CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 31 maggio 2019, n. 15003
Rapporto di lavoro – Professore d’orchestra – Contrazione della malattia professionale per danno alla mano denominata “dito a scatto” – Mancata adozione delle misure di protezione
Fatti di causa
Con sentenza del 22.12.2014 la corte d’appello di Palermo ha confermato la decisione del tribunale della stessa città che aveva respinto la domanda di A.L., – professore d’orchestra presso la Fondazione T.M. di Palermo in qualità di clarinettista a far tempo dal 1973 -, diretta a far accertare la responsabilità della Fondazione nella contrazione della malattia professionale per danno alla mano denominata “dito a scatto”, sul presupposto che la malattia, la cui insorgenza era stata denunciata alla Fondazione nell’ottobre 2004, fosse da ricondurre a mancata adozione delle misure di protezione previste dall’art. 2087 c.c., con condanna della Fondazione al risarcimento del danno subito. Il L. chiamava in causa anche la società assicuratrice G. ASS.ni spa.
La corte d’appello palermitana ha rilevato che l’attività dei direttori d’orchestra non rientrava nel novero di quelle attività per le quali in DPR n. 1124/1964 impone l’obbligo dell’assicurazione presso l’INAIL, trattandosi di un’attività che non è esposta a rischio ambientale perché svolta non sul palcoscenico, bensì nel cd ” golfo mistico”, situato al di fuori del palcoscenico e che il L. solo in grado di appello aveva dedotto lo svolgimento di attività musicale anche sul palcoscenico.
Per la corte sarebbe stato inoltre onere del L. dedurre e poi provare, oltre che l’esistenza dell’obbligazione lavorativa, la nocività della stessa e la correlazione tra l’attività svolta ed il danno.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione L. affidato a due motivi, a cui hanno opposto difese con contro ricorso rispettivamente la Fondazione T.M. di Palermo e G. Ass.ni spa. Il ricorrente e G. Ass.ni spa hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt.112, 113, 114, 115, 116 c.p.c., del TU n.1124/1965, del DPR 336/94, del DM 11.12.2009 e del DM 11.12.2011, ancora del DLGS n. 38/2000, e del DLGS n. 81/2009 (ndr DLGS n. 81/2008), in relazione all’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c., oltre ad un’ omessa pronuncia su un fatto decisivo ai fini del decidere (360 c. 1 e 5 c.p.c.): per il ricorrente poiché la malattia professionale del “dito a scatto” è compresa nelle malattie professionali tabellate appartenenti alla lista n. 1 gruppo 2, secondo il DM 11.12.2009, avrebbe errato la corte d’appello nel ritenere che l’onere di prova dell’esistenza della relazione causale tra la malattia e l’attività svolta fosse posto a suo carico, perché trattandosi di malattia professionale tabellare ad elevata probabilità e non trovando applicazione il principio dell’onere della prova di cui all’art. 2087 c.c., sarebbe spettato alla Fondazione provare l’insussistenza del nesso eziologico.
Per il ricorrente, inoltre, la sentenza impugnata sarebbe del tutto omissiva su di un fatto rilevante ai fini del decidere , con riferimento alle caratteristiche della patologia di cui è affetto il ricorrente – dito a scatto- patologia che nelle statistiche scientifiche viene attribuita maggiormente proprio ai musicisti, come riconosciuto altresì anche da numerose circolari INAIL, tenuto conto delle caratteristiche del clarinetto e delle modalità con cui lo strumento viene suonato, che implicano continue e ripetute vibrazioni delle mani per il movimento ripetuto delle dita sui tasti per ottenere i suoni.
Si è infatti in presenza di una presunzione legale, integrando le tabelle talune caratteristiche dell’attività lavorativa idonee a configurare la malattia professionale.
Avrebbe poi errato la corte distrettuale nel non esaminare la documentazione medica prodotta da cui emergeva l’esistenza della malattia del dito a scatto, mentre avrebbe privilegiato una mera circolare INAIL, che non è fonte di diritto e che non può dunque escludere la tutela assicurativa per attività orchestrali.
Con il secondo motivo di gravame il ricorrente deduce la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112, 113, 114, 115 e 116 c.p.c. in relazione all’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c., per avere la corte di merito invertito l’onere probatorio e comunque per aver deciso in violazione di precise disposizioni comunitarie , trasfuse nel DLGS n. 81/2008 agli artt.15, che stabilisce le misure da adottar a tutela della salute, dell’art.17 che precisa gli obblighi del datore di lavoro di comunicazione all’INAIL in caso di infortunio, dell’art.28 che obbliga a valutare tutti i rischi possibili e connessi alla specifica tipologia contrattuale attraverso cui viene resa la prestazione lavorativa.
I motivi, che sono in parte inammissibili e in parte infondati, possono esaminarsi congiuntamente perché censurano di fatto la decisione della corte per non aver ritenuto la relazione tra prestazione lavorativa e insorgenza della malattia professionale.
La domanda risarcitoria svolta dal ricorrente in primo grado, quale sembra desumersi dalle scarne indicazioni contenuto nel ricorso di legittimità , ha come causa petendi l’aver contratto nello svolgimento della sua attività di orchestrale, musicista clarinettista, la malattia professionale del “dito a scatto” , denunciata al datore di lavoro nel 2004 e nell’inadempimento posto in essere dal datore di lavoro che non aveva assicurato la posizione all’Inail e che comunque non aveva apprestato le cautele necessarie per la tutela della sua integrità fisica come prescritto dall’art. 2087 c.c. La corte di merito ha escluso la responsabilità della Fondazione ritenendo che la stessa non fosse tenuta ad iscrivere gli orchestrali all’Inail, ma soprattutto rilevando che il L. non aveva dedotto ed allegato i termini della nocitivà dell’ambiente e delle modalità della prestazione lavorativa, tali da determinare la malattia contratta del dito a scatto.
Ciò premesso , deve rilevarsi che le doglianze del ricorrente si profilano in parte prive di specificità, in violazione dell’art. 366 c. 1 n. 4 c.p.c., perché viene elencata una serie di norme violate, senza che sia di fatto individuata con particolare chiarezza quella a cui riferirsi, avuto riguardo alla ratio decidendi adottata dalla sentenza impugnata (Cfr da ultimo Cass. n. 24298/2016). Ed infatti viene indifferentemente elencata tutta la normativa, generale e speciale, che regolamenta gli obblighi connessi alla sicurezza del lavoro, senza precisare quale errata applicazione di dette norme avrebbe effettuato la corte di merito, se non in relazione all’inesistenza dell’obbligo di iscrizione all’INAIL degli orchestrali e direttori d’orchestra e al riparto dell’onere probatorio con riferimento di cui all’art. 2087 c.c.
Osserva il collegio che è comunque infondata la censura del ricorrente in ordine all’errata applicazione dell’art. 2087 c.c. da parte della corte palermitana e all’inversione dell’onere probatorio che detti giudici avrebbero posto in essere, nonostante si tratti di malattia tabellata.
Nel caso in esame non risulta decisiva, ai fini della decisione , la natura tabellare dell’infermità del cd “dito a scatto”. Ed infatti, non opera nella presente fattispecie la presunzione legale di eziologia professionale, essendo quest’ultima finalizzata all’accertamento dell’indennizzabilità assicurativa della malattia professionale, questione che esula dal thema dedicendum del presente giudizio, in cui la domanda ha ad oggetto il risarcimento danni chiesto al datore di lavoro in ragione, lo si ripete, del dedotto inadempimento riconducibile agli obblighi di cui all’art. 2087 c.c.
Pertanto correttamente la sentenza impugnata non ha fatto ricorso alla presunzione legale di eziologia professionale vigente nel sistema dell’assicurazione obbligatoria, ma ha evidenziato l’ assenza delle necessarie allegazioni e descrizioni delle modalità con cui la prestazione veniva svolta, al fine di evidenziarne la nocività, restando solo in tal caso a carico della datrice di lavoro l’onere di prova di aver adottato tutte le misure atte ad evitare l’evento dannoso.
Il ricorso deve pertanto essere respinto, con condanna del ricorrente soccombente alla rifusione delle spese del presente giudizio in favore dei controricorrenti, liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in euro 200,00 per esborsi, euro 3000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge per ciascuno dei controricorrenti.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater DPR n. 115/2002 , dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1- bis dello stesso art. 13.
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