Corte di Cassazione sentenza n. 10383 depositata il 30 aprile 2018

Fallimento – liquidazione coatta amministrativa – stato di insolvenza – accertamento giudiziario – successivo nei confronti degli enti pubblici economici – ammissibilità – esclusione – ragioni

FATTI DI CAUSA

La corte d’appello di Trieste rigettava il reclamo proposto dal pubblico ministero avverso il decreto col quale il tribunale di Udine aveva a sua volta respinto la richiesta di declaratoria di stato di insolvenza del Consorzio per lo sviluppo industriale della zona Aussa Corno, ente pubblico economico istituito con L. n. 633 del 1964 e così qualificato in forza della L. n. 317 del 1991, art. 36 e della L.R. Friuli Venezia Giulia n. 3 del 1999. Tale domanda era stata avanzata dallo stesso ufficio in adesione al ricorso per dichiarazione dello stato di insolvenza depositato dal commissario liquidatore.

La corte d’appello, per quanto di interesse in questa sede, ha rilevato che la tesi dell’ufficio requirente, diretta a estendere la dichiarazione di insolvenza di cui alla L. Fall., art. 202 agli enti pubblici, ovvero alternativamente a escludere la natura di ente pubblico economico per l’ente che avesse deviato dai propri compiti istituzionali, aveva trovato risposta negativa nella sentenza di questa Corte Suprema n. 10008 del 1993, che ne aveva escluso il fondamento sul piano strettamente letterale e sul piano delle ragioni sostanziali sottese alla peculiare disciplina del soggetto pubblico, della sua organizzazione e delle sue vicende.

Avverso il decreto della corte distrettuale, depositato il 21-7-2016, il pubblico ministero ha proposto ricorso per cassazione sorretto da un unico mezzo.

Tra gli intimati si è costituito solo B.T., che ha resistito e ha infine depositato una memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – L’ufficio ricorrente, reputando criticabile la citata pronuncia n. 10008-93 di questa Corte, chiede che il decreto impugnato sia cassato per aver confermato la statuizione di inammissibilità del ricorso per dichiarazione dello stato di insolvenza dell’ente pubblico economico Consorzio per lo sviluppo industriale della zona Aussa Corno, già messo in liquidazione coatta amministrativa. Il decreto avrebbe violato la L. Fall., art. 202 giacché tale norma non richiama, quanto agli enti pubblici, il divieto di dichiarare lo stato di insolvenza previsto, prima della messa in liquidazione, dall’art. 195, comma 8.

Secondo la tesi del ricorrente la diversa esegesi affermata da questa Corte andrebbe sottoposta a revisione, tenendo conto della sopravvenuta disposizione ex art. 82 T.u.b. e del fatto che la dichiarazione dello stato di insolvenza condiziona la punibilità dei reati fallimentari.

2. – Il ricorso è inammissibile in applicazione del principio, oramai consolidato, che nega la decisorietà al provvedimento di conferma del rigetto dell’istanza di fallimento (Cass. n. 5069-17, Cass. n. 20297-15, Cass. n. 6683-15, Cass. n. 19446-11).

Tale principio è estendibile anche al rigetto del ricorso per l’accertamento dello stato di insolvenza, quanto alle imprese soggette a liquidazione coatta amministrativa (L. Fall., art 195).

La simmetria tra le fattispecie è invero desunta dalle conseguenze comuni che ne derivano, in punto di possibile esercizio delle azioni revocatorie anche fallimentari (L. Fall., art. 203) e di assoggettabilità dell’imprenditore (o degli organi societari) alle fattispecie penali previste per l’eventualità del fallimento (L. Fall., art. 237).

3. – Peraltro il collegio reputa di esaminare egualmente la sottostante questione giuridica nell’ottica dell’art. 363 c.p.c., in considerazione della particolare importanza della medesima in rapporto all’unico precedente lontano nel tempo (Cass. n. 10008-93), di cui è esplicitamente chiesta la revisione.

4. – Con la sentenza appena citata questa Corte ha avuto modo di affermare che gli enti pubblici economici, i quali sono esclusi dall’accertamento preventivo dello stato d’insolvenza, L. Fall., ex art. 195, u.c., non possono essere assoggettati nemmeno all’accertamento successivo, ai sensi della L. Fall., art. 202, poiché questa norma presuppone che l’insolvenza non sia stata preventivamente dichiarata a norma dell’art. 195, ma consente l’accertamento successivo soltanto nei confronti di quegli enti per i quali è ammissibile, sebbene in concreto non essendo stato compiuto, l’accertamento preventivo.

Il pubblico ministero presso il tribunale di Udine contesta l’indirizzo giurisprudenziale appena citato, sostenendo che andrebbe a tradursi in un ingiustificato trattamento di favore per gli amministratori degli enti pubblici economici, atteso che la dichiarazione dello stato di insolvenza condiziona la punibilità dei reati fallimentari.

In contrasto col citato indirizzo il ricorrente evoca inoltre l’art. 82, comma 2 T.u.b. (sopravvenuto alla sentenza n. 10008-93), il quale stabilisce che la dichiarazione di insolvenza successiva può essere pronunciata nei confronti di tutte le banche, anche di natura pubblica, a conferma del discrimine esistente tra la dichiarazione di stato di insolvenza anteriore alla messa in liquidazione coatta amministrativa (vietata) e la dichiarazione appunto successiva (consentita).

La tesi assunta a fondamento del ricorso, rinvenibile anche in dottrina, è allora che la L. Fall., art. 202, non richiamando il divieto di cui all’art. 195 quanto all’accertamento dello stato di insolvenza successivo alla messa in liquidazione, consentirebbe in generale la dichiarazione di insolvenza “successiva” anche per gli enti pubblici economici, non potendo giustificarsi la differenza di trattamento altrimenti determinabile tra gli ex amministratori di una banca di capitale pubblico e quelli di un qualsivoglia distinto ente pubblico economico.

5. – Occorre preliminarmente chiarire che le argomentazioni incentrate sulle conseguenze penali dell’esegesi non sono pertinenti.

Il profilo inerente la sottoponibilità o meno dell’ente pubblico alla procedura di accertamento giudiziario dello stato di insolvenza va risolto in base alle previsioni della legge fallimentare a esso (profilo) dedicate. Il terreno delle conseguenze penali è un posterius, e implica semmai la verifica del trattamento differenziato rispetto a quello correlato alla repressione penale dei reati fallimentari.

Le argomentazioni ulteriormente svolte a presidio della tesi sostenuta in ricorso, per quanto pertinenti, non possono essere condivise.

6. – Giova rammentare che la questione sorge per il combinato disposto della L. Fall., artt. 195 e 202.

L’art. 195 attiene all’accertamento giudiziario dello stato di insolvenza delle imprese soggette a liquidazione coatta amministrativa anteriormente all’apertura del procedimento e, in base all’u.c., le sue disposizioni non si applicano agli enti pubblici. Tuttavia è possibile che la dichiarazione giudiziale di insolvenza sia pronunciata anche nel corso della procedura (L. Fall., art. 202), e in tal caso non è prevista la testuale esenzione in favore degli enti pubblici, giacché l’art. 202 richiama dell’art. 195, i commi 2, 3, 4, 5 e 6, ma non l’ultimo.

Ora non può sostenersi che il suddetto mancato richiamo sia sintomatico del fatto di essere l’ente pubblico economico assoggettabile ad accertamento successivo dello stato di insolvenza, poiché vi osta – come già evidenziato dalla citata sentenza n. 10008-93 – il dato normativo complessivamente inteso e la collocazione sistematica di esso nel quadro generale di disciplina dell’istituto.

Operando il necessario confronto tra le previsioni citate nel complesso della disciplina da esse desumibile, è in vero agevole notare che la limitazione del rinvio della L. Fall., art. 202 ai soli commi dal secondo al sesto dell’art. 195 è strettamente connessa al fatto di essere l’art. 202 essenzialmente diretto a stabilire le regole procedimentali per l’accertamento dello stato di insolvenza dopo la messa in liquidazione; e in tal guisa si spiega il richiamo delle sole previsioni dell’art. 195 funzionali allo scopo.

Non sono funzionali a disciplinare i necessari aspetti procedimentali dell’istituto in questione né il primo comma dell’art. 195 – poiché l’indicazione dei presupposti e dell’organo competente per la declaratoria di insolvenza successiva non può che trovarsi nella norma che prevede tale declaratoria, e dunque nell’art. 202; né l’art. 195, comma 7 – poiché l’accertamento dello stato di insolvenza nella pendenza di una procedura di concordato preventivo, ivi previsto, non è compatibile col presupposto della già intervenuta messa in liquidazione coatta.

Allo stesso modo non lo è l’art. 195, u.c. – che, escludendo gli enti pubblici, concerne l’ambito applicativo dell’istituto dell’accertamento dello stato di insolvenza in sé considerato. Tale ambito applicativo è necessariamente comune alle due ipotetiche fattispecie, dell’accertamento anteriore e dell’accertamento successivo alla liquidazione coatta, perché l’art. 202, comma 1 disponendo che l’accertamento giudiziario dello stato di insolvenza successivo alla liquidazione coatta presuppone che l’impresa si trovi in stato di insolvenza e questa non sia stata “preventivamente dichiarata ai sensi dell’art. 195”, implica già la condivisione dei presupposti sostanziali dell’accertamento giudiziario medesimo, per modo che quei presupposti restano in ogni caso identici dal punto di vista degli enti assoggettabili.

7. – La ratio della disciplina di esclusione degli enti pubblici tra i destinatari delle citate disposizioni della legge fallimentare conforta la ridetta esegesi.

Resta infatti insuperato il rilievo per cui gli enti pubblici sono sottoposti al diritto comune, e cioè alle medesime norme applicabili ai soggetti privati, per quanto riguarda la disciplina degli atti posti in essere, mentre si distinguono per ciò che invece attiene alla disciplina del soggetto, della sua organizzazione e delle sue vicende. E non a caso essi sono in base all’art. 2221 c.c. sottratti al fallimento, vale a dire alla procedura con la quale è ancora oggi disciplinata l’insolvenza irreversibile in via generale.

L’assoggettamento degli enti a liquidazione coatta trova ragione nella incidenza della procedura non sugli atti ma sul soggetto in quanto tale. E, come ben messo in evidenza da Cass. n. 10008-93, la specificità di tale condizione, dal legislatore evidentemente ritenuta essenziale, sarebbe infine vanificata se una dinamica analoga a quella esclusa (del fallimento) fosse perseguita attraverso la equivalente (negli effetti) dichiarazione di insolvenza successiva.

8. – Gli esposti rilievi non sono incisi dall’argomento dal ricorrente tratto dalla sopravvenuta disciplina del T.u.b.

Lo stato di insolvenza di una banca sottoposta a liquidazione coatta amministrativa si traduce, ai sensi dell’art. 82, comma 2 T.u.b. e in relazione alla generale previsione della L. Fall., art. 5, nel venir meno delle condizioni di liquidità e di credito necessarie per l’espletamento della specifica attività imprenditoriale (v. Cass. n. 20186-17).

Dunque trova fondamento nel preminente – e tuttavia specifico – interesse alla tutela del credito e del risparmio.

La circostanza che proprio la citata disposizione del T.u.b. abbia previsto codesta possibilità in relazione alle banche di natura pubblica in stato di insolvenza al momento dell’emanazione del provvedimento di liquidazione coatta amministrativa, ove l’insolvenza non sia stata dichiarata a norma del medesimo art. 82, comma 1 suffraga semmai la conclusione opposta a quella predicata dall’ufficio ricorrente: vale a dire che in base alla legge fallimentare le stesse banche pubbliche, in quanto enti pubblici ai sensi della L. Fall., art. 195, u.c., non si sarebbero potute ritenere assoggettabili all’accertamento giudiziario dello stato di insolvenza dopo la messa in liquidazione coatta. Tanto che, onde prevederne l’assoggettamento successivo, è appunto intervenuta la norma speciale a tutela del credito e del risparmio.

9. – Non è vano osservare, in ultimo, che il risultato dell’esegesi è oggi confortato dalla legge delega per il riordino delle procedure concorsuali (L. 19 ottobre 1917, n. 155).

Fissando all’art. 2 i principi generali per la riforma organica delle procedure, la stessa legge delega ha esplicitamente ribadito l’assoggettamento di ogni categoria di debitore “al procedimento di accertamento dello stato di crisi o di insolvenza”, si tratti di persona fisica o giuridica, ente collettivo, consumatore, professionista o imprenditore esercente un’attività commerciale, agricola o artigianale, ma “con esclusione dei soli enti pubblici” (lett. e).

A sua volta per la liquidazione coatta amministrativa l’art. 15 medesima legge delega ha fissato principi e criteri direttivi presupponenti l’applicabilità delle relative disposizioni alle imprese in stato di crisi o di insolvenza attualmente soggette alla procedura di liquidazione coatta amministrativa, mantenendo fermo il relativo regime speciale solo nei casi previsti: (1) dalle leggi speciali in materia di banche e imprese assimilate, intermediari finanziari, imprese assicurative e assimilate; (2) dalle leggi speciali in materia di procedimenti amministrativi di competenza delle autorità amministrative di vigilanza, conseguenti all’accertamento di irregolarità e all’applicazione di sanzioni da parte delle medesime autorità.

10. – Ribadendosi allora l’impostazione della citata Cass. n. 10008-93, confermata dai riferiti ulteriori spunti, va ai sensi dell’art. 363 c.p.c. enunciato il seguente principio di diritto: “in tema di liquidazione coatta amministrativa, l’accertamento preventivo e l’accertamento successivo dello stato di insolvenza restano dalle disposizioni della legge fallimentare ancorati ai medesimi presupposti sostanziali; sicché l’accertamento successivo è ammissibile soltanto nei confronti di quegli enti per i quali risulti ammissibile l’accertamento preventivo, anche se in concreto non compiuto, con conseguente esclusione in entrambi i casi degli enti pubblici”.

11. – L’inammissibilità del ricorso non rileva ai fini della pronuncia sulle spese processuali, dovendo darsi continuità al principio secondo cui, riguardo ai procedimenti in cui è parte, l’ufficio del P.M. non può in ogni caso esser condannato al pagamento delle spese del giudizio nell’ipotesi di soccombenza, trattandosi di un organo propulsore dell’attività giurisdizionale che ha la funzione di garantire la corretta applicazione della legge, con poteri meramente processuali, diversi da quelli svolti dalle parti, esercitati per dovere di ufficio e nell’interesse pubblico (per tutte Cass. n. 19711-15, Cass. n. 20652-11, Cass. Sez. U. n. 11191-03).

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile.