CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 31 maggio 2022, n. 17694
Licenziamento collettivo – Violazione degli obblighi di comunicazione – Requisito della contestualità – Criterio di scelta della pensionabilità – Indennità sostitutiva del preavviso – Esclusione
Fatti di causa
1. La Corte di appello di Roma, decidendo in sede di rinvio dalla Corte di Cassazione (sentenza n. 7986/2018), ha dichiarato illegittimo il licenziamento intimato a B.G. da U. s.p.a., il 29.11.2012 all’esito della procedura di mobilità, per violazione dell’art. 4, comma 9, l. n. 223 del 1991;
ha dichiarato risolto, a far data dal recesso, il rapporto di lavoro e ha condannato la società al pagamento di una indennità risarcitoria pari a quindici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre accessori di legge.
2. La Corte di merito, per quanto ancora rileva, ha ravvisato l’illegittimità del licenziamento nella violazione delle prescrizioni comportamentali di tempestiva ed esauriente comunicazione all’Ufficio del lavoro, alla Commissione regionale per l’impiego e alle associazioni di categoria dell’elenco dei lavoratori licenziati; ha rilevato che la comunicazione finale del 6.12.2012 era stata frazionata e parcellizzata in quanto aveva riguardato solo venticinque dipendenti pensionabili e licenziati, fra cui il G., ma non tutti quelli pensionabili e licenziabili perché non aderenti all’esodo con incentivo.
3. Ha ritenuto applicabile alla violazione procedurale accertata la tutela indennitaria forte nella misura suindicata, a norma dell’art. 5, terzo comma l. 223/1991, come modificato dalla l. 92 del 2012.
4. Avverso tale sentenza U. s.p.a. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi. B.G. ha resistito con controricorso e ricorso incidentale, articolato in due motivi. U. s.p.a. ha depositato controricorso al ricorso incidentale.
5. Il Pubblico Ministero ha depositato conclusioni scritte chiedendo il rigetto del ricorso principale e di quello incidentale.
Entrambe le parti hanno depositato memoria, ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ.
Ragioni della decisione
Ricorso principale di U. s.p.a.
6. Con il primo motivo di ricorso principale è dedotta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 4, comma 9, legge n. 223 del 1991, in relazione al ritenuto frazionamento della comunicazione prevista dalla norma citata.
7. Si assume che la sentenza impugnata avrebbe violato la disposizione in esame perché essa, secondo una costante giurisprudenza, richiede unicamente che la comunicazione prevista dall’art. 4 cit. sia esaustiva nei confronti dei lavoratori licenziati, ma non esige che il datore di lavoro comunichi in una stessa lettera anche i nominativi di coloro che non sono stati ancora licenziati; ciò a maggior ragione quando i licenziamenti avvengono in un arco temporale ampio, come accaduto nel caso di specie, in cui l’intera procedura si è svolta in un periodo di tre anni, dal 30.11.2012 al 31.12.2015.
8. Nel caso in esame, secondo la tesi della ricorrente principale, la comunicazione di cui all’art. 4, comma 9 cit., trascritta per estratto nel ricorso, era esaustiva e completa, poiché illustrava il criterio unico di scelta dei lavoratori da licenziare come stabilito in sede di accordo sindacale, specificava le modalità di applicazione di tale criterio, e cioè tutti i lavoratori che avevano maturato i requisiti per il diritto alla pensione entro il novembre 2013, eliminando dalla platea dei licenziabili coloro che avevano aderito al piano di esodo volontario e coloro che appartenevano a categorie escluse dal licenziamento. La medesima comunicazione, tempestivamente trasmessa nel termine di sette giorni previsto dalla legge, annunciava l’invio di ulteriori comunicazioni, relative al restante personale, con cui la società avrebbe proceduto, tempo per tempo in relazione alla maturazione dei rispettivi requisiti pensionistici entro la data del 31 dicembre 2015, alla risoluzione del rapporto di lavoro, sulla base del medesimo ed unico criterio e delle stesse modalità di applicazione descritte nella citata comunicazione. Le organizzazioni sindacali erano state pacificamente messe in condizione di procedere alla effettiva verifica sul “rispetto dei criteri di scelta”, a cominciare dalla prima comunicazione ai sensi dell’art. 4, comma 9 cit., che includeva il sig. G., e con le successive comunicazioni inviate nell’arco temporale dei tre anni della procedura.
9. Il motivo di ricorso è infondato.
10. Come è noto, nell’art. 4, nono comma della legge n. 223 del 1991 denunciato di violazione, la parola “contestualmente” è stata sostituita dall’art. 1, quarto comma, legge n. 92 del 2012, con le parole “entro sette giorni dalla comunicazione dei recessi”, mentre l’art. 2, comma 72 della stessa legge ha modificato il primo comma dell’art. 4 della legge n. 223/91 (secondo cui “L’impresa che sia stata ammessa al trattamento straordinario di integrazione salariale, qualora nel corso di attuazione del programma di cui all’articolo 1 ritenga di non essere in grado di garantire il reimpiego a tutti i lavoratori sospesi e di non potere ricorrere a misure alternative, ha facoltà di avviare le “procedure di mobilità” ai sensi del presente articolo”), sostituendo le parole “le procedure di mobilità” con le parole “la procedura di licenziamento collettivo”. E il dodicesimo comma dello stesso art. 4 ha disposto poi che “le comunicazioni di cui al nono comma sono prive di efficacia ove siano state effettuate senza l’osservanza della forma scritta e delle procedure previste dal presente articolo”. Secondo il consolidato orientamento di questa Corte (ribadito in particolare da: Cass. 22 novembre 2016, n. 23736), in tema di licenziamenti collettivi, il requisito della contestualità della comunicazione del recesso al lavoratore e alle organizzazioni sindacali e ai competenti uffici del lavoro, richiesto a pena d’inefficacia del licenziamento medesimo, non può che essere valutato, in una procedura temporalmente cadenzata in modo rigido ed analitico e con termini molto ristretti, nel senso di una necessaria ed ineliminabile contemporaneità delle due comunicazioni la cui mancanza può non determinarne l’inefficacia, solo se sostenuta da giustificati motivi di natura oggettiva, da comprovare ad opera del datore di lavoro (Cass. n. 1722/09; Cass. 16776/09; Cass. n. 7490/11). Ed ancora, in tema di licenziamento collettivo (secondo la disciplina antecedente alle modifiche introdotte con la legge 28 giugno 2012, n. 92), la contestualità fra comunicazione del recesso al lavoratore e comunicazione alle organizzazioni sindacali e ai competenti uffici del lavoro dell’elenco dei dipendenti licenziati e dei criteri di scelta, richiesta, a pena di inefficacia del licenziamento, dall’art. 4, nono comma, legge 223/1991, si giustifica al fine di consentire alle organizzazioni sindacali (e, tramite queste, anche ai singoli lavoratori) il controllo sulla correttezza nell’applicazione dei menzionati criteri da parte del datore di lavoro, anche al fine di sollecitare, prima dell’impugnazione del recesso in sede giudiziaria, la revoca del licenziamento eseguito in loro violazione: con la conseguenza che la funzione di tale ultima comunicazione implica che non possa accedersi ad una nozione “elastica” di contestualità, riferita anche alla data in cui il licenziamento abbia effetto, dovendosi ritenere irragionevole che, per non incorrere in una decadenza dal termine stabilito dall’art. 6 l. 604/1966, il lavoratore debba impugnare il licenziamento senza la previa conoscenza dei criteri di scelta (Cass. n. 8680/15; Cass. 22024/15).
11. Tale insegnamento è stato più recentemente ribadito, con la conferma che, in tema di licenziamento collettivo, il termine di sette giorni previsto dall’art. 4, nono comma, legge 223/1991, come modificato dalla legge 92/2012, per l’invio delle comunicazioni ai competenti uffici del lavoro ed alla Commissione regionale per l’impiego nonché alle organizzazione sindacali, debba intendersi come cogente e perentorio, così come era stato interpretato il requisito della “contestualità” nel regime anteriore alla riforma del 2012, che ha inteso superare le precedenti possibili discrasie nella individuazione concreta di un parametro congruo assegnando un termine certo (Cass. 13 novembre 2018, n. 29183; Cass. 14 ottobre 2019, n. 25807). In particolare, tali ultime sentenze hanno affermato come il carattere cogente e perentorio del termine comporti, in caso di violazione, l’invalidità del licenziamento, a prescindere dalla circostanza che i lavoratori abbiano successivamente avuto conoscenza di tutti gli elementi che la comunicazione deve comunque avere ovvero che non sia stato dimostrato il danno derivante dalla mancata comunicazione; atteso che detta comunicazione è finalizzata a consentire alle organizzazioni sindacali (e, tramite queste, anche ai singoli lavoratori) il controllo tempestivo sulla correttezza procedimentale dell’operazione posta in essere dal datore di lavoro, anche al fine di acquisire ogni elemento di conoscenza e non comprimere lo spatium deliberandi riservato al lavoratore per l’impugnazione del recesso nel termine di decadenza di cui all’art. 6 l. 604/1966).
12. Nel caso di specie, la Corte territoriale ha accertato che la comunicazione del 6.12.2012 riguardava solo una parte dei dipendenti pensionabili e licenziandi e non l’intera platea dei pensionabili e licenziabili entro il 31.12.2015.
13. Posto che la comunicazione in questione (il cui termine di sette giorni decorre dalla comunicazione del primo licenziamento, come risulta dal tenore letterale della disposizione, che fa espresso riferimento alla “comunicazione” dei recessi), per assolvere alla funzione cui è normativamente preordinata, non può essere parcellizzata in tante comunicazioni (ciascuna limitata ai lavoratori fino a quel momento licenziati ed effettuata entro sette giorni dai singoli licenziamenti) ma deve essere unica, così da esprimere l’assetto definitivo sull’elenco dei lavoratori da licenziare e sulle modalità di applicazione dei criteri di scelta (Cass. 26 settembre 2018, n 23034), deve affermarsi che la comunicazione del 6.12.2012 risulti inidonea, sotto i profili di trasparenza informativa, completezza contenutistica e di rispetto della rigida scansione procedimentale, a consentire un adeguato controllo alle parti sociali e alle amministrazioni interessate. Solo un elenco completo di tutti i lavoratori licenziati o da licenziare permette ai destinatari della comunicazione di comprendere e verificare se il criterio o i criteri di scelta siano stati applicati secondo le modalità individuate, in maniera oggettiva e senza margini di discrezionalità. In relazione alla fattispecie oggetto di causa, e come rilevato nel controricorso del lavoratore, una comunicazione parziale, come quella inviata dalla società, non consentiva al lavoratore licenziato di comprendere se tutti i dipendenti che avrebbero maturato il diritto a pensione entro il 31.12.2015 sarebbero stati licenziati, e quindi se il criterio unico di scelta, della pensionabilità entro la data suddetta, fosse stato applicato da parte datoriale in maniera effettiva e oggettiva.
14. Con il secondo motivo di ricorso U. s.p.a. denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 4, comma 9, legge n. 223 del 1991, e dell’art. 12, comma 1, delle preleggi nonché dell’art. 100 cod. proc. civ..
15. Sostiene che l’eventuale vizio, concernente le comunicazioni successive, inviate da U. nell’arco del triennio 2012 – 2015, ciascuna nel rispetto del termine legale di sette giorni, non avrebbe potuto incidere sulla posizione del G., ma unicamente sulla posizione dei destinatari dei successivi licenziamenti, mancando pertanto un interesse ad agire dell’attuale controricorrente.
16. Anche il secondo motivo di ricorso è infondato.
17. Questa Corte ha più volte ribadito come, nella materia dei licenziamenti collettivi per riduzione di personale, il controllo della legittimità del recesso è collegato al regolare svolgimento di una serie di adempimenti formali (o di singole fasi procedurali) che il datore di lavoro deve porre in essere per l’attuazione del programma di riduzione del personale eccedente, dato che l’inosservanza della procedura collettiva incide sullo stesso potere dell’imprenditore di ridurre il personale, in modo da causare l’inefficacia dei singoli licenziamenti, tale inefficacia ben potendo essere fatta valere da ciascun lavoratore interessato nel termine di decadenza di sessanta giorni, (Cass., S.U., n. 302 del 2000; Cass. n. 12658 del 1998; Cass. n. 7169 del 1998).
18. Qualora le comunicazioni di all’art. 4, comma 9, cit. siano incomplete o tardive, ciò impedisce il pieno, corretto e tempestivo esercizio delle prerogative di controllo sindacale, con ripercussioni negative sui singoli lavoratori licenziati.
19. Proprio perché il controllo è eseguito sul rispetto della procedura e poiché tale procedura tutela contemporaneamente prerogative sindacali e diritti dei lavoratori, o meglio, tutela i diritti dei dipendenti essenzialmente attraverso i poteri di controllo sindacale cui demanda la concreta verifica del rispetto dei criteri di scelta, la comunicazione di cui si discute, contrariamente all’assunto della società, assolve alla duplice funzione, “individuale” e “collettivo-pubblicistica”.
20. Da tale premessa discende che anche il singolo lavoratore possa far valere l’inefficacia del licenziamento per mancato rispetto del termine di cui all’art. 4, comma 9, in quanto tale inadempimento impedisce il corretto esercizio dei poteri di controllo sindacale (v. Cass. n. 21906 del 2018; n. 23034 del 2018).
21. Non è pertinente la giurisprudenza richiamata dalla società ricorrente (Cass. n. 24558 del 2016), in base alla quale sussiste l’interesse ad agire, ai fini dell’annullamento del licenziamento per violazione dei criteri di scelta ai sensi dell’art. 5, legge n. 223/1991, solo da parte dei lavoratori che in concreto abbiano subito un pregiudizio per effetto della violazione, poiché attiene al vizio sostanziale di violazione dei criteri di scelta (si tratta, peraltro, di giurisprudenza richiamata e ribadita nel caso in esame, dalla sentenza rescindente), là dove la sentenza pronunciata in sede di rinvio attiene al vizio procedurale di cui all’art. 4, comma 9, della l. n. 223 del 1991.
Ricorso incidentale di B.G.
22. Con il primo motivo di ricorso è dedotta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 5, comma 1, l. n. 223 del 1991, con riferimento al criterio di scelta della pensionabilità, avendo il giudice di rinvio frainteso il principio enunciato dalla sentenza rescindente; inoltre, violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ., in relazione all’art. 5 cit.
23. Si assume che il principio di diritto enunciato in sede rescindente non potesse ragionevolmente interpretarsi nel modo in cui lo ha fatto la Corte di rinvio, perché ciò equivarrebbe a negare la possibilità di verifica sulla corretta applicazione dei criteri di scelta indicati, esonerando il datore di lavoro dal relativo onere probatorio. Si osserva che nel caso in esame non può escludersi che il lavoratore, licenziato in quanto pensionabile, avesse interesse a far valere la violazione del criterio di scelta unico, della pensionabilità, solo perché rientrante tra i pensionabili e sebbene risultasse che la società aveva mantenuto in servizio un numero imprecisato di dipendenti pensionabili, al di fuori delle ipotesi previste dalla norma transitoria apposta in calce all’accordo sindacale del 22.11.22 (che consentiva di mantenere in servizio i pensionabili indispensabili in relazione alla posizione strategica ricoperta in azienda).
24. Deve premettersi che il ricorrente incidentale avrebbe dovuto veicolare la censura, di mancata conformazione del giudice di rinvio al “dictum” della S.C. a causa della errata interpretazione dello stesso, attraverso la violazione dell’art. 384 cod. proc. civ., mentre ha denunciato un error in iudicando per violazione dell’art. 5, legge n. 223 del 1991. Tuttavia, il motivo, ove pure riqualificato quale error in procedendo, non può trovare accoglimento.
25. La Corte di cassazione, con la sentenza rescindente n. 7986 del 2018, ha enunciato il seguente principio di diritto “premesso che il possesso dei requisiti pensionistici costituisce un criterio oggettivo correttamente adottabile, ai sensi dell’art 5 legge 223 del 1991, nella scelta dei destinatari di una procedura di riduzione di personale, ove in concreto se ne lamenti un’erronea applicazione per essere stati illegittimamente esclusi dal novero dei lavoratori licenziabili alcuni dipendenti che erano pur in possesso di tale requisito, sussiste interesse ad agire soltanto se risulti che tale illegittima esclusione abbia avuto un rilievo determinante sul far ricomprendere l’attore fra i lavoratori destinatari del licenziamento“.
26. La Corte d’appello ha respinto la deduzione svolta dal G., ricorrente in riassunzione, sull’esistenza di un proprio interesse ad agire (motivato dal fatto che la società aveva manutenuto in servizio, oltre a tre sindacalisti, il 5% dei lavoratori in esubero, ossia circa trenta dipendenti), per l’assenza di allegazioni sulla utilità che il medesimo avrebbe ottenuto ove nella platea dei lavoratori in esubero fossero stati ricompresi quelli rimasti in servizio.
27. La sentenza impugnata si è in tal modo attenuta pedissequamente al dictum della Corte di cassazione sul punto, come ulteriormente esplicitato a pag. 8 della motivazione [“ove si sostenga che non sia stata esattamente individuata la platea dei dipendenti astrattamente licenziabili, resta l’ostacolo costituito dal difetto di interesse ad impugnare il licenziamento (per violazione dell’art. 5 legge n. 223 del 1991) se non risulta (e nel caso di specie non risulta neppure a livello di mera allegazione) che dell’inserimento di tali lavoratori nel novero di quelli potenzialmente licenziabili avrebbe beneficiato proprio il lavoratore che agisce in giudizio anziché un altro suo collega parimenti licenziato -perché, in ipotesi, lo precedeva nell’elenco dei dipendenti in possesso del requisito utilizzato come criterio selettivo-]”.
28. Si rileva, peraltro, che questa Corte, in fattispecie sovrapponibili a quella in esame (cfr. Cass. n. 19660 del 2018; Cass 30/03/2018 n. 7986 ma già Cass. n. 31/05/2017 n. 13803, 22/07/2017 n. 12814 e 12813, 09/11/2016 n. 22789 e 06/10/2016 n. 20063), ha considerato legittima e non discriminatoria la previsione contenuta nella disposizione transitoria posta in calce all’art. 2 dell’accordo sindacale 15 settembre 2012 ed ha ritenuto che l’esercizio della facoltà prevista dalla citata norma transitoria non ha influito sul criterio della pensionabilità, nel senso che sono stati licenziati, così come pattuito in sede sindacale, soltanto lavoratori che alla data indicata dagli accordi applicati nell’ambito della procedura di mobilità avevano maturato i requisiti pensionistici e non avevano aderito alla proposta di esodo incentivato. Ha anche rilevato che “in tanto si verifica una violazione dell’art. 5 legge n. 223 del 1991 (sui criteri di scelta) in quanto la comparazione fra i lavoratori astrattamente licenziabili sia stata viziata dall’adozione di criteri generici, non verificabili e comunque lasciati alla mera discrezione del datore di lavoro, oppure sia avvenuta alla stregua di criteri astrattamente oggettivi e verificabili, ma in concreto malamente applicati. È altresì necessario – pena difetto di interesse ad impugnare il licenziamento (cfr., da ultimo e per tutte, Cass. n. 24558/16) – che risulti che il lavoratore il quale lamenti essere avvenuta a proprio danno una discriminazione o comunque una violazione dei criteri di scelta si sia visto inserire nel novero degli esuberi per far posto ad un altro o ad altri dipendenti che, pur appartenendo alla medesima platea di lavoratori potenzialmente licenziabili, nondimeno abbiano beneficiato di un’erronea applicazione dei criteri di scelta o di criteri di scelta generici o discrezionali adoperati dal datore di lavoro. Insomma, l’annullamento del licenziamento per violazione dei criteri di scelta ai sensi dell’art. 5, legge n. 223 del 1991 può essere chiesto soltanto dai lavoratori che in concreto abbiano subito un pregiudizio per effetto della violazione”.
29. Con il secondo motivo di ricorso incidentale è denunciata, ai sensi dell’art. 360, comma 1, nn. 3 e 4 cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 48, legge n. 92 del 2012, per avere la sentenza impugnata dichiarato inammissibile la domanda di condanna di U. s.p.a. al pagamento dell’indennità sostitutiva del preavviso, perché non rientrante tra quelle soggette al rito introdotto dalla citata legge, senza considerare che la domanda di licenziamento e quella di indennità sostitutiva del preavviso sono fondate su identici fatti costitutivi e possono essere proposte nel medesimo giudizio, anche disciplinato dal rito cd. Fornero.
30. Neppure il secondo motivo può trovare accoglimento.
31. La deduzione di violazione della norma processuale, sia pure fondata alla luce della giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. n. 17091 del 2016; n. 12094 del 2016; n. 16662 del 2015; n. 7586 del 2018, quest’ultima in materia di pubblico impiego), non potrebbe avere alcun effetto utile per l’attuale ricorrente incidentale in ragione di quanto già statuito da questa Corte (cfr. sentenza n. 19660 del 2019 cit.) in una fattispecie assolutamente sovrapponibile a quella in esame, sulla legittimità della deroga al trattamento sostituivo del preavviso prevista nell’accordo sindacale del 15.9.2012, recepito nell’accordo del 22.11.2012 (cfr. sul punto il controricorso della società avverso il ricorso incidentale). L’interesse all’impugnazione, il quale costituisce manifestazione del generale principio dell’interesse ad agire sancito, quanto alla proposizione della domanda ed alla contraddizione alla stessa, dall’art. 100 cod. proc. civ. – va apprezzato in relazione all’utilità concreta derivabile alla parte dall’eventuale accoglimento del gravame e non può consistere in un mero interesse astratto ad una più corretta soluzione di una questione giuridica, non avente riflessi sulla decisione adottata (cfr. Cass. n. 28307 del 2020; n. 20689 del 2016; n. 15353 del 2010; n. 13373 del 2008). Va quindi dichiarato inammissibile il motivo di ricorso in esame.
32. Per le ragioni esposte, devono essere respinti il ricorso principale e quello incidentale, con compensazione delle spese del giudizio di legittimità.
33. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti principale e incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale e incidentale, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso principale e il ricorso incidentale.
Compensa le spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale e del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
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