CORTE di CASSAZIONE – Sentenza n. 10422 depositata il 19 aprile 2023
Tributi – Avviso di accertamento – IVA, IRES e IRAP – Canone per la concessione in uso di di spazi commerciali e attrezzature – Concessione di spazi espositivi tra società appartenenti al medesimo gruppo – Non inerenza del costo – Antieconomicità manifesta dell’operazione – Rigetto
Fatti di causa
1. Con sentenza n. 1214/22/2020 depositata in data 24/6/2020 la Commissione tributaria regionale della Lombardia rigettava l’appello principale proposto dalla società (…) S.r.l. in liquidazione e accoglieva l’appello incidentale dell’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza n. 126/1/19 della Commissione tributaria provinciale di Pavia, la quale a sua volta aveva accolto il ricorso introduttivo della società avente ad oggetto l’avviso di accertamento per IVA, IRES e IRAP 2016 oltre ad accessori.
2. Il giudice di prime cure riteneva corretto l’accertamento analitico-induttivo dell’Amministrazione finanziaria promosso ex art. 39 comma 1 lett. d) del D.P.R. n. 600 del 1973 con la sola eccezione del rilievo di indeducibilità dei costi rappresentati dalle esistenze iniziali dell’anno di imposta.
3. Il Giudice di appello rilevava, condividendo sul punto il ragionamento del primo giudice, la fondatezza delle riprese per omessa fatturazione e contabilizzazione di ricavi per concessione in uso di spazi commerciali alla L.G. s.r.l. in cambio di canone quasi gratuito, operazione antieconomica per la quale si doveva presumere l’onerosità anche avendo riguardo ai rapporti fra la società L. s.r.l. e L.G. s.r.l. di medesima compagine sociale e medesimo amministratore. Condivideva inoltre la fondatezza delle riprese per minusvalenza indeducibile in conseguenza dell’errata contabilizzazione di beni utilizzati come strumentali anziché come merce e per omessa contabilizzazione e fatturazione di ricavi per contratti di comodato circa auto concesse in uso a terzi, oltre che per costi parzialmente indeducibili e omessa contabilizzazione di plusvalenza, nonché circa la ripresa IVA e circa le sanzioni. Inoltre, veniva accolto l’appello incidentale dell’Agenzia e così riformato il capo della sentenza di primo grado che aveva annullato il recupero per costi indeducibili relativi a beni riqualificati come beni strumentali anziché beni merce.
4. Avverso tale sentenza la società (…) s.r.l. in liquidazione propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi mentre l’Amministrazione finanziaria si è costituita al solo fine di eventualmente partecipare all’udienza di discussione ex art. 370, comma 1, c.p.c..
5. La ricorrente ha depositato memoria illustrativa, tra l’altro chiedendo la riunione del processo con altri pendenti fra le stesse parti e riguardanti diversi anni di imposta.
Ragioni della decisione
6. Preliminarmente non può trovare accoglimento la richiesta di riunione del presente ricorso con altri pendenti avanti la Corte e asseritamente connessi, ma in realtà relativi ad anni di imposta diversi, incentrati su motivi di censura e circostanze di fatto in parte diversi e riferiti a riprese per imposte erariali che comunque non comportano rischio di contrasti tra giudicati.
7. Con il primo motivo di ricorso – in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. – viene dedotta la violazione degli artt. 5, comma 2, del d.lgs. n. 147 del 2015 e 9 TUIR con riferimento alla statuizione della CTR circa la ripresa per concessione in uso di spazi commerciali e attrezzature alla società L.G. S.r.l..
8. Il motivo è infondato. La decisione fa riferimento al pagamento del canone di Euro 5.000,00 per la la concessione in uso di di spazi commerciali e attrezzature, in luogo della stima di mercato che individua come congrua una ben superiore cifra.
Nel caso in esame la contribuente ritiene di essere di fronte ad un accertamento del valore “normale”, in presenza di concessione di spazi espositivi tra società appartenenti al medesimo gruppo ( L.G. S.r.l.), entrambe venditrici di autovetture. Non vi sarebbe quindi cessione di beni o vendita, per cui il valore normale possa essere fissato con riferimento al prezzo del bene.
Si legge infatti, nel corpo del motivo da ultimo rielaborato nella memoria illustrativa che, trattandosi di concessioni di spazi espositivi:
a) innanzitutto l’Amministrazione finanziaria avrebbe assunto a base di valutazione i costi complessivi della società che ha concesso gli spazi espositivi all’altra e ne avrebbe dedotto in proporzione la quota che l’una deve avrebbe dovuto riaddebitare all’altra in comodato;
b) in secondo luogo, l’accertamento analitico induttivo di cui all’art. 39 lett. d) citato non giustificherebbe un accertamento su rapporti tra imprese infra-gruppo fondato sull’applicazione di un prezzo normale, per giunta a rapporti concernenti le concessioni di spazi di esposizione, rispetto alle quali la logica non è di puro scambio, ma si intrecciano considerazioni diverse, ad esempio un concessionario addirittura anziché pretendere un canone potrebbe concedere di esporre un’autovettura di lusso per attirare i clienti alla sua rivendita di auto più economiche;
c) infine, non sarebbe stato allegato alcun elemento da cui si possa dedurre un valore normale o anche un vantaggio attribuito dall’una all’altra società in funzione di elusione o di evasione delle imposte.
9. Viene inoltre invocata dalla contribuente la norma interpretativa, e quindi di applicazione retroattiva, di cui all’art. 5, comma 2, del d.lgs. 14 settembre 2015, n. 147, a tenore della quale “La disposizione di cui all’art. 110, comma 7, del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con d.p.r. 22 dicembre 1986, n. 917, si interpreta nel senso che la disciplina ivi prevista non si applica per le operazioni tra imprese residenti o localizzate nel territorio dello Stato.”.
La norma è richiamata dalla società per escludere che si possano applicare alle transazioni tra società infragruppo con sede nel territorio nazionale le disposizioni di cui all’art. 110, comma 7 del TUIR. Quest’ultimo disposto di legge prevede: “I componenti del reddito derivanti da operazioni con società non residenti nel territorio dello Stato, che direttamente o indirettamente controllano l’impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l’impresa, sono determinati con riferimento alle condizioni e ai prezzi che sarebbero stati pattuiti tra soggetti indipendenti operanti in condizioni di libera concorrenza e in circostanze comparabili, se ne deriva un aumento del reddito. La medesima disposizione si applica anche se ne deriva una diminuzione del reddito, secondo le modalità e alle condizioni di cui all’art. 31quater del d.p.r. 29 settembre 1973, n. 600. Con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, possono essere determinate, sulla base delle migliori pratiche internazionali, le linee guida per l’applicazione del presente comma.
La novella recata dal d.lgs. n. 147 del 2015, non solo con riferimento al comma 2 dell’art. 5, per consolidata interpretazione giurisprudenziale della Sezione si interpreta nel senso che tale disciplina non si applica alle operazioni tra imprese residenti o localizzate nel territorio dello Stato per l’applicabilità ex tunc del citato decreto, quale norma di interpretazione autentica, il quale chiarisce anche per il passato il valore da attribuire alla legge precedente, ossia gli artt. 9 e 110 TUIR (cfr. Cass. Sez. 5 -, Sentenza n. 16366 del 30/07/2020; Cass. Sez. 5 -, Sentenza n. 16948 del 25/06/2019).
10. Orbene, al Collegio non pare che gli argomenti addotti dalla contribuente siano insuperabili:
a) l’Agenzia ha fatto sì riferimento ai canoni di locazione di mercato, ma per trarre argomento dal fatto che l’uso degli spazi per commercializzazione e riparazione tra società commerciali, per quanto del medesimo gruppo, è stato dato in uso sostanzialmente in modo gratuito (cfr. ultima pagina sentenza impugnata);
b) il ricorso al criterio del valore normale non è stato applicato meccanicamente per sindacare le scelte imprenditoriali, ma quale argomento a dimostrazione dell’antieconomicità macroscopica dell’operazione commerciale in esame, trattandosi di un canone d’affitto molte volte inferiore a quello di mercato, quale indizio di non inerenza del costo, e ciò è conforme alla giurisprudenza di Sezione (Cass. Sez. 5 -, Sentenza n. 18904 del 17/07/2018) salva la facoltà per il contribuente di dimostrare la regolarità dell’operazione; così non pare fare la società nel caso di specie, perché, ad es., il ragionamento sulla possibile concessione di auto di lusso da esporre quale contropartita in luogo del pagamento del canone è una mera ipotesi astratta senza che siano forniti elementi per ritenere che ciò sia concretamente avvenuto nella fattispecie concreta, di cui si alleghi la mancata valutazione da parte del giudice di merito;
c) in presenza di quanto precede l’onere della prova della regolarità dell’operazione è rimesso alla contribuente e non all’Agenzia, in particolare circa l’assenza in concreto di un vantaggio fiscale conseguito per effetto dello spostamento di un costo, pari a quello che avrebbe dovuto sostenere la controparte conduttrice a locare uno spazio commerciale analogo presso un terzo locatore, da una società del gruppo all’altra ai fini delle imposte fiscali per cui è causa.
11. Quanto poi specificamente al tributo armonizzato, il Collegio osserva che non pare nemmeno violato il principio di neutralità del tributo armonizzato. E’ vero che ciò che rileva ai fini dell’imposta sul valore aggiunto, ai fini della detraibilità di un costo sono in primo luogo il suo effettivo sostenimento, e in secondo luogo la sua inerenza rispetto all’attività d’impresa. Ma è proprio questo il punto, l’Agenzia contesta l’inerenza facendo valere, quale indizio, l’antieconomicità manifesta dell’operazione.
In tema di IVA, il diritto alla detrazione dell’imposta – in ragione di costi antieconomici sostenuti dal contribuente, ispirato al criterio della neutralità, in base al quale ogni fornitore o prestatore di servizio che abbia corrisposto l’IVA può detrarla dai costi sostenuti ed interrompendosi il meccanismo allorché il bene o il servizio siano resi al consumatore finale – va escluso, ferma la non immediata applicazione dei principi espressi con riguardo all’imposizione diretta, se l’Amministrazione finanziaria dimostri l’antieconomicità manifesta e macroscopica dell’operazione, come tale esulante dal normale margine di errore di valutazione economica, che assume rilievo quale indizio di non verità della fattura, e, dunque, di non verità dell’operazione stessa o di non inerenza della destinazione del bene o servizio all’utilizzo per operazioni assoggettate ad IVA; in tal caso spetterà all’imprenditore dimostrare che la prestazione del bene o servizio è reale ed inerente all’attività svolta (Cass., sez. 5, sentenza n. 22130 del 27/09/2013, Rv. 629125 – 01; conforme Cass. Sez. 5 -, Ordinanza n. 27961 del 14/10/2021, Rv. 662456 – 01).
Anche quanto all’IVA dunque l’applicazione di un canone di affitto molte volte inferiore a quello di mercato comporta che, in presenza di tale antieconomicità manifesta dell’operazione, è onere del contribuente dimostrare la regolarità della stessa, senza che possa rilevare la mera regolarità formale della fatturazione e del pagamento.
In tema di determinazione del reddito d’impresa, lo scostamento dal “valore normale” del prezzo di transazione ex art. 9 del d.p.r. n. 917 del 1986 può infatti assumere rilievo, anche per operazioni infragruppo interne, quale elemento indiziario ai fini della valutazione di antieconomicità delle operazioni sotto il profilo della carenza di inerenza dei costi eccessivi, ovvero del possibile occultamento (parziale) del prezzo nel caso di profitti eccessivamente bassi. (Cass. Sez. 5 -, Sentenza n. 16948 del 25/06/2019, Rv. 654388 – 02).
12. Infine, con riferimento all’applicazione retroattiva del disposto di cui al comma 2 dell’art. 5 del d.lgs. n. 147 del 2015, ciò non esclude che l’accertamento del valore normale possa essere concretamente valorizzato dal giudice di merito, come avvenuto nel caso di specie, per sorreggere la presunzione semplice che il corrispettivo percepito dalla locazione di uno spazio commerciale sia difforme da quello dichiarato, ma si tratta di valutazioni che rientrano nei poteri di accertamento del fatto del giudice del merito, al quale solo compete l’apprezzamento, non censurabile in sede di legittimità, se non sotto il profilo del vizio di motivazione non sollevato nel caso di specie, circa il ricorso alla prova presuntiva, della ricorrenza dei requisiti di precisione, gravità e concordanza richiesti dalla legge, la scelta dei fatti noti che costituiscono la base della presunzione e il giudizio logico con cui si deduce l’esistenza del fatto ignoto (Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 101 del 08/01/2015, Rv. 634118 – 01; conforme a Cass., sez. 3, sentenza n. 8023 del 2/04/2009, Rv. 607382 – 01).
L’Amministrazione finanziaria, nel negare l’inerenza di un costo per mancanza, insufficienza od inadeguatezza degli elementi dedotti dal contribuente ovvero a fronte di circostanze di fatto tali da inficiarne la validità o la rilevanza, può dunque senz’altro contestare l’incongruità e l’antieconomicità della spesa, che assumono rilievo, sul piano probatorio, come indici sintomatici della carenza di inerenza, ma non si identificano in essa (Cass. Sez. 5 -, Sentenza n. 18904 del 17/07/2018), e ciò può avvenire sia ai fini delle imposte dirette che dell’IVA. Lo scostamento dal valore normale è dunque suscettibile di assumere rilievo quale parametro indiziario del fatto che l’operazione economica la quale si colloca al di fuori dei prezzi di mercato costituisce una possibile anomalia, così da poter giustificare, in assenza di elementi contrari, l’accertamento analitico induttivo ex art. 39 comma 1 lett. d) del D.P.R. n. 600/1973. E’ infatti onere del contribuente dimostrare la regolarità delle operazioni in relazione allo svolgimento dell’attività d’impresa ed alle scelte imprenditoriali, anche per un evidente criterio di prossimità e facilità della prova.
13. Va così affermato il seguente principio di diritto: “In tema di accertamento analitico-induttivo ex art. 39 comma 1 lett. d) del D.P.R. n. 600 del 1973, ai fini della determinazione del reddito di impresa per omessa contabilizzazione di ricavi e IVA relativa ad operazione commerciale posta in essere tra società del medesimo gruppo aventi sede in Italia, ai fini del valore da attribuire ad una prestazione di servizi, lo scostamento dal “valore normale” del canone di affitto di cui all’art. 9 TUIR può assumere rilievo quale parametro meramente indiziario dell’antieconomicità manifesta e macroscopica dell’operazione posta in essere, esulante dal normale margine di errore di valutazione anche dell’inerenza della destinazione del bene o servizio, sì da giustificare l’accertamento con conseguente prova contraria a carico del contribuente, senza che per ciò sia violato il criterio della neutralità del tributo armonizzato, né la norma di interpretazione autentica contenuta nell’art. 5, comma 2, del D.Lgs. n. 147 del 2015, la quale è diretta ad escludere l’applicazione dell’art. 110 TUIR al “trasfer pricing” interno, ma non a limitare la portata logico-giuridica dell’art. 9 cit. “.
La CTR ha accertato che la contribuente non ha assolto l’onere che discende da quanto precede, e l’accertamento in fatto non è neppure censurato come vizio motivazionale.
14. Il secondo motivo di ricorso – ai fini dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. – deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 39 comma 1 lett. d) del D.P.R. n. 600 del 1973, 83 e 163 TUIR, 2423 bis nn. 1 e 6 c.c. da parte della sentenza impugnata nella parte in cui considera legittimo il recupero a tassazione di costi indeducibili per Euro 236.593,05 con riferimento alle esistenze iniziali di magazzino in quanto le autovetture utilizzate provvisoriamente dalla società avrebbero dovuto essere gestite contabilmente come beni strumentali e quindi assoggettate ad ammortamento nei vari esercizi.
Con il terzo motivo di ricorso – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. – viene prospettata la violazione degli artt. 39 comma 1 lett. d) del D.P.R. n. 600 del 1973, 5 comma 2 del D.Lgs. n. 147 del 2015, 1350, 1803 e 1810 c.c., per le argomentazioni in punto di prova svolte in dipendenza del precedente motivo, anche circa l’omessa fatturazione di corrispettivi, dovuti dalla società (…) Italia S.p.a. e (…) in favore delle quali erano state messe a disposizione autovetture in uso gratuito.
15. I motivi possono essere esaminati congiuntamente in quanto connessi perché seguono una medesima logica e sono in parte inammissibili e in parte infondati. Va ribadito che in tema di accertamento induttivo dei redditi d’impresa, consentito dal d.p.r. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), sulla base del controllo delle scritture e delle registrazioni contabili, l’atto impositivo, se sufficientemente motivato dall’Amministrazione finanziaria, specificando gli indici di inattendibilità dei dati relativi ad alcune poste di bilancio e dimostrando la loro astratta idoneità a rappresentare una capacità contributiva non dichiarata, è assistito da presunzione di legittimità circa l’operato degli accertatori, nel senso che null’altro l’ufficio è tenuto a provare, se non quanto emerge dal procedimento deduttivo fondato sulle risultanze esposte, mentre grava sul contribuente l’onere di dimostrare la regolarità delle operazioni effettuate, anche in relazione alla contestata antieconomicità delle stesse (cfr., tra le molte, Cass. Sez. 5 -, Ordinanza n. 27552 del 30/10/2018; conforme Cass. Sez. 5 -, Ordinanza n. 8923 del 11/04/2018).
16. Egualmente, in materia di IVA, la giurisprudenza della Sezione afferma che l’Amministrazione finanziaria, in presenza di contabilità formalmente regolare ma intrinsecamente inattendibile per l’antieconomicità del comportamento del contribuente, può desumere in via induttiva, ai sensi del d.p.r. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d) e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, commi 2 e 3, sulla base di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti, il reddito del contribuente utilizzando le incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli desumibili dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, incombendo su quest’ultimo l’onere di fornire la prova contraria e dimostrare la correttezza delle proprie dichiarazioni (cfr., tra le molte, Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 26036 del 30/12/2015, Rv. 638203 – 01; conformi Cass., sez. 5, sentenza n. 18232 del 16/09/2016, Rv. 641056 – 01).
17. Nel caso concreto l’accertamento induttivo ex art. 39 del d.p.r. n. 600 del 1973, e 54 del D.P.R. n. 633 del 1972 è fondato su presunzioni gravi, precise e concordanti. In particolare, quanto al secondo motivo, il recupero di costi indeducibili per Euro 236.593,05 dipende dalla riqualificazione, operata dall’Ufficio, di beni merce in beni strumentali donde, secondo l’Amministrazione finanziaria, la necessità di assoggettare i beni in discorso ad ammortamento in diversi esercizi. La riqualificazione è stata dal giudice d’appello – sia pure succintamente – ritenuta legittima e corretta, e ciò appare logico tenuto conto che i beni in questione sono autovetture acquistate ed immatricolate dalla società contribuente ed utilizzate per dimostrazioni, noleggio e concessioni in uso. La società contribuente non ha addotto, né nel ricorso, né nella memoria illustrativa, alcun concreto elemento che possa dirsi idoneo ad assolvere all’onere probatorio a lei rimesso sulla base dei principi di diritto sopra richiamati. Infatti, non può assolvere a tale adempimento la considerazione allegata dalla ricorrente in termini generici e senza riferimenti individuati circa l’anno di imposta oggetto di ripresa e ai singoli beni, secondo la quale determinate autovetture sarebbero state comunque destinate alla rivendita, come auto usate, dopo un determinato lasso di tempo.
18. Secondo la medesima prospettiva, quanto al terzo motivo, la contribuente contesta in termini inammissibili e meritali l’accertamento del giudice di appello, ma senza sollevare un apposito vizio motivazionale e, comunque, mancando di fornire con il ricorso elementi decisivi r.ife-ai fini dell’assolvimento all’onus probandi, circa la presunzione di onerosità della concessione in uso di alcune autovetture soggetti commerciali quali la società (…) s.p.a. e la (…).
Siffatta ritenuta onerosità è logicamente costruita sull’intervenuta scadenza di un contratto di comodato gratuito concluso in forma scritta con (…) s.p.a. e sulla mancanza di un contratto in forma scritta quanto al rapporto con (…), elementi indiziari gravi precisi e concordanti da cui logicamente è stata desunta dal giudice del merito l’accertata omessa fatturazione di corrispettivi, nel pieno rispetto della giurisprudenza della Corte di cui si è dato conto.
19. Al rigetto del ricorso non segue il regolamento delle spese di lite, considerata l’assenza di effettive difese svolte dall’Agenzia, mera resistente.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Si dà atto che, ai sensi del d.p.r. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, sussistono i presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.