni, sotto questo aspetto, come già detto, per distinguere dette pronunce dalle sentenze, aventi anch’esse efficacia dichiarativa, con le quali la Corte di giustizia afferma l’incompatibilità di una norma nazionale con il diritto comunitario».
In definitiva, dunque, le Sezioni Unite di questa Corte hanno confermato, sulla questione in esame, l’orientamento prevalente e più antico nel senso della decorrenza del termine di decadenza dalla data del pagamento, a nulla rilevando che in quel momento non fosse stata ancora dichiarata l’incompatibilità della norma interna con il diritto comunitario: si segnalano Cass., sez. un., n. 3458 del 1996 (in tema di rimborso della c.d. tassa sulle società), Cass. n. 4670 e n. 13087 del 2012 (sull’imposta di consumo sugli oli lubrificanti).
Facendo applicazione al caso di specie della pronuncia delle Sezioni Unite sopra citata, deve quindi ritenersi che il primo motivo di ricorso è fondato, non avendo la pronuncia del giudice di appello fatta corretta applicazione dell’art. 14 del decreto legislativo n. 504/1995, ritenendo, non correttamente, che la suddetta previsione, che impone un termine di decadenza biennale decorrente dalla data del pagamento, non possa trovare applicazione nel caso di riscontrata contrarietà di norme dell’ordinamento interno con quelle comunitarie.
4. Sul contrasto dell’articolo 14, comma 2, del d.lgs. 504/1995 con i principi di effettività e di equivalenza.
Va infine esaminata la questione, prospettata dalla parte controricorrente, del ritenuto contrasto della previsione di cui all’art. 14, comma 2, in rubrica, con i principi di effettività e di equivalenza elaborati dalla giurisprudenza della Corte di giustizia.
In particolare, si segnala che secondo il costante orientamento della giurisprudenza comunitaria, le modalità di rimborso dei tributi nazionali ritenuti incompatibili con le norme del diritto dell’unione «non possono né essere meno favorevoli di quelle che disciplinano ricorsi analoghi di natura interna (principio di equivalenza), né essere articolate in modo tale da rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti che i giudici nazionali hanno l’obbligo di tutelare (principio di effettività)» (Corte di giustizia, 28 novembre 2000, causa C-88/99, Roquettes Freres; Corte di giustizia, 17 novembre 1998, causa C-228/96, Aprile; Corte di giustizia, 9 febbraio 1999, causa C-343/96, Dilexport).
Le tesi argomentative prospettate dalla parte controricorrente a fondamento della ritenuta contrarietà della previsione in esame con i principi sopra richiamati non sono fondate.
4.1. Sotto il profilo del ritenuto contrasto con il principio di effettività, le considerazioni di parte controricorrente non sono persuasive.
Nella sentenza di questa Corte a Sezioni Unite sopra citata, si è precisato che «il contrasto tra la norma di diritto interno e quella comunitaria può essere rilevato direttamente dal giudice che, sulla base di tale premessa, è tenuto a non darle applicazione, anche quando sia stata emanata in epoca successiva a quella comunitaria (Cass. nn. 10231 del 1998, 7176 del 1999 e ssucc. conff.; cfr. anche, cass. n. 18276 del 2004)».
Ciò comporta che, differentemente da quanto sostenuto da parte controricorrente, che ha evidenziato genericamente che due anni sono appena necessari perché si concluda la causa dinanzi alla Corte comunitaria, non è precluso al contribuente che ritenga di dovere far valere una propria pretesa, per contrasto di una norma di diritto interno con l’ordinamento dell’unione, di potersi immediatamente attivare dinanzi al giudice nazionale e far valere, in quella sede, il proprio diritto.
In realtà, i casi in cui la Corte di giustizia ha ritenuto la non conformità di una norma nazionale con quella comunitaria per contrasto con il principio di effettività hanno riguardato ipotesi del tutto diverse da quella in esame. In particolare, nella sentenza della Corte di giustizia dell’11 luglio 2002, n. 62, causa C-62/00, Marks & Spencers pie, si è ritenuto che una normativa la cui efficacia retroattiva priva gli interessati di qualsiasi possibilità di esercitare un diritto del quale essi disponevano anteriormente e riguardante il rimborso di somme dagli stessi versate a titolo di IVA in violazione di disposizioni comunitarie aventi efficacia diretta, deve essere considerata incompatibile con il principio di effettività, non consentendo agli interessati di disporre di un termine sufficiente, dopo l’adozione della normativa più restrittiva del termine di prescrizione, per potere presentare la domanda di rimborso che essi erano legittimati a proporre durante la vigenza della disciplina precedente.
Nel caso considerato dalla Corte di giustizia vi era stata, da parte del legislatore nazionale, una limitazione non ragionevole del termine di prescrizione entro cui potere presentare la domanda di rimborso per contrasto di una norma di diritto interno con una direttiva comunitaria, sicché, in tal modo, vi era stata una compressione del diritto al rimborso, tenuto conto del più ampio termine di prescrizione priva vigente.
È dunque la sopravvenuta limitazione del diritto che ha costituito la ragione della ritenuta violazione del principio di effettività; situazione dissimile da quella in esame, in cui, come detto, il contribuente può attivarsi immediatamente, sulla base della previsione di cui all’art. 14 del decreto legislativo n. 504/1995, per richiedere il rimborso di quanto versato, anche nel caso di ritenuto contrasto dell’art. 62, stesso d.lgs., con le norme comunitarie.
D’altro lato, non correttamente parte controricorrente sostiene che la Corte di giustizia avrebbe dichiarato che un limite temporale di due anni per ottenere il rimborso, come quello previsto dall’art. 14 del decreto legislativo n. 504/1995, sarebbe incongruo e in contrasto con il principio di effettività.
Le sentenze della Corte di giustizia citate dalla controricorrente hanno evidenziato che «va considerato ragionevole un termine nazionale che risalga come minimo a quattro anni e come massimo a cinque anni prima dell’anno in cui è stata pronunciata la decisione giurisdizionale che accerta la difformità della norma giuridica su cui si è basata l’imposizione rispetto a una norma giuridica di rango superiore (Corte di giustizia, 28 novembre 2000, n. 88, causa C-88, Roquett Freres SA)» e che appare ragionevole un termine nazionale di decadenza triennale che deroga al regime ordinario dell’azione di ripetizione dell’indebito tra privati, assoggettata a un termine più favorevole (Corte di giustizia, 15 settembre 1998, causa C-260/96, Spac spa).
Nei suddetti casi, la Corte di giustizia, partendo dalla generale considerazione che, preso atto della diversità dei sistemi nazionali in materia di disciplina dei termini di decadenza per le azioni di ripetizione di imposte nazionali indebitamente riscosse, spetta all’ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro stabilire le modalità procedurali dei ricorsi giurisdizionali intesi a garantire la tutela dei diritti spettanti ai singoli in forza delle norme comunitarie, ha ritenuto ragionevoli i termini di decadenza che i giudice remittenti avevano specificamente posto all’attenzione con la prospettazione di un possibile contrasto con i principi comunitari. Da tale considerazione, non può farsi discendere, come invece ritiene parte controricorrente, che il termine di decadenza in esame sia stato preso in considerazione dalla pronunce sopra indicate, anzi risulta in linea con le argomentazioni della Corte di giustizia, essendo lo stesso ragionevole tenuto conto della duplice esigenza di contemperamento della tutela del contribuente e dell’amministrazione interessati.
4.2. Con riferimento, poi, al ritenuto contrasto con il principio di equivalenza, va precisato che la Corte di giustizia ha precisato che il rispetto del suddetto principio presuppone che la modalità controversa si applichi indifferentemente, per lo stesso tipo di tasse o canoni, ai ricorsi fondati sulla violazione del diritto comunitario e a quelli fondati sull’inosservanza del diritto interno. Il diritto comunitario, in particolare, non osta a che la normativa di uno Stato membro contempli, accanto a un termine di prescrizione ordinario applicabile alle azioni di ripetizione dell’indebito tra privati, modalità particolari di reclamo e di azioni giudiziarie meno favorevoli per la contestazione delle tasse e degli altri tributi. La soluzione sarebbe diversa qualora le suddette modalità fossero applicabili unicamente alle azioni di ripetizione di tali tasse o tributi fondate sul diritto comunitario (Corte di giustizia, 15 settembre 1998, causa C-260/96, Spacspa).
Nella fattispecie, l’art. 14, ottemperando alla delega prevista dalla L. n. 427 del 1993, art. 1, comma 4, espressamente disciplina la semplificazione, lo snellimento e l’omogeneizzazione delle procedure in materia di recuperi e di rimborsi delle accise, uniformando le precedenti disomogenee disposizioni, nell’ottica di una sollecita e razionale azione amministrativa, anche in vista degli incombenti obblighi comunitari (Cass. 16469/2004).
In tale ambito, il termine di decadenza in esso previsto si applica indifferentemente sia che l’azione di ripetizioni sia attivata in conseguenza della violazione del diritto interno, sia che essa sia conseguenza della pretesa alla restituzione di somme versate sulla base di una norma di diritto interno che sia in contrasto con la normativa dell’unione, sicché non risulta prospettabile alcuna violazione del principio di equivalenza.
Inoltre, disciplinando in via generale i rimborsi delle accise, non contempla alcun trattamento discriminatorio riguardo ai rimborsi di derivazione comunitaria. Peraltro, il termine biennale di decadenza dal pagamento non è inconsueto nel sistema tributario italiano, trattandosi del medesimo termine previsto, ad esempio, dalla disposizione sussidiaria e residuale del d.lgs. n. 546 del 1992, art. 21, operante anche in tema di tributi armonizzati (cfr. Cass. 12045 e 23515/2008, 7181/2009, 12433/2011).
Conclusioni
Per quanto sopra esposto, il primo motivo di ricorso deve trovare accoglimento, con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio alla Commissione tributaria regionale della Liguria, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.
P.Q.M.
Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Liguria, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.
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