CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 31 marzo 2022, n. 10460
Rapporto di lavoro – Annullamento dell’ingiunzione di pagamento ex art. 3, R.D. n. 639/1910 – Restituzione del corrispettivo economico delle ore di permesso sindacale non spettanti – Sussistenza
Fatti di causa
Con sentenza del 28 agosto 2015, la Corte d’Appello di Milano confermava la decisione resa dal Tribunale di Milano e rigettava la domanda proposta dalla RDB, Federazione del Pubblico Impiego, Servizi, Industria e Settore aderente a CUB nei confronti del Comune di Milano, avente ad oggetto l’annullamento dell’ingiunzione di pagamento ex art. 3, R.D. n. 639/1910 con il quale il Comune di Milano chiedeva la restituzione del corrispettivo economico delle ore di permesso sindacale non spettanti di cui avevano usufruito i dipendenti negli anni 1998 e dal 2000 al 2003.
La decisione della Corte territoriale discende dall’aver questa ritenuto aver il Comune di Milano, su cui gravava l’onere della prova del credito azionato, dimostrato la sussistenza della pretesa, essendo congruo e non contestato il riferimento all’applicativo GEDAP tramite il quale presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della Funzione Pubblica si provvede alla rilevazione a livello nazionale delle ore di permesso sindacale usufruite in eccesso di cui, peraltro, l’organizzazione sindacale, in quanto titolare del diritto, non poteva invocare la mancata conoscenza o la non conoscibilità.
Per la cassazione di tale decisione ricorre l’organizzazione sindacale affidando l’impugnazione a tre motivi, cui resiste, con controricorso, il Comune di Milano.
Il Comune controricorrente ha poi depositato memoria.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo, l’Organizzazione sindacale ricorrente, nel denunciare la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e 1363 c.c., 11 e 15 del CCNQ 7.8.1998, 4 del CCNQ 24.9.2007, 9 del CCNQ 9.10.2009 e del CCNQ 3.11.2011, imputa alla Corte il malgoverno delle regole di ermeneutica contrattuale addivenendo ad una lettura della disciplina invocata in virtù della quale esclude il gravare in capo all’amministrazione di obblighi contrattuali rimasti inadempiuti ed in particolare l’informazione nei confronti delle organizzazioni sindacale dell’esaurimento del monte ore relativo.
Con il secondo motivo, denunciando la violazione e falsa applicazione degli artt. 633, 645 e 116 c.p.c. anche in relazione all’art. 111 Cost., l’Organizzazione sindacale lamenta l’incongruità logica e giuridica del convincimento espresso dalla Corte territoriale in ordine all’assolvimento da parte del Comune di Milano dell’onere della prova del credito azionato.
Nel terzo motivo il vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio è prospettato con riguardo alla mancata considerazione ai fini del decidere da parte della Corte territoriale della mancata produzione in giudizio di documentazione idonea ad attestare la riconducibilità dei permessi richiesti, autorizzati e fruiti alla rilevata eccedenza.
L’impugnazione si rivela inammissibile al di là del merito delle censure formulate – che tali si rivelano, sicuramente con riguardo al secondo e terzo motivo, che si risolvono nella mera confutazione della valutazione del materiale istruttorio, rimessa al libero apprezzamento del giudice del merito, ma altresì con riferimento al primo motivo, non dando conto l’Organizzazione sindacale ricorrente del malgoverno delle regole ermeneutiche da parte della Corte territoriale in relazione all’interpretazione accolta – risultando la sua formulazione in contrasto con l’insegnamento di questa Corte a sezioni unite (cfr. Cass. SS.UU. n. 23745/2020) che ha ritenuto, quanto all’onere di specificità dei motivi di cui all’art. 366, comma 1, n. 4, c.p.c., come tale onere imponga al ricorrente di indicare puntualmente le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute della sentenza impugnata, che è tenuto espressamente ad indicare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare – con una ricerca esplorativa officiosa che trascende le sue funzioni – la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa e, infatti, il ricorso in oggetto non specifica né sotto quale ipotesi (fra quelle indicate nell’art. 360, comma 1, c.p.c.) viene dedotto ogni singolo motivo, né le norme di diritto violate, ma lascia alla Corte il compito di enuclearle con una ricerca officiosa (come sopra si è fatto) che – appunto – trascende le sue funzioni;
in sostanza, l’intero ricorso si rivela come un’impugnazione a critica libera in cui questioni di fatto e di diritto vengono coinvolte insieme e senza indicazione del canale di accesso al giudizio di legittimità; infine, quanto al vizio di omesso esame di un fatto decisivo, esso è inammissibile in presenza di doppia conforme, secondo quanto previsto dall’art. 348 ter, quarto comma, c.p.c..
Il ricorso va, dunque, dichiarato inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 200,00 per esborsi ed euro 3.500,00 per compensi, oltre spese generali al 15 5 ed altri accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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