Corte di Cassazione sentenza n. 10271 depositata il 31 marzo 2022
accertamento – termine dilatorio – contraddittorio endoprocedimentale – costi pluriennali – inerenza – principio di neutralità IVA
FATTI DI CALUSA
1. In seguito a verifica fiscale per il solo anno 2009, all’esito della quale fu emesso il P.V.C. notificato in data 27/7/2012, con il quale fu contestato alla società T.M.T. s.p.a., gestrice del terminal container del Porto di Trieste, l’avvenuta iscrizione, tra le immobilizzazioni immateriali, dei costi sostenuti nel 2005 e nel 2007 rispettivamente per la formazione del personale e per la fornitura di servizi manageriali da parte della controllata T.O. D. s.p.a., e la conseguente loro ammortizzazione in cinque quote costanti annuali, l’Agenzia delle Entrate, sul presupposto che tale condotta avesse influenzato direttamente anche le annualità precedenti e successive all’anno oggetto di verifica (ossia il 2009), notificò alla predetta società, in data 9/11/2012, due distinti avvisi di accertamento entrambi ai fini Ires e Irap per gli anni 2007 e 2008 e anche ai fini Iva con riguardo a quest’ultima annualità, con i quali recuperò a tassazione le predette quote di ammortamento. In particolare, l’Ufficio ritenne che i costi di formazione del personale, siccome privi del requisito della loro riconducibilità all’avvio di una nuova attività di impresa, e quelli per la fornitura di servizi manageriali da parte della controllante T.O. D., siccome privi di una loro utilità pluriennale, fossero stati indebitamente capitalizzati e ammortizzati e che ciò avesse comportato l’indebita deduzione delle relative quote, atteso che i primi erano stati erroneamente inquadrati come costi di “start up”, benché fossero “costi di periodo”, e i secondi erano privi dei caratteri dell’inerenza, certezza e oggettiva determinabilità. Inoltre, quanto alla sola annualità 2008, il recupero aveva riguardato anche l’Iva relativa alle fatture emesse dalla T.O. D., in quanto la reputata indebita detrazione della stessa era stata fatta discendere dalla indebita deduzione del costo ai fini Ires.
Impugnati i predetti atti dalla società con due distinti ricorsi, la C.T.P. di Trieste li accolse con sentenze nn. 126/01/13, per il 2007, e 127/01/13 per il 2008, pronunciate il 26/6/2013 e depositate il 20/8/2013, ritenendo che l’Ufficio avesse violato l’art. 12 della legge 27 luglio 2000, n. 212, e l’art. 42 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, per avere la mancata notifica del processo verbale precluso il contraddittorio precontenzioso.
Impugnate le predette sentenze dall’Ufficio con distinti ricorsi, la C.T.R. per il Friuli Venezia Giulia, previa loro riunione, pur accogliendo, con sentenza n. 170/08/15, depositata il 27/4/2015, l’appello proposto, in ragione della reputata legittimità formale degli avvisi, accolse parimenti, nel merito, le tesi difensive della società, annullando entrambi gli avvisi di accertamento.
Avverso questa sentenza, l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidandolo a sei motivi, mentre la contribuente si è difesa con controricorso, proponendo a sua volta ricorso incidentale affidato a un motivo.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso principale, si lamenta la nullità della sentenza, per violazione dell’art. 36, lgs. 31 dicembre 1992, 546, dell’art. 132, secondo comma, n. 4, disp. att., cod. proc. civ., e dell’art. 118 disp. att., cod. proc. civ., per vizio di motivazione apparente, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., per avere la C.T.R. annullato gli avvisi di accertamento, reputando i costi descritti in espositiva come di “start up” e dunque non ordinari, senza motivare in ordine alle prove dedotte in giudizio e alla loro rilevanza nella fattispecie esaminata, senza compiere una complessiva valutazione degli elementi di causa e senza esplicitare alcunché sulle fonti di prova poste a fondamento del proprio convincimento, ma limitandosi a richiamare la copiosa documentazione agli atti, le precisazioni svolte nell’indicato P.V.C. e le numerose considerazioni svolte dalle parti.
2. Con il secondo motivo di ricorso principale, si lamenta la violazione degli artt. 103 e 109 del d.P,R. 22 dicembre 1986, 917, in combinato con l’art. 2697 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere la C.T.R. sostanzialmente detto che l’Amministrazione finanziarié1 avrebbe dovuto fornire prove concrete in merito alla erroneità della deduzione dei costi operata dalla contribuente, come attestato dal passaggio motivazionale secondo cui a fronte del supporto probatorio fornito dalla società, l’Ufficio, cui incombe l’onere probatorio della pretesa erariale, non aveva opposto una prova contraria e :sufficiente, benché, in caso di componenti negativi del reddito e di deduzione delle quote di ammortamento, l’onere di provare l’esistenza del costo, la sua inerenza all’attività di impresa, la sua oggettiva determinabilità e la sua corretta imputazione, gravasse sulla contribuente, in ragione del principio della vicinanza della prova.
3. Con il terzo motivo di ricorso principale, si lamenta la nullità della sentenza, per violazione dell’art. 36, lgs. 31 dicembre 1992, 546, dell’art. 132, secondo comma, n. 4, disp. att., cod. proc. civ., e dell’art. 118 disp. att., cod. proc. civ., per vizio di motivazione apparente, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., per avere la C.T.R. affermato che la quota di ammortamento afferente ai costi sostenuti nel 2007 e capitalizzati come costi di start-up facessero parte inscindibile e funzionale del medesimo processo di complessiva riconversione iniziata nel 2005 e che la contribuente aveva riaffermato la sussistenza dei requisiti formali e sostanziali dei costi sostenuti e la loro corretta imputazione, senza che l’Ufficio opponesse una prova contraria, e avere altresì asserito che l’alternativa tra capitalizzazione con imputazione pro quota degli ammortamenti di un quinto del costo per cinque anni avrebbe verosimilmente dato analogo risulta1to del riporto della maggiore perdita in quote nei cinque anni successivi, e, infine, che risultava comprovato l’impegno, in termini di costi, profuso dalla società nell’azione finalizzata alla sua ristrutturazione e rilancio anche in termini di processo, come confermato dallo sviluppo del movimento merci registrato negli anni successivi, così rendendo una motivazione apparente e fondata sulle mere affermazioni della società e su giudizi di mera verosimiglianza e non fondate sulle prove fornite, oltreché erronea in punto di riparto dell’onere della prova.
4. Con il quarto motivo di ricor so principale, si lamenta la violazione dell’art. 10, legge 27 luglio 2000, n. 212, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere la C.T.R. affermato che la contribuente, avendo seguito per il periodo 2007- 2008 la stessa identica procedura contabile seguita per il 2005-2006 per la quale non vi era stata alcuna contestazione, aveva fatto legittimo affidamento sulla regolarità della contabilizzazione, senza considerare che il mancato esercizio del potere accertativo per una o più annualità non è fattispecie contemplata dal sistema tributario, né incide sulla debenza del tributo, in quanto rilevante solo in ordine agli aspetti sanzionatori, risarcitori e accessori, ai sensi dell’art. 10 dello Statuto del contribuente.
5. Con il quinto motivo di ricorso principale, si lamenta la violazione dell’art. 19 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere la C.T.R. annullato il recupero Iva per l’anno 2008, relativa alla fattura emessa dal fornitore T O. D. per presunte prestazioni, e la connessa sanzione, sostenendo che difettassero specifiche contestazioni al riguardo in quanto l’Ufficio aveva reso una motivazione di facciata con «l’aggancio della detraibilità Iva, imposta neutrale, alla ritenuta indebita deduzione di costi ai fini reddituali», senza considerare che la mancata dimostrazione, da parte della contribuente, della legittimità della deduzione del costo impedisce la detraibilità dell’Iva, non essendovi prova che questo sia stato sostenuto nell’esercizio dell’impresa.
6. Con il sesto motivo di ricorso principale, si lamenta la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, 4, cod. proc. civ., per vizio di ultrapetizione, per avere la C.T.R. annullato il recupero dell’Iva per una presunta carenza di motivazione, ritenuta «di facciata», benché la contribuente avesse lamentato la correlazione ritenuta dall’Ufficio tra indeducibilità dei costo e detraibilità dell’Iva, così introducendo una ragione di presunta nullità del recupero mai sollevata dalla parte, in violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato.
7. Con l’unico motivo di ricorso incidentale, si lamenta l’illegittimità della sentenza per violazione dell’obbligo di redigere e notificare apposito processo verbale di constatazione prima dell’emissione degli avvisi di accertamento relativi ai precedenti periodi di imposta 2007-2008, violazione degli 24 legge 7 gennaio 1929, n. 4, 12, comma 7, le9ge 27 luglio 2000, n. 212, 24 Cost., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere la C.T.R. affermato la legittimità degli avvisi di accertamento per gli anni 2007 e 2008, sebbene emanati in seguito a verifica fiscale conclusasi con la redazione del solo processo verbale di constatazione relativo al successivo periodo di imposta 2009, sostenendo che la mera descrizione delle operazioni effettuate nei precedenti anni 2005 e 2007 avrebbe dovuto consentire alla società di immaginare le loro ripercussioni anche per gli anni precedenti e che la ripetizione del P.V.C. sarebbe stata una mera formalità. Ad avviso della contribuente, invece, la reiterazione del P.V.C. non sarebbe stata una vuota formalità, ma avrebbe assunto valore sostanziale, non soltanto perché esso non conteneva tutti i rilievi formulati negli avvisi di accertamento riguardanti i precedenti periodi di imposta, ma anche perché l’emissione di un P.V.C. ad hoc per ogni periodo di imposta consente l) di avviare un contraddittorio pre-contenzioso ex art. 12 della leg9e n. 212 del 2000, idoneo a garantire il diritto di difesa, consentendo al contribuente di spiegare le proprie ragioni prima della notifica dell’avviso di accertamento, costituente titolo per l’iscrizione provvisoria a ruolo ex art. 15 d.P.R. 602 del 1973, e la definizione ex ante delle contestazioni mosse; 2) condiziona le diverse modalità attraverso cui esercitare l’attività di accertamento, 3) rappresenta il presupposto per l’accertamento con adesione, attivabile ex artt. 6, primo comma, d.lgs. n. 218 del 1997, o ex art. 5-bis d.lgs. n. 218 del 1997, aspetti questi costituzionalmente tutelati perché correlati ai principi di collaborazione e buona fede nei rapporti tra Amministrazione finanziaria e contribuente, e al diritto alla difesa e al contraddittorio endoprocedimentale ogni volta che debba essere adottato un provvedimento lesivo dei diritti e degli interessi del contribuente medesimo.
8. Quest’ultimo motivo va analizzato prioritariamente, in quanto, attenendo alla legittimità dell’emissione degli avvisi di accertamento impugnati, costituisce l’antecedente logico e giuridico delle questioni sollevate dall’Ufficio. Lo stesso è infondato.
La questione postula a monte la necessità di conoscere se l’accertamento sia stato compiuto previo accesso nei locali dell’azienda ovvero “a tavolino”.
Nel primo caso opera, infatti, l’art. 52, sesto comma, d.P.R. 29 settembre 1972, n. 633, il quale, dettato in materia di «Accessi, ispezioni e verifiche» e richiamato dall’art. 33, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, recante la medesima rubrica, stabilisce che «di ogni accesso deve essere redatto processo verbale da cui risultino le ispezioni e le rilevazioni eseguite, le richieste fatte al contribuente o a chi lo rappresenta e le risposte ricevute. Il verbale deve essere sottoscritto dal contribuente o da chi lo rappresenta ovvero indicare il motivo della mancata sottoscrizione. Il contribuente ha diritto di averne copia». A tale disposizione si correla poi l’art. 12, comma 7, legge 21 luglio 2000, n. 212, il quale prevede che l’avviso di accertamento non possa essere emanato prima della scadenza del termine di sessanta giorni dal rilascio al contribuente di copia del processo verbale di chiusura delle operazioni ispettive, salvo casi di particolare e motivata urgenza.
Tali disposizioni sono state interpretate da questa Corte nel senso che l’obbligo dei funzionari cli redigere processo verbale secondo le indicazioni contenute nel sesto comma del ridetto art. 52 d.P.R. n. 633 del 1972 insorge quando, ai fini dell’accertamento dell’imposta, sia stato effettuato un accesso nei locali destinati all’esercizio dell’attività o negli altri luoghi indicati dalla medesima norma (Cass., Sez. 5, 12/5/2011, n. 10381; Cass., Sez. 5, 11/9/2013, n. 20770) e che il termine dilatorio per l’emanazione dell’atto impositivo di cui all’art. 12, comma 7, l. n. 212 del 2000, attiene alle sole ipotesi in cui l’accertamento sia stato eseguito in seguito ad accessi, ispezioni e verifiche fiscali nei locali destinati all’esercizio di attività commerciali, industriali, agricole, artistiche o professionali, stante il chiaro tenore letterale della norma, che delimita esplicitamente il perimetro applicativo delle disposizioni contenute nei sette commi di cui tale articolo si compone, tutte calibrate sulle esigenze di tutelare il contribuente in relazione alle visite ispettive in loco (Cass., Sez. U, .29/7/2013, n. 18184; Sez. 5, 4/4/2014, n. 7960; Sez. 5, 2/4/2014, n. 7598) e di garantire il contraddittorio al fine di correggere, adeguare e chiarire gli elementi in tal modo raccolti, nell’interesse del contribuente e della stessa Amministrazione, quando vi sia stail:a l’invasione della sfera di quest’ultimo nei luoghi di sua pertinenza (Cass., 2/4/2014, n. 7598; Cass., 9/4/2013, n. 20770; Cass., 5/2/2014, n. 2593).
Diversamente accade, invece, allorché il controllo venga eseguito “a tavolino” e l’atto impositivo derivi dunque dall’esame di atti già in possesso dell’Amministrazione o forniti dal contribuente e da questa esaminati nella propria sede (Cass., 2014, n. 7598), nel quale, per contro, la naturale vis expansiva dell’istituto del contraddittorio procedimentale nei rapporti tra fisco e contribuente non giunge fino al punto da imporre termini dilatori all’azione di accertamento che derivi da controlli fatti dall’Amministrazione nella propria sede, in base ai dati forniti dallo stesso contribuente o acquisiti documentalmente (Cass., Sez. 6-5, 13/6/2014, n. 13588). Ciò comporta che, non avendo la contribuente specificato in ricorso quale tipo di accertamento sia stato svolto, se mediante accesso oppure· “a tavolino”, la censura sulla dedotta obbligatorietà della previa emissione del processo verbale di constatazione, in quanto funzionale a garantire il contraddittorio, è priva di fondamento e deve, pertanto, essere rigettata.
9.1 Il primo e il terzo motivo di ricorso principale sono Va innanzitutto detto che i costi di start-up, considerati straordinari per la loro utilità pluriennale, possono, previo consenso del collegio sindacale, essere iscritti all’attivo, anziché essere imputati in conto economico come componenti negativi del reddito di esercizio in cui sono sostenuti, ove la società ritenga, in base ad una scelta fondata su criteri di discrezionalità tecnica, di capitalizzarli, ai sensi dell’art. 2424 lettera BI1, in vista di un successivo ammortamento pluriennale ai sensi dell’art. 2426, primo comma, n. 5, cod. civ., invece di fa1· gravare i costi interamente sull’esercizio in cui sono stati sostenuti, e tale valutazione, ai fini della graduazione del beneficio, deve tenere conto del fatto che l’iscrizione di queste spese all’attivo dello stato patrimoniale è consentita dall’utilità pluriennale, di cui siano causa immediata e diretta (Cass., Sez.5, 18/12/2019, n. 33648; Cass., Sez. 5, 14/12/2018, n. 32419).
Secondo i principi contabili nazionali (OIC 24), infatti, sono considerati costi di impianto e di ampliamento ai sensi dell’art. 2424, BI1, cod. civ., quelli sostenuti in modo non ricorrente in alcuni caratteristici momenti del ciclo della vita della società, quali la fase pre-operativa o quella di accrescimento della capacità operativa (punto 6), e possono dunque sussistere sia in caso di società di nuova costituzione per progettare e rendere operativa la struttura aziendale iniziale, sia in caso di inizio di una nuova attività da parte di una società preesistente o di un suo ampliamento (punto 25).
Posto che, ai sensi del punto 40, gli oneri pluriennali possono essere iscritti nell’attivo dello stato patrimoniale solo 1) se è dimostrata la loro utilità futura, 2) se esiste una correlazione oggettiva con i relativi benefici futuri di cui godrà la società e 3) se è stimabile con ragionevole certezza la loro recuperabilità… dando prevalenza al principio della prudenza, in caso di costi di impianto e di ampliamento, la rilevazione inziale nell’attivo dello stato patrimoniale «è consentita solo se si dimostra la congruenza ed il rapporto causa-effetto tra i costi in questione ed il beneficio (futura utilità) che dagli stessi la società si attende, nel rispetto dei requisiti specifici previsti al paragrafo 40», atteso che «la facoltà concessa dalla norma civile di capitalizzare tali costi non è uno strumento per politiche di bilancio finalizzate all’alleggerimento, nel conto economico della società, di costi che potrebbero significativamente ridurre i risultati economici della stessa, né la capitalizzazione di questi costi è l’automatica conseguenza del fatto che gli stessi siano stati sostenuti»· (punto 42), sicché essi possono essere capitalizzati – e non imputati al conto economico dell’esercizio in cui sono sostenuti – «quando siano rispettate» alcune condizioni, ossia l’attribuibilità diretta degli stessi alla nuova attività e non la loro limitazione a quelli sostenuti nel periodo precedente al momento del possibile avvio e il rispetto della loro recuperabilità quando sia ragionevole una prospettiva di reddito (punto 43).
Con specifico riguardo, poi, ai costi di addestramento e di qualificazione del personale e dei lavoratori ad esso assimilabili, come quelli di specie, i principi OIC24, nel prevedere, quale regola generale, quella di considerarli costi di periodo, da iscrivere perciò nel conto economico dell’esercizio in cui si sostengono, ammettono la sua deroga e dunque la loro capitalizzazione soltanto allorché essi siano assimilabili ai costi di start-up e siano sostenuti in relazione ad una attività di avviamento di una nuova società o di una nuova attività ovvero se direttamente sostenuti in relazione ad un processo di riconversione o ristrutturazione industriale, che risulti da un piano approvato dagli amministratori (contenente la capacità prospettica della società di generare flussi di reddito futuri, sufficienti a coprire i costi e le spese, ivi inclusi gli ammortamenti dei costi capitalizzati) che si sostanzi in un investimento sugli attuali fattori produttivi e determini un profondo cambiamento nella struttura produttiva (cambiamenti dei prodotti e dei processi produttivi), commerciale ( cambiamenti della struttura distributiva) ed amministrativa della società (punto 45).
Tali disposizioni, che, pur non essendo fonti di diritto, hanno comunque funzione interpretativa e integrativa delle disposizioni codicistiche (Cass., Sez. 12/12/2019, n. 32544), consentono allora di affermare che la capitalizzazione dei costi per la formazione del personale e per la fornitura di servizi manageriali da parte della controllata T.O. D. s.p.a ., e la conseguente deducibilità delle relative quote di ammortamento intanto può dirsi correttamente operata, in quanto risponda a monte ai requisiti sopra descritti.
Ciò comporta che lo sforzo dimostrativo richiesto al contribuente ai fini della deducibilità delle quote di ammortamento conseguenti alla capitalizzazione dei costi di ampliamento, sostanziatisi in costi di addestramento e di qualificazione del personale, come quelli oggetto dell’odierna contesa, non può dirsi limitato alla sola prova della correlazione tra costo sostenuto e singole attività sociali e utilità obiettivamente determinabili, come avviene in genere, ma deve estendersi alla sussistenza degli stessi presupposti che consentono di derogare alla disciplina contabile generale che impone di considerarli costi dì periodo da iscrivere nel conto economico dell’esercizio in cui si sostengono.
Pertanto, il giudice, al fine di verificare la correttezza dell’allocazione di tali poste in bilancio e della conseguente deduzione degli oneri pluriennali, è tenuto ad analizzare con rigore, dandone conto in motivazione, delle prove addotte dal contribuente al fine di dimostrare la congruenza e il rapporto causa-effetto tra costi e benefici, l’attribuibilità diretta dei costi alla nuova attività e la loro recuperabilità e, infine, la sussistenza di un approvato piano di ampliamento sostanziantesi in un investimento su attuali fattori produttivi e foriero di un profondo cambiamento nella struttura produttiva, derivando altrimenti da una tale omissione la nullità del provvedimento emesso.
9.2 Detto ciò, deve osservarsi come, nella specie, la C.T.R. abbia spiegato, sia pure laconicamente, le ragioni in virtù delle quali ha ritenuto corretta l’allocazione in bilancio dei costi di start-up e la deduzione degli oneri pluriennali, allorché, richiamando la «copiosa documentazione agli atti, le precisazioni svolte nell’indicato v.c. ove si dà conto della documentazione messa a disposizione dalla società verificata» e le «numerose considerazioni svolte dalle parti anche in ordine alla indi/azionabile necessità per la ricorrente di dare una svolta effettiva per l’uscita da una situazione di notoria crisi evidenziata dalla inadeguata capacità competitiva della risorsa strategica del porto triestino a confronto con l’efficacia, efficienza e produttività dei suoi diretti e prossimi competitori a livello internazionale», ha ritenuto specificata la «tipologia di costi raggruppati come costi di start-up aziendale, di natura non ordinaria ed effettuata nel particolare momento storico richiamato», oltreché giustificata dall’azione finalizzata alla ristrutturazione della società e al suo rilancio, come confermato dallo sviluppo registrato negli anni successivi anche in termini di movimentazione merci, testimoniato dall’accresciuto _volume dei traffici.
Ciò comporta che la dedotta nullità della sentenza non sia configurabile, alla luce del principio, pacifico nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui la nullità processuale della sentenza (per motivazione totalmente mancante o motivazione apparente) è integrata nel caso di «motivazione solo apparente, che non costituisce espressione di un autonomo processo deliberativo, quale la sentenza di appello motivata “per relationem” alla sentenza di primo grado» (cfr. ad es. Cass. Sez. L, 25/10/2018, n. 27112) ovvero qualora la motivazione «risulti ciel tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione» (ad es. Cass. Sez. 6 – 3, 25/09/2018, n. 22598; ipotesi ravvisata anche in caso di «contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, che rendono incomprensibili le ragioni poste a base della decisione», Cass. Sez. 6 — L, 25/06/2018, n. 16611) oppure quando la motivazione manchi del tutto, sì da non consentire l’individuazione del percorso argomentativo della pronuncia giudiziale, funzionale alla sua comprensione e alla sua eventuale verifica in sede di impugnazione, la quale, però, non è configurabile nel caso di «una pur succinta esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione impugnata» (ad es., da ultimo, Cass. Sez. 3, 15/11/2019, 29721), come avvenuto nella specie. Ne deriva l’infondatezza dei motivi.
10. Il secondo motivo è parimenti infondato.
E’ vero che, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, spetta al contribuente, anche in ragione del criterio della vicinanza della prova, l’onere di dimostrare l’esistenza dell’inerenza e, se contestata dall’Amministrazione finanziaria, la coerenza economica dei costi deducibili, non essendo a tal fine sufficiente che la spesa sia stata contabilizzata dall’imprenditore” ma occorrendo altresì che esista la documentazione di supporto da cui ricavare, oltre che l’importo, la ragione e la coerenza economica della stessa, essendo, in difetto, legittima la negazione della deducibilità del costo (cfr., ex multis, Cass., Sez. 5, 30/5/2018, n. 13588; Cass. 6/02/2015, n. 2179; Cass., Sez. 5, 26/5/2017, n. 13300). Così come è altrettanto vero che il principio di inerenza del costo ai fini della sua deducibilità è ricondotto, sul piano normativo, all’art. 109, comma 5 (già art. 75, comma 5) d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, secondo cui «le spese e gli altri componenti negativi […] sono deducibili se e nella misura in cui si riferiscono ad attività o beni cui derivano ricavi o altri proventi che concorrono a formare il reddito o che non vi concorrono in quanto esclusi», il quale, come già sostenuto da questa Corte, riferisce il relativo giudizio all’oggetto sociale e all’attività dell’impresa, nel senso che il costo è deducibile se è funzionale alle singole attività sociali o, comunque, se apporta all’impresa un’utilità obiettivamente determinabile e adeguatamente documentata o se è potenzialmente capace di produrre un reddito imponibile, senza integrare un nesso tra costo e ricavo (in questi termini, Cass., Sez. 5, 30/5/2018, n. 13588).
E’ però vero che, nella specie, la C.T.R. non ha violato i suddetti principi, posto che il richiamo, contenuto in sentenza, alla mancata dimostrazione, da parte dell’Ufficio,, della pretesa erariale è ricollegato alle considerazioni, reputate «generiche e teoriche», da esso svolte a fronte del compendio probatorio offerto dalla società, sicché nessuna Violazione del riparto dell’onere probatorio può dirsi integrata.
11. Il quarto motivo è pure infondato.
L’affermazione, contenuta nella sentenza, in ordine al legittimo affidamento riposto dalla società sulla correttezza del proprio operato, per avere l’Ufficio omesso di contestare le medesime procedure contabili seguite negli anni 2005-2006, costituisce, infatti, soltanto una delle diverse rationes decidendi, distinte e autonome, su cui è stata fondata la decisione della C.T.R..
Ne consegue che, in linea con quanto già affermato da questa Corte (in questi termini, Cass., Sez.. 3, 13/6/2018, n. 15399), l’infondatezza delle censure riguardanti altri profili della sentenza impugnata, in quanto giuridicamente e logicamente sufficienti a giustificare la decisione adottata, rende irrilevante l’esame della questione, non essendo questa idonea a determinare l’annullamento della sentenza impugnata in ragione del consolidamento dell’autonoma motivazione oggetto delle censure dichiarate infondate.
12. Il quinto motivo è parimenti infondato.
Va innanzitutto detto che, in tema di IVA, il diritto del contribuente di portare in detrazione l”imposta assolta o dovuta e a lui addebitata in via di rivalsa, in relazione a beni o servizi importati o acquistati nell’esercizio dell’impresc1, arte o professione, ai sensi dell’art. 19, d.P.R. n. 633 del 1972 e dell’art. 17 Dir. CEE 17/5/1977, 388, fondandosi sul principio di neutralità dell’imposta, non sorge per il solo fatto dell’avvenuto pagamento dell’imposta formalmente indicata in fattura, secondo il principio di cartolarità (Cass., 21/01/2020, n. 1249; Cass., 18/04/2019, n. 10974; Cass., 10/6/2015, n. 12111; CGUE 29/04/2004, C-152/02, Terra Baubedarf – Handel GmbH e Finanzamt Osterholz-Scharmebeck; Cass., 14/05/2020, n. 8919), ma impone altresì che l’operazione compiuta sia inerente all’impresa (Cass., Sez. 5, 14/5/2020, n. 8919) e che le operazioni indicate in fattura siano effettivamente utilizzate per il compimento di operazioni imponibili (Cass,, Sez. 5, 10/11/2006, n. 24065).
Tale diritto, infatti, proprio in quanto posto a presidio e garanzia dell’attuazione del principio di neutralità dell’Iva, che secondo i principi unionali, consente al cessionario/committente di beni o servizi nell’esercizio dell’impresa, arte o professione, di essere esonerato da tutto il tributo dovuto o pagato nell’ambito della propria attività economco-professionale (CGUE 1/04/2004, causa C-90/02, Finanzamt Gummersbach contro Gerhard Backemuhe; CGUE 6/2/2014, Causa C-424/12, Fatorie), implica non solo l’imponibilità delle operazioni in quanto, in linea di principio, soggette a Iva, e l’esigibilità (Cass., 11/12/2020, n. 28263) e dovutezza (Cass., 10/11/2020, n. 25257) dell’imposta, ma anche la necessaria coesistenza, prima della realizzazioni delle operazioni imponibili (CGUE, 8/6/2000, C-98/98,Commissioners of Customs & Excise e Midland Bank pie), del requisito soggettivo della riconducibilità delle operazioni ad un operatore commerciale (Cass., 19/7/2017, n. 17783) e di quello oggettivo della loro connessione con l’attività commerciale del soggetto passivo, oltre al collegamento tra una specifica operazione a monte e una o più operazioni a valle soggette a imposta (siccome computabile in misura proporzionale all’importo relativo alle operazioni che ne danno diritto) e all’inserimento delle spese sostenute per l’acquisto di beni e servizi tra gli elementi costitutivi del prezzo delle operazioni effettuate a valle (CGUE, 6/4/1995, C-4/946, BLP Group pie contro Commissioners of Customs & Excise; Id. 8/6/2000, C-98/98, Commissioners of Customs & Excise e Midland Bank pie), restando invece irrilevanti gli scopi e i risultati perseguiti (Cass., 11/12/2020, n. 28263, Cass., 9/3/2020, 6526; CGUE 27.6.2018, C- 4 59/ 17., SGI e Valériane SNC contro Ministre de l’Action et des Comptes publics Domande di pronuncia pregiudiziale proposte dal Conseil d’État Francia; CGUE 21.11.2013, C-494/12, Dixons Retail).
Pertanto, il diritto alla detrazione, pur muovendo da presupposti diversi da quelli della deducibilità dei costi di impresa, sì da non venire inciso automaticamente dal suo mancato riconoscimento (Cass., Sez. 5, 17/7/2020, n. 15288), trova con essa il suo punto di convergenza nel requisito dell’inerenza, atteso che, al pari di quanto sancito in tema di imposte dirette, per le quali occorre che i costi siano riferibili all’attività d’impresa, anche in via indiretta, potenziale o in proiezione futura, con esclusione di quelli ad essa estranei (Cass., Sez. 5, 31/10/2018, n. 27786), implica la sussistenza di un nesso di strumentalità o causalità, immediato e diretto, delle operazioni compiute con l’attività di impresa o professionale svolta, anche se potenziale o in prospettiva (Cass., Sez. 6-5, 11/1/2021, n. 215; Cass., 23/12/2019, n. 34291), e anche se questa, per cause estranee al contribuente, non si sia potuta in concreto esercitare (Cass., Sez. U., 11/5/2018, n. 11533) .,
Peraltro, al pari di quanto previsto per i costi deducibili, è il contribuente a dover provare che i beni e i servizi acquisiti sono stati impiegati nell’ambito di una delle attività economiche indicate nella direttiva (Cass., Sez. 5, 4/2/2005, n. 2300) o che l’operazione ha comportato lo sfruttamento di un bene materiale per ricavarne introiti aventi· un certo carattere di stabilità (Cass. Sez. 5, 05/12/2014, n. 25777).
Considerata allora la coincidenza del requisito dell’inerenza richiesto sia ai fini della deduzione dlei costi, sia della detrazione dell’Iva, deve ritenersi che la censura in esame non possa che essere travolta, nella specie, dalla dichiarata infondatezza del primo e del terzo motivo, in virtù della quale vi1: ne ad essere confermato il giudizio espresso sul punto dalla C.T.R. con la sentenza impugnata.
Ne consegue l’infondatezza della censura.
13. Il sesto motivo, infine, è altrettanto
Se è vero che, ad avviso di questa Corte, si determina violazione del principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato nell’ipotesi in cui il giudice del merito sostituisca la causa petendi dedotta dall’attore con una differente, l’ondata su un fatto diverso da quello posto a fondamento della domanda (Cass., Sez. 3, 06/04/2021, n. 9255), è anche vero che la ricorrente non si confronta con la sentenza dei giudici di merito, i quali non hanno fondato la decisione sul difetto di motivazione, quanto sulla incongruità della ritenuta correlazione tra detraibilità dell’Iva e indebita deduzione dei costi, come evidenziato nel punto che precede.
13. Ne deriva l’infondatezza del motivo.
In conclusione, deve essere dichiarata l’infondatezza delle censure proposte col ricorso principale e del motivo proposto con quello incidentale. In ragione di ciò, le spese del giudizio devono essere compensate.
L’obbligo di versare, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. del 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge del 24 dicembre 2012, n. 228, un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, non può trovare applicazione nei confronti delle Amministrazioni dello Stato che, mediante il meccanismo della prenotazione a debito, sono esentate dal pagamento delle imposte e tasse che gravano sul processo (Cass., sez. 6-L, 29/1/2016, n. 1778; Cass., sez. 5, 14/5/2020, n. 8914).
P.Q.M.
rigetta il ricorso principale e il rico1·so incidentale. Compensa tra le parti le spese del giudizio.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, leigge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente incidentale del contributo unificato previsto per il ricorso a norma dell’art. 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
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