Corte di Cassazione sentenza n. 10487 depositata il 3 maggio 2018
MANDATO – ESTINZIONE – MANDATARIO “AD NEGOTIA” COSTITUITO IN GIUDIZIO PER IL MANDANTE, A MEZZO DI PROCURATORE LEGALE – MORTE DEL MANDANTE – CONSEGUENZE PROCESSUALI – ATTI COMPIUTI DAL MANDATARIO ANTERIORMENTE ALLA CONOSCENZA DELLA MORTE DEL MANDANTE – VALIDITA’ NEI CONFRONTI DEL MANDANTE O DEI SUOI EREDI
RITENUTO IN FATTO
Con atto di citazione notificato il 4 gennaio 1997, G.G., quale procuratore degli eredi di D.P.A., conveniva in giudizio Pi.Ot., An., Ge. e Ma., instando per il rilascio del terreno in (omissis), censito al catasto al foglio (omissis), p.lla (omissis), in quanto abusivamente occupato, e per il conseguente risarcimento del danno.
I convenuti Picano, nel costituirsi in giudizio, proponevano domanda riconvenzionale per l’accertamento dell’avvenuto acquisto della proprietà del terreno per usucapione ordinaria.
All’esito della prova per testi, con sentenza n. 156/07, il Tribunale di Latina accertava che C.A., Pi.Ci., Pi.Pi., Pi.Vi. e Pi.Im. – quali eredi di Pi.An., nelle more deceduto -, Pi.Ot., Pi.Ma. e Pi.Ge. avevano acquistato la proprietà del suddetto fondo ai sensi dell’art. 1158 c.c., rigettando, per l’effetto, la domanda degli attori e condannandoli al rimborso delle spese processuali.
Il tribunale rilevava che, alla stregua delle deposizioni dei testi A.S., A.A., S.A. e Pu.Sa., i convenuti avevano posseduto ininterrottamente il fondo da oltre trenta anni, provvedendo, in particolare, a recintare l’area, a piantarvi alberi di ulivo, a coltivarla ed a realizzare manufatti per il ricovero di attrezzi ed animali.
Avverso la predetta sentenza proponeva appello G.G., sempre quale procuratore degli eredi di D.P.A., concludendo per l’accoglimento delle domande di rilascio e di risarcimento dei danni spiegate in primo grado.
Deduceva, al riguardo, che: 1) D.P.A., con scrittura in data 1.12.1951 (già prodotta in primo grado), aveva concesso il fondo in colonia parziaria ai coniugi Pi.Vi. e F.M.C., genitori delle parti appellate; Pi.Vi. era deceduto in data (omissis), sicché fino a tale data la detenzione era avvenuta in forza della predetta scrittura, in mancanza di prova di una interversio possessionis; 2) il tribunale non aveva valutato secondo diritto i documenti prodotti, avuto riguardo, in particolare, al progetto divisionale reso esecutivo dal Tribunale di Latina in data 11.4.1989, alle ricevute di pagamento di imposte e tasse fondiarie, alle missive inviate dal geom. D.P.F. (quale procuratore degli eredi di D.P.E. e S.) in data 22.7.1974 e 20.10.1989, rispettivamente, a Pi.Vi. ed ai suoi eredi; 3) non era stata valutata l’attendibilità dei testi indicati dai Pi. rispetto a quelli suoi, avuto riguardo, in particolare, al geom. L., che aveva descritto il fondo come incolto nella relazione depositata nel giudizio divisionale.
Si costituivano gli appellati, eccependo, in via pregiudiziale, la nullità della procura per mezzo della quale agiva il G. e la novità della domanda di rilascio in forza del rapporto contrattuale di diritto agrario; contestavano, altresì, nel merito la fondatezza dell’appello.
La Corte di Appello di Roma, con sentenza del 13.6.2012, rigettava l’appello sulla base, per quanto ancora qui rileva, delle seguenti considerazioni:
1) la preesistenza di un rapporto di colonia parziaria con i genitori dei Pi. non era stata dedotta nel corso del giudizio di primo grado né nella citazione introduttiva né in fase di trattazione e, quindi, si configurava come circostanza che non era stata oggetto di specifica argomentazione difensiva nel rispetto delle preclusioni assertive;
2) il G. aveva, infatti, agito assumendo una mera occupazione senza titolo e non una eventuale cessazione de iure di un rapporto associativo agrario, dedotto tardivamente per la prima volta solo con la comparsa conclusionale;
3) la documentazione prodotta non era incompatibile con l’accertato potere di fatto esercitato sul fondo dai Pi. secondo modalità analoghe a quelle proprie dell’esplicazione del diritto di proprietà (recinzione, manutenzione, edificazione, coltivazione ecc.);
4) in particolare, il progetto divisionale aveva riguardato un procedimento giudiziale al quale i Pi. erano rimasti estranei, i tributi inerivano all’adempimento di obblighi di diritto pubblico nei confronti dello Stato e le due missive del 1974 e del 1989 attenevano a quel rapporto di colonia parziaria che non era stato oggetto di rituale allegazione, senza tralasciare che le richieste stragiudiziali non sono idonee ad interrompere il decorso del tempo utile all’usucapione;
5) il tribunale aveva, in realtà, formulato specifiche argomentazioni per giustificare la maggiore attendibilità dei testi indicati dai p. rispetto a quelli di controparte, in ragione della concreta condizione di indifferenza, dell’età e della vita trascorsa sui luoghi, sicché sarebbe stato onere dell’appellante articolare al riguardo censure specifiche;
6) la circostanza, poi, che un perito (geom. L.) – non escusso come teste – in una relazione depositata in altro procedimento avesse qualificato il fondo, in una data epoca, come incolto non era, di per sé, idonea ad infirmare l’accertamento operato dal tribunale, sulla base della complessiva valutazione delle risultanze istruttorie, in ordine alle modalità del possesso uti domini esercitato con riguardo ad un arco di tempo superiore al trentennio e mediante attività che avevano implicato modifiche e trasformazioni del fondo non consistenti nella mera coltivazione.
Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso G.G., quale procuratore di D.P.L., De.Pa.Ge., De.Pa.Mi., De.Pa.Er., D.P.M., De.Pa.Jo., De.Pa.Te., De.Pa.Vi., Y.J., P.G. e Pa.Ke., Pa.El., sulla base di due motivi. Pi.Ot., Pi.Ge., Pi.Ci., Pi.Vi., Pi.Im., Pi.Pi. e C.A. hanno resistito con controricorso.
In prossimità dell’udienza il ricorrente ha depositato memoria illustrativa ex art. 378 c.p.c..
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Preliminarmente, vanno analizzate le questioni preliminari sollevate dai controricorrenti.
In primo luogo, questi ultimi hanno eccepito la nullità assoluta o l’inefficacia del ricorso per cassazione per essere stato notificato a Pi.Ma. in proprio (sia pure presso il procuratore domiciliatario), anziché ai di lei eredi, nonostante il decesso della medesima e la conoscenza legale dell’evento da parte dell’odierno ricorrente.
Qualora la parte abbia avuto conoscenza processuale del decesso dell’altra parte (nel caso di specie, il decesso di Pi.Ma. è avvenuto nel corso del giudizio d’appello), ma non dichiarato o notificato dal procuratore costituito, il ricorso per cassazione deve, a pena di inammissibilità, essere indirizzato nei confronti degli eredi medesimi e non del deceduto (Sez. L, Sentenza n. 16365 del 20/08/2004; conf. Sez. 6-5, Ordinanza n. 19627 del 04/08/2017).
La nullità dell’atto introduttivo del giudizio per cassazione proposto e notificato, invece che nei confronti dell’erede, alla parte deceduta (mediante il rilascio di copia nel domicilio eletto dal procuratore) e del cui decesso il ricorrente abbia già avuto conoscenza legale, resta sanata solo dalla costituzione in giudizio dell’erede, avvenuta prima del passaggio in giudicato dell’impugnata sentenza (Sez. 1, Sentenza n. 7981 del 30/03/2007; Sez. L, Sentenza n. 6045 del 16/04/2003; Sez. L, Sentenza n. 5420 del 02/06/1998).
Tuttavia, fermo restando che, pur quando la notifica è affetta da nullità assoluta non sanabile, in presenza, come nel caso di specie, di cause inscindibili o interdipendenti, troverebbe applicazione la norma sull’integrazione del contraddittorio nei confronti della parte irregolarmente citata (Sez. 3, Sentenza n. 1123 del 17/05/1962), anche a voler in astratto ritenere necessario, ai sensi del combinato disposto degli artt. 331 e 371 bis c.p.c., ordinarsi l’integrazione del contraddittorio nei confronti degli eredi di Pi.Ma. individualmente, la stessa potrebbe, comunque, essere omessa, in applicazione del principio della “ragione più liquida”, risultando, come si vedrà, il ricorso in parte inammissibile e in parte infondato. In siffatta evenienza, invero, l’incombente si tradurrebbe in una attività processuale del tutto ininfluente sull’esito del giudizio e lesiva del principio della ragionevole durata del processo (Sez. U., Ordinanza n. 23542 del 18/11/2015).
1.2. I controricorrenti hanno altresì eccepito l’estinzione della procura generale (sostanziale) rilasciata a G.G. a seguito della presunta morte di alcuni dei mandanti.
Tuttavia, il decesso di 5 dei 12 ricorrenti è solo presunto dai controricorrenti sulla base dell’età longeva degli stessi (tra i 95 ed i 110 anni), ma non è documentato attraverso i certificati di morte. D’altra parte, nel caso di specie, non può trovare applicazione il principio enunciato da Sez. U., Sentenza n. 15295 del 04/07/2014, che si riferisce alla differente ipotesi della morte o della perdita di capacità della parte costituita a mezzo di procuratore, dallo stesso non dichiarate in udienza o notificate alle altre parti (laddove, nella fattispecie, il decesso avrebbe riguardato alcuni dei mandanti ad negotia di G.G.).
In caso di estinzione del potere rappresentativo per morte del soggetto rappresentato, ai sensi dell’art. 1722 c.c., n. 4, gli atti compiuti dal rappresentante nell’esplicazione dell’attività gestoria, anche se posti in essere successivamente, sono operativi di effetti nei confronti sia del rappresentante sia dei terzi, sempre che, al momento del compimento dell’attività gestoria, i terzi abbiano senza colpa ignorato la causa di estinzione del mandato (Sez. 3, Sentenza n. 1760 del 08/02/2012).
Questa Corte si pone, cioè, dal punto di vista del terzo, per tutelarne l’affidamento incolpevole.
In tal senso altresì Sez. 2, Sentenza n. 13592 del 17/12/1991 e Sez. 3, Sentenza n. 721 del 18/01/2001 (conf. Sez. 3, Sentenza n. 4429 del 17/05/1997 e Sez. 3, Sentenza n. 3662 del 14/04/1999), secondo cui “La morte del mandante che sta in giudizio per mezzo del mandatario ad negotia costituito tramite procuratore legale, in tanto ha rilevanza processuale ed importa l’interruzione del processo, in quanto sia stata dichiarata o notificata dal procuratore legale, restando irrilevante che la morte della parte sia nota al giudice ed alla controparte, sopravvivendo la rappresentanza processuale, per il suo particolare carattere di rapporto esterno rispetto al giudice ed alla controparte, al decesso del mandante; mentre, nei rapporti interni fra mandante e mandatario, gli atti (in essi compresa la nomina di un procuratore ad processum) che siano stati compiuti dal mandatario prima di conoscere l’estinzione del mandato (per morte del mandante) restano validi, sia nei confronti del mandante che dei suoi eredi (salva da parte di questi ultimi la ratifica dell’operato del mandatario)”.
1.3. Con le memorie autorizzate del 25.10.2017, il ricorrente ha sostenuto che, con riferimento al medesimo petitum e alla stessa causa petendi, la sentenza n. 11526/16 del 3.6.2016 di questa Corte avrebbe determinato la formazione del giudicato esterno, condannando la controparte al rilascio della p.lla (omissis), frutto del frazionamento della originaria p.lla (omissis) oggetto del presente giudizio.
L’eccezione non è fondata, essendovi, tra i due giudizi, diversità parziale di parti e di causa petendi.
Invero, in quello conclusosi con la detta sentenza (nel quale, valorizzandosi un contratto di colonia parziaria dell’1.12.1951, è stata rigettata la domanda riconvenzionale di usucapione proposta dai convenuti) gli attori hanno agito per il tramite di diverso procuratore generale (D.B.G., in luogo di G.G.) e, soprattutto, non coincidono con i soggetti che hanno instaurato il presente giudizio, se si fa eccezione per D.P.J.D..
Inoltre, anche a voler prescindere dalla mancanza di prova in ordine all’avvenuto frazionamento catastale dell’originaria p.lla (omissis), è evidente che la controversia sottoposta all’esame di questa Corte ha ad oggetto l’intero fondo contraddistinto dalla p.lla (omissis) e non già solo una sua porzione.
Come è noto, l’autorità del giudicato sostanziale opera soltanto entro i rigorosi limiti degli elementi costitutivi dell’azione e presuppone che tra la precedente causa e quella in atto vi sia identità di parti, di petitum e di causa petendi (Sez. 1, Sentenza n. 6830 del 24/03/2014; Sez. 1, Sentenza n. 19017 del 08/08/2013).
2. Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1158 e 2967 c.c. e art. 345 c.p.c., nonché la inesistente motivazione su punti decisivi (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5), per non aver la corte territoriale considerato che, ai fini dell’usucapione, il possesso si deve esteriorizzare in un comportamento univocamente corrispondente all’esercizio della proprietà o di altro diritto reale; per non aver ritenuto che la sussistenza di un preesistente rapporto di colonia parziaria avente ad oggetto il fondo era stata dedotta, in via di eccezione, al solo fine di paralizzare la domanda di usucapione proposta dai convenuti, che, comunque, era stato fatto valere il diritto di proprietà e, dunque, un diritto autodeterminato e che, in ogni caso, il documento, anche in appello, si sarebbe rivelato indispensabile.
2.1. Il motivo è infondato.
La prima censura si limita a sollecitare apoditticamente una rivalutazione delle risultanze istruttorie (cfr., sul punto, penultimo cpv. pag. 3 della sentenza impugnata).
Per quanto concerne la seconda doglianza, si ha domanda nuova inammissibile in appello – per modificazione della causa petendi quando i nuovi elementi, dedotti innanzi al giudice di secondo grado, comportino il mutamento dei fatti costitutivi del diritto azionato, modificando l’oggetto sostanziale dell’azione ed i termini della controversia (Sez. 3, Sentenza n. 4593 del 11/04/2000 e Sez. 1, Sentenza n. 5120 del 06/04/2001).
Viceversa, la scrittura privata di concessione del fondo in colonia parziaria dell’1.12.1951 sarebbe stata prodotta al solo fine di paralizzare l’avversa domanda riconvenzionale di acquisto della proprietà sul terreno per usucapione (cfr. pagg. 10-11 del ricorso) e non già per estendere o modificare l’originaria domanda di condanna al rilascio del bene abusivamente occupato.
Tuttavia, il potere-dovere del giudice di esaminare i documenti ritualmente versati in atti sussiste solo se la parte che li ha prodotti o che, comunque, ne intende trarre vantaggio (ritualmente invocandoli a corredo delle sue tesi), abbia formulato una domanda o un’eccezione espressamente fondata sui documenti medesimi (Sez. 3, Sentenza n. 22342 del 24/10/2007).
A tal fine occorre che la parte interessata ne faccia specifica istanza, esponendo nei propri scritti difensivi gli scopi della relativa esibizione con riguardo alle sue pretese (domanda o eccezione), derivandone altrimenti per la controparte l’impossibilità di controdedurre e per lo stesso giudice impedita la valutazione delle risultanze probatorie e dei documenti ai fini della decisione (Cass. civ., sez. un., 1 febbraio 2008, n. 2435).
In quest’ottica, va condivisa la considerazione espressa dalla corte d’appello (cfr. pag. 3 della sentenza impugnata), secondo cui la preesistenza di un rapporto di colonia parziaria con i genitori dei Pi. non era stata dedotta nel corso del giudizio di primo grado né nella citazione introduttiva né in fase di trattazione (ma solo, inammissibilmente, nella comparsa conclusionale) e, quindi, si configurava come circostanza che non era stata oggetto di specifica argomentazione difensiva nel rispetto delle preclusioni assertive.
Né potrebbe trovare applicazione il principio, di recente enunciato dalle sezioni unite di questa Corte, secondo cui, nel giudizio di appello, costituisce prova nuova indispensabile, ai sensi dell’art. 345 c.p.c., comma 3, nel testo previgente rispetto alla novella di cui al D.L. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, quella di per sè idonea ad eliminare ogni possibile incertezza circa la ricostruzione fattuale accolta dalla pronuncia gravata, smentendola o confermandola senza lasciare margini di dubbio oppure provando quel che era rimasto indimostrato o non sufficientemente provato, a prescindere dal rilievo che la parte interessata sia incorsa, per propria negligenza o per altra causa, nelle preclusioni istruttorie del primo grado (Sez. U, Sentenza n. 10790 del 04/05/2017), perché, ripetesi, l’originario attore era incorso nella preclusione sul piano assertivo, non avendo mai dedotto nel corso di tutto il primo grado di giudizio.
Da ultimo, la natura autodeterminata del diritto fatto valere dal G. avrebbe rilevanza, al fine di consentire l’allegazione nel giudizio di appello di un fatto costitutivo diverso, solo nell’ambito del diritto reale di proprietà originariamente esercitato, e non già per paralizzare la opposta domanda riconvenzionale di usucapione.
3. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1141 e 1158 c.c., nonché la inesistente motivazione su punti decisivi (con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5), per non aver la corte di merito considerato che la interversione del possesso, resa necessaria, a suo dire, del preesistente stato di detenzione, non può aver luogo mediante un semplice atto di volizione interna.
3.1. Il motivo è infondato.
In primo luogo, non si è al cospetto di una motivazione “inesistente”, atteso che la corte territoriale ha preso espressamente posizione sulla doglianza secondo cui, in presenza di una concessione del fondo a titolo di colonia parziaria, i detentori avrebbero dovuto fornire la prova della intervenuta interversio possessionis. Ciò lo si evince nitidamente a pagina 3 della sentenza qui impugnata, relativamente al motivo 1) del gravame.
In secondo luogo, la censura non coglie la ratio decidendi sottesa alla pronuncia impugnata, che si sostanzia nel rilievo concernente la omessa tempestiva deduzione in ordine alla preesistenza di un rapporto di colonia parziaria (anche al fine di consentire agli originari convenuti di articolare eventuali mezzi istruttori sul punto).
Peraltro, il rigetto del primo motivo comporta l’irrilevanza di quello in esame.
4. In definitiva, il ricorso non è meritevole di accoglimento.
Le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Ricorrono altresì i presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), per il raddoppio del versamento del contributo unificato.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente, nella qualità, al rimborso, in favore dei contro ricorrenti, delle spese del presente grado di giudizio, che liquida in complessivi Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso del 15% per spese forfettarie ed accessori di legge.
Dichiara la parte ricorrente tenuta al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater.
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