CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 31 maggio 2019, n. 15014
Licenziamento – Assenza ingiustificata – Rifiuto ad eseguire la prestazione – Necessità di preservare lo stato di salute del lavoratore – Accertamento
Fatti di causa
1. Il Tribunale di Firenze, con sentenza nr. 696 del 2017, pronunciando, ai sensi dell’art. 1, commi 51 e ss., della legge nr. 92 del 2012, respingeva la domanda di impugnativa del licenziamento (intimato con lettera del 28.8.2015) proposta da A. U. nei confronti di T. Spa.
2. La Corte di Appello di Firenze, con sentenza nr. 1089 del 2017 respingeva il reclamo del lavoratore.
2.1. A fondamento della decisione, in estrema sintesi, la Corte territoriale ha posto le seguenti argomentazioni:
o al lavoratore veniva contestata l’assenza ingiustificata dal 20 luglio 2015 (lunedì) al 27 luglio 2015 (lunedì) nonché la tardiva e dolosa richiesta di trasferte (non effettuate) al fine di coprire le predette assenze ingiustificate;
o l’istruttoria testimoniale e documentale consentiva di accertare che il lavoratore, giudicato inidoneo alle mansioni fino ad allora espletate, veniva temporalmente destinato, in relazione a specifiche tratte, a compiti di controllo, richiedendogli di operare come un comune passeggero (con mansioni cd. «di talpa»), compatibili con il suo stato di salute;
o nei giorni oggetto di contestazione (20, 21, 22, 23, 24 e 27 luglio 2015) il lavoratore non registrava la sua presenza né con il badge, né in altro modo;
o per i medesimi giorni, ad eccezione dell’ultimo per il quale faceva, poi, domanda di ferie, non concessa dalla parte datoriale, il lavoratore inseriva nell’applicativo telematico aziendale una serie di richieste di autorizzazione «a trasferte» per linee e percorsi diversi da quelli indicati dalla Dott.ssa V., alle cui dipendenze era stato assegnato;
o l’effettivo svolgimento dei viaggi inseriti nel sistema informatico non solo non era provato dal lavoratore ma anzi escluso dal fatto che fosse stato visto, il 22.7.2015, in altro luogo, in un orario incompatibile con l’itinerario che assumeva aver fatto;
o l’inserimento di trasferte, per tentare di sanare e coprire i giorni di assenza ingiustificata, costituiva condotta palesemente scorretta e sleale, idonea a sorreggere la decisione aziendale di recesso.
3. Ha proposto ricorso per cassazione A. U., affidato a tre motivi.
4. Ha resistito, con controricorso, T. Spa.
5. Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 cod.proc.civ.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo è dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 18, comma 1, lett. c), d) ed e), dell’art. 36, comma 2, lett. a) del D.Lgs. nr. 81 del 2008 e dell’art. 2087 cod.civ.
1.1. Secondo la parte ricorrente la condotta del lavoratore (id est: il rifiuto ad eseguire la prestazione) era giustificato dalla necessità di preservare il suo stato di salute; in ogni caso, al lavoratore non era mai stato dato un ordine di servizio specifico; era, inoltre, emerso in istruttoria che anche i controllori abituali scegliessero in autonomia i treni in relazione ai quali operare il controllo; infine, il lavoratore aveva cercato di contattare il suo superiore.
2. Con il secondo motivo è dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 7 della legge nr. 300 del 1970 e dell’art. 2697 cod.civ.
2.1. Secondo la parte ricorrente non vi era corrispondenza tra la condotta oggetto della lettera di contestazione, del 7.8.2015, con la quale si addebitava al lavoratore «la mancata presentazione al lavoro», e quella riportata nella lettera di licenziamento relativa all’«aver inoltrato in azienda richieste di autorizzazione a trasferte in realtà mai effettuate».
2.2. Quest’ultima condotta neppure era stata dimostrata da T.; d’altronde, la Dott.ssa V. aveva affermato che le trasferte inserite dall’ U. non erano state concordate ma non anche che le stesse non fossero state effettuate.
3. Con il terzo motivo è dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 31 comma 2 e 4 del CCNL Attività Ferroviarie.
3.1. La censura afferisce al passaggio motivazionale relativo al rifiuto datoriale di riconoscere un giorno di ferie per la giornata del 27.7.2015.
4. I motivi possono essere congiuntamente esaminati, presentando analoghi profili di inammissibilità.
4.1. Osserva la Corte come le censure riconducibili ai motivi di ricorso, al di là della formale enunciazione contenuta nelle rubriche, si risolvano tutte in una richiesta di revisione delle valutazioni di merito espresse dalla Corte di appello, inammissibile ed estranea alla natura ed alla finalità del presente giudizio, tanto più alla stregua del testo dell’art. 360 nr. 5 cod.proc.civ., ratione temporis applicabile.
4.2. Esse (id est: le censure) non investono in alcun modo il significato e la portata applicativa delle norme indicate in rubrica ma sono integralmente volte a criticare la ricostruzione della fattispecie concreta operata dalla Corte territoriale laddove ha ritenuto, con accertamento di fatto, in quanto fondato sugli elementi di causa, in primo luogo, che le mansioni alle quali era stato adibito al lavoratore fossero compatibili con il suo stato di salute (e, quindi, implicitamente escludendo che il lavoratore potesse invocare il principio inadimplenti non est adimplendum) e, poi, che quei fatti, posti a giustificazione del provvedimento disciplinare, si fossero effettivamente realizzati, nel loro accadimento storico.
4.3. Parte ricorrente omette di considerare che, come costantemente affermato da questa Corte, il discrimine tra vizio di violazione di legge e vizio di motivazione sia segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, sia mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (fra le più recenti Cass. nr. 4125 del 2017). Il vizio di cui all’art. 360 nr. 3 cod. proc. civ. viene in rilievo esclusivamente in relazione al fatto nei termini in cui è accertato in sentenza e non già rispetto a fatti diversamente ricostruiti dalla parte ricorrente; diversamente, si trasmoda nella revisione dell’accertamento di fatto di competenza del giudice di merito (Cass. nr. 18715 del 2016 ).
5. Osserva, comunque, il Collegio come, pure a riqualificare le censure in termini di vizio di motivazione, le stesse si arrestano ad un rilievo di inammissibilità.
6. Ai sensi dell’articolo 348 ter cod. proc. civ., commi 4 e 5, allorquando la sentenza d’appello conferma la decisione di primo grado, come nella fattispecie concreta, il ricorso per Cassazione può essere proposto esclusivamente per i motivi di cui ai numeri 1-2-3 e 4 del primo comma dell’articolo 360 cod. proc. civ.; a tenore dell’articolo 348 ter, comma 5, cod. proc. civ., il vizio di motivazione non è deducibile in caso di impugnativa di pronuncia c.d. «doppia conforme». Al riguardo, è stato precisato come sia onere del ricorrente in cassazione, per evitare la declaratoria di inammissibilità del motivo di cui all’art. 360 nr. 5 cod.proc.civ. (per «doppia conforme»), indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, per dimostrare che esse siano tra loro diverse (Cass. nr. 26774 del 2016; Cass. nr. 5528 del 2014; in motivazione Cass nr. 88 del 2019).
6.1. La disposizione è applicabile ratione temporis ai giudizi di appello introdotti con ricorso depositato daini settembre 2012 (articolo 54 co. 2 del DL nr. 83 del 2012) e questa Corte ha, anche, affermato (ex plurimis, Cass. nr. 23021 del 2014) la applicabilità della disposizione di cui all’art. 348 ter cod.proc.civ. alla sentenza che definisce il procedimento di reclamo ex art. 1 legge Fornero.
6.2. I motivi incontrano, quindi, il limite della «doppia conforme»; il reclamo risulta depositato nel 2017; il ricorso non contiene indicazioni in merito alle «diverse» ragioni di fatto che hanno sorretto le due decisioni di merito.
7. In ogni caso, le censure neppure sono sviluppate illustrando il «fatto storico», non esaminato, che abbia costituito oggetto di discussione e che abbia carattere decisivo, vizio inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 nr. 5 cod.proc.civ., nel testo applicabile alla fattispecie (Cass., sez.un., nn. 8053 e 8054 del 2014, i cui principi sono stati costantemente ribaditi dalle stesse sezioni unite: v. nr. 19881 del 2014, nr. 25008 del 2014, nr. 417 del 2015, oltre che dalle sezioni semplici).
8. Sufficienti le considerazioni che precedono, per ciò che riguarda il secondo motivo, deve considerarsi anche come la questione dei diversi contenuti della lettera di contestazione e di quella di licenziamento, da un lato, non soddisfi gli oneri di deduzione e specificazione imposti dagli artt. 366 nr. 6 e 369 nr. 4 cod.proc.civ. e, dall’altro, rappresenti questione nuova.
8.1. I documenti sui quali il secondo motivo si fonda non risultano validamente trascritti (almeno nei passaggi salienti per valutare la decisività dei rilievi) e neppure è indicato esattamente, in ricorso, in quale fase processuale ed in quale fascicolo di parte gli stessi si trovino (Cass. nr. 19048 del 2016). La denunciata questione, inoltre, non è affrontata in sentenza mentre sarebbe stato onere del ricorrente non solo di allegare l’avvenuta deduzione innanzi al giudice di merito ma anche, in ossequio al principio di specificità di cui si è appena detto, di indicare in quale atto del giudizio precedente ciò sia stato fatto.
9. In ultimo, in merito al terzo motivo, alle precedenti argomentazioni, può aggiungersi come la critica investa un passaggio motivazione privo di decisività; la Corte di appello ha, infatti, osservato come la fattispecie di causa fosse caratterizzata da un quid pluris (id est: una condotta ulteriore e diversa) rispetto alle ipotesi disciplinate dal contratto collettivo; a minare irrimediabilmente la fiducia del datore di lavoro era stata la condotta di inserimento nel telematico di trasferte non realmente effettuate in quanto, evidentemente, diretta ad occultare le assenze ingiustificate.
10. Conclusivamente il ricorso va dichiarato inammissibile, con le spese liquidate in dispositivo secondo soccombenza.
11. Occorre dare atto della sussistenza dei presupposti di cui all’art. 13, comma 1 quater, D.P.R. nr. 115 del 2002, come modificato dall’art. 1, comma 17, legge nr. 228.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in euro 4.000,00 per compensi professionali, in euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, D.P.R. nr. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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