Corte di Cassazione sentenza n. 10602 depositata il 4 maggio 2018

ASSICURAZIONE – NOZIONE, CARATTERI, DISTINZIONI – DISPOSIZIONI GENERALI – ASSICURAZIONE CONTRO LE MALATTIE – NATURA – INDENNITARIA – CONSEGUENZE – FATTISPECIE IN TEMA DI PLURALITA’ DI POLIZZE ASSICURATIVE CONTRO LA MALATTIA PROFESSIONALE STIPULATE CON LA MEDESIMA COMPAGNIA

FATTI DI CAUSA

Nell’anno 2011 A.G. e la G. P. s.r.l. citavano dinanzi al Tribunale di Milano la Z. Insurance Public Limited Company – Compagnia di Assicurazioni per sentirla condannare al pagamento dell’importo di Euro 300.000,00, costituente la somma assicurata, per il rischio invalidità permanente da malattia, con una polizza (n. (omissis)) sottoscritta nell’anno 2005 dalla G. P. s.r.l. con la BPU assicurazioni (che successivamente mutava la propria denominazione in UBI Assicurazioni e che, nel 2008, cedeva la detta polizza alla Z.), avente come beneficiario appunto il signor A.G..

Con sentenza n. 2176/2013, pubblicata il 14/2/2013, il Tribunale di Milano, accertata l’operatività della polizza, condannava la società convenuta alla corresponsione in favore di A.S., B.C., in proprio e nella qualità di esercente la potestà sulla figlia minore A.B. (che avevano riassunto il giudizio quali eredi di A.G., deceduto in corso di causa), della somma di Euro 93.417,24, oltre interessi dalla richiesta al saldo, pari alla differenza tra la somma assicurata con la polizza in questione e la somma già riscossa in virtù di altra polizza (n. (omissis)) sottoscritta nell’anno 1993, a copertura sempre del rischio di invalidità permanente da malattia, dall’ A. con la compagnia Mare Assicurazioni s.p.a. (che successivamente modificava la propria ragione sociale prima in BPU Assicurazioni e poi in UBI Assicurazioni s.p.a. e che, nel 2008, cedeva anche tale polizza alla Z.).

Avverso tale sentenza proponevano appello A.S. e B.C., quest’ultima in proprio e nella qualità di esercente la potestà sulla figlia minore, lamentando l’erroneità della decisione di primo grado sia nella parte in cui aveva escluso rilevanza all’art. 34 del contratto assicurativo (il quale, vietando espressamente il cumulo tra polizze infortuni e polizze malattie, doveva essere inteso, secondo gli appellanti, nel senso che la compagnia aveva deciso di assumere il rischio di entrambe le polizze, in quanto relative al solo rischio malattia), sia nella parte in cui aveva ritenuto applicabile alla fattispecie l’art. 1910 c.c., che regola il diverso caso in cui il medesimo rischio sia assicurato presso più assicuratori e non l’ipotesi, come quella di specie, di due polizze, relative al medesimo rischio, stipulate con la stessa compagnia assicurativa. Deduceva altresì che la sentenza impugnata aveva errato nel ritenere l’ammontare del danno pari ad Euro 300.000,00, in quanto l’assicurazione contro gli infortuni, alla quale è assimilabile quella per invalidità permanente da malattia, non sarebbe equiparabile alla assicurazione contro i danni.

Con sentenza n. 702/2016, depositata il 24/2/2016, la Corte di appello respingeva il gravame, condannando le appellanti al pagamento delle spese processuali ed al raddoppio del contributo unificato.

Avverso tale decisione propone ricorso B.C., in proprio e nella qualità di esercente la potestà sulla figlia minore A.B., sulla base di quattro motivi.

Resiste con controricorso la compagnia di assicurazioni Z. Insurance Public Limited Company, la quale ha anche depositato memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la parte ricorrente deduce la “violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5 per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”.

Sostiene in proposito che né la Corte di appello né il giudice di primo grado avrebbero “spiegato perché non ritenevano condivisibili le argomentazioni svolte” dalla parte appellante circa la valutazione del “bene assicurato”, (ossia di un bene il cui valore, avendo ad oggetto vicende relative alla persona, secondo la tesi difensiva non sarebbe stato oggettivamente determinabile) e, conseguentemente, non avrebbero neppure spiegato “perché il danno patito dal signor A. in seguito alla malattia che poi ne ha determinato la morte, debba essere valutato in soli Euro 300.000,00” (pag. 20 del ricorso).

1.1 La censura è inammissibile, atteso che non concerne l’omesso esame di un fatto storico, da intendersi principale o secondario, bensì la omessa valutazione di deduzioni difensive, la quale, tuttavia, non è inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., n. 5, come riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012 (Cass., sez. 2, 14/06/2017, n. 14802, Rv. 644485 – 01).

1.2 Peraltro, la medesima censura di omesso esame di un fatto decisivo, prospettata con riferimento alla mancata considerazione di quanto dedotto dagli odierni ricorrenti circa l’assenza di criteri oggettivi per la valutazione di un indennizzo qual è quello di cui si discorre, è altresì infondata, posto che la sentenza d’appello, sia pure stringatamente, tiene conto di tali deduzioni laddove precisa che “l’art. 1910 c.c. è applicabile all’assicurazione infortuni o a quella facoltativa contro le malattie, assimilabile a quella contro gli infortuni, in quanto in essa è anche possibile fissare un valore massimo assicurabile e quindi i commi terzo e quarto sono compatibili con la liquidazione preventiva del danno tipica di tale forma di assicurazione”.

2. Con il secondo motivo la parte ricorrente lamenta la “violazione dell’art. 360, n. 3, per violazione e falsa applicazione dell’art. 1905 c.c.”, perché la asserita assenza di una effettiva quantificazione del danno farebbe venir meno il presupposto per l’applicabilità delle norme di diritto richiamate in sentenza. Sostiene, inoltre, che la Corte d’appello avrebbe ravvisato un caso di sovrassicurazione ritenendo che il secondo contratto moltiplicasse il risarcimento del “bene assicurato” (i.e.: il valore economico derivante dall’efficienza fisica dell’assicurato A. in relazione alla sua capacità lavorativa), senza però tener conto che la prima polizza poteva anche prevedere un indennizzo minore rispetto al valore del “bene assicurato” e che solo successivamente contraente e compagnia assicurativa avevano ritenuto, nell’ambito della libertà contrattuale, di adeguarlo.

3. Con il terzo motivo la parte ricorrente lamenta la “violazione dell’art. 360, n. 3, per violazione e falsa applicazione dell’art. 1909 c.c.” perché, in assenza di una “pronuncia” che escludesse la possibilità di valutare in Euro 500.000,00 il danno conseguente all’invalidità permanente dell’ A., la norma in questione non avrebbe potuto essere applicata nella fattispecie, nella quale, peraltro, neppure sarebbe configurabile il dolo da parte dell’assicurato. Inoltre, l’art. 1909 c.c. non conterebbe alcun divieto di adeguare una polizza ad incrementi di valore del bene assicurato.

4. Con il quarto motivo la parte ricorrente lamenta la “violazione dell’art. 360, n. 3, per violazione e falsa applicazione dell’art. 1910 c.c.”, in quanto, anche in questo caso, avrebbe dovuto essere prima risolto il problema della corrispondenza dell’indennizzo richiesto all’effettivo danno patito e, comunque, nella fattispecie non sussisterebbe alcuno dei presupposti previsti dalla norma citata, vale a dire né la pluralità di assicuratori, né la volontà speculativa, né il dolo dell’assicurato. Inoltre, secondo la tesi prospetta dalla parte ricorrente, l’art. 1910 c.c. sarebbe inapplicabile nel caso in esame alla luce dell’arresto delle Sezioni Unite che ha escluso l’applicabilità di tale norma in caso di assicurazione infortuni con esiti mortali (Cass. S.U., 10/4/2002, n. 5119, Rv. 553633 -01), ipotesi ritenuta in ricorso “del tutto analoga alla situazione del signor A.”. Sostiene altresì la parte ricorrente che l’assicurazione contro il rischio della invalidità permanente da malattia, a differenza dell’assicurazione contro gli infortuni, non potrebbe essere considerata alla stregua dell’assicurazione contro i danni (con conseguente applicabilità dell’art. 1910 c.c.), atteso che nella prima non potrebbe operare il diritto di surrogazione dell’assicuratore previsto dall’art. 1916 c.c., comma 4, in quanto nel caso della malattia non potrebbe esserci alcun “terzo responsabile” contro il quale agire.

5. Il secondo, terzo e quarto motivo – che possono essere trattati congiuntamente in ragione della loro connessione, tendendo tutti ad escludere, sia pure sotto diversi profili, l’applicabilità delle norme dettate in materia di assicurazione contro i danni alla polizza concernente il rischio di invalidità da malattia – sono infondati.

5.1 La sentenza impugnata, dopo aver corretto la motivazione della sentenza di primo grado precisando che nella specie non si configurava l’ipotesi di una pluralità di assicurazioni presso diversi assicuratori (in quanto la Z. era subentrata in due contratti stipulati in tempi diversi ma sempre dalla stessa compagnia di assicurazioni), afferma che “tali puntualizzazioni non spostano di per sé il ragionamento effettuato dal giudice di primo grado in quanto il principio c.d. indennitario, di ordine pubblico, è previsto dall’art. 1910 c.c. per il caso di pluralità di assicurazioni presso diversi assicuratori ma, nell’ipotesi di assicurazioni parziali presso lo stesso assicuratore, è previsto anche dall’art. 1909 c.c. con la conseguente invalidità delle assicurazioni successive che determinano dolosamente una sopra assicurazione…..”.

Tale sentenza, dunque, non ritiene specificamente applicabile nel caso in esame l’una o l’altra norma, ma si limita ad osservare che sia l’art. 1910 c.c. che l’art. 1909 c.c. sono governati dal c.d. principio indennitario, giungendo quindi a concluder che “pertanto il principio affermato dal giudice di primo grado ha natura di ordine pubblico, già previsto in una prima formulazione dall’art. 1905 c.c., e caratterizza tutte le assicurazioni contro i danni al fine di evitare che il sinistro apporti un vantaggio economica all’assicurato costituendo un incentivo al prodursi di fatti dannosi alla pubblica economia; la limitazione del risarcimento all’ammontare del danno effettivamente sofferto dall’assicurato costituisce pertanto un principio di ordine pubbliche inderogabile dalla volontà delle parti”.

5.2 Le considerazioni espresse dalla Corte territoriale sono condivise dal Collegio e conformi ai principi indicati dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 5119 del 2002 citata dalla ricorrente, a mente dei quali, per quanto qui interessa:

– l’assicurazione contro gli infortuni consiste nel contratto con il quale l’assicuratore, previa corresponsione di un premio, si obbliga al pagamento di una certa somma all’assicurato nel caso di lesione dovuta ad una causa fortuita, violenta ed esterna che ne determini l’inabilità temporanea o l’invalidità permanente;

– questo tipo di assicurazione non è autonomamente disciplinato nel capo XX del libro I, IV del codice civile dedicato alle assicurazioni, il quale dopo aver dettato la disciplina generale sull’assicurazione (sezione 1, artt. 1882-1903 c.c.), riserva una specifica disciplina solo alle assicurazioni contro i danni (sezione 2, artt. 1904-1918) e alla assicurazione sulla vita (sezione 3, artt. 1919-1927);

– conseguentemente, al fine di valutare se, in relazione ad una assicurazione sugli infortuni, priva di organica disciplina, sia o meno applicabile una determinata norma dettata per l’assicurazione sulla vita ovvero per l’assicurazione contro i danni, occorre muovere dalla compatibilità e coerenza con tale assicurazione della menzionata disciplina;

– con riferimento in particolare all’art. 1910 c.c. (sul quale si incentra la citata sentenza del 2002), le Sezioni Unite hanno in primo luogo evidenziato che tale norma è espressione del principio indennitario posto dall’art. 1905 c.c., che caratterizza l’assicurazione contro i danni ed è volto ad evitare che il contratto di assicurazione si trasformi in fonte di lucro, con indebito arricchimento dell’assicurato e conseguenze pregiudizievoli per le imprese di assicurazione nonché, di riflesso, per l’economia nazionale; da tale osservazione le Sezioni Unite hanno tratto la conseguenza che, ai fini dell’applicabilità della citata norma all’assicurazione contro gli infortuni, è necessario accertare se tale tipo di assicurazione abbia o meno natura indennitaria;

– la risposta positiva a tale quesito è stata raggiunta dalla Suprema Corte in base alla duplice considerazione che la disciplina dell’art. 1916 c.c., concernente il diritto di surrogazione dell’assicuratore, il quale è anch’esso espressione del principio indennitario, è esplicitamente estesa all’assicurazione contro gli infortuni (art. 1916 c.c., comma 4), e che l’infortunio (non mortale) è sicuramente un evento produttivo di danno per l’assicurato ed è quindi partecipe della funzione indennitaria propria dell’assicurazione contro i danni;

– partendo infatti dalla nozione di assicurazione dettata dall’art. 1882, c.c. (“l’assicurazione è il contratto col quale l’assicuratore, verso il pagamento di un premio, si obbliga a rivalere l’assicurato, entro i limiti convenuti, del danno ad esso prodotto da un sinistro, ovvero a pagare un capitale o una rendita al verificarsi di un evento attinente alla vita umana”), le Sezioni Unite hanno osservato che tale norma si ricollega alla tradizionale bipartizione delle assicurazioni, riferendosi, nella prima parte, all’assicurazione contro i danni e, nella seconda parte, all’assicurazione sulla vita, e consente di affermare che la prima, in quanto considera il danno prodotto all’assicurato (“ad esso prodotto”) senza ulteriori specificazioni, “non è solo assicurazione di cose o patrimoni, ma è suscettiva di ricomprendere anche i danni subiti dalla persona dell’assicurato per effetto di infortunio, così caratteri ondosi (anche) come assicurazione di persone”;

– solo nel caso di infortunio mortale, aggiunge la Suprema Corte nella sentenza citata, risulta assai dubbia la vigenza del principio indennitario, analogamente a quanto si sostiene, sia pur non senza contrasti, per l’assicurazione sulla vita, in primo luogo perché non è configurabile un danno patrimoniale da morte nei riguardi dell’assicurato, di qui la diversificazione della disciplina dell’assicurazione contro gli infortuni (quantomeno con riferimento a singole norme, individuate, nella sentenza in discorso, negli artt. 1916 e 1910 c.c.) secondo il tipo di evento, invalidante o mortale, coperto dalla polizza.

5.3 Ritiene il Collegio che tali principi siano certamente applicabili non solo all’assicurazione contro gli infortuni, ma anche all’assicurazione contro le malattie, in particolare, quando, come nel caso in esame, il rischio assicurato sia costituito dall’invalidità permanente da malattia, ipotesi in tutto assimilabile alla lesione conseguente ad infortunio non mortale, dal quale la prima si differenzia solo perché il danno alla persona è riconducibile ad un evento che trova la sua fonte non già in un fattore causale “esterno”, ma in un processo morboso “interno” alla persona stessa.

Deve conseguentemente affermarsi che l’assicurazione contro la malattia, come già rilevato da questa Corte (Cass., sez. 3, 25/06/2003 n. 10133, Rv. 564574 – 01) e come ritenuto dalla dottrina assolutamente prevalente, rientra nell’ambito dell’assicurazione contro i danni, la quale, come altresì precisato dalle stesse Sezioni Unite “non è solo assicurazione di cose o patrimoni, ma è suscettiva di ricomprendere anche i danni subiti dalla persona dell’assicurato per effetto di infortunio, così caratteriz5zandosi (anche) come assicurazione di persone”.

L’invalidità da malattia, dunque, in quanto evento dannoso da indennizzare, va ricondotto al ramo “danni” e ricade nell’ambito di applicazione del principio indennitario.

E’ appena il caso di precisare che, contrariamente a quanto sostenuto dalla parte ricorrente, non rileva nel caso in esame la circostanza che l’assicurato, gravemente invalido sin dall’anno 2009, sia poi deceduto nel 2012 proprio a causa della stessa malattia dalla quale era derivata quell’invalidità: la polizza di cui è causa, infatti, copriva esclusivamente il rischio da “invalidità” conseguente a malattia, e non anche il rischio “morte”, sicché non risulta pertinente il riferimento delle ricorrenti alla analogia tra la situazione del signor A. ed il caso dell’infortunio con esiti mortali (al quale sarebbe inapplicabile il principio indennitario), essendo quest’ultimo un rischio non contemplato dalla polizza in questione.

5.4 All’applicazione del principio indennitario nel caso di assicurazione dell’invalidità da malattia non osta la natura del “bene assicurato” e la conseguente difficoltà di accertarne l’effettivo valore, atteso che, come precisato dalle Sezioni Unite nella sentenza del 2002, nel caso di invalidità da malattia (o infortunio), la misura dell’indennizzo è predeterminata dalla polizza, ciò costituendo una modalità di quantificazione delle conseguenze dannose che è prevista anche in materia di assicurazione contro i danni (in relazione alla quale il principio indennitario è espressamente sancito), mediante la c.d. polizza stimata (art. 1908 c.c.).

Si tratta di una valutazione e quantificazione monetaria predeterminata a discrezione dell’assicurato in relazione alla sua specifica situazione, a fronte della quale l’assicuratore è libero di non accettare la proposta, che il contraente deve tenere ferma per quindici giorni ex art. 1887 c.c. proprio per dar modo all’assicuratore di valutare il rischio: in tali ipotesi la valutazione del rischio è indubbiamente più difficoltosa di quella concernente l’apprezzamento del valore di una cosa, ma, osservano ancora le Sezioni Unite del 2002, pur sempre possibile anche in relazione al rischio che una malattia (così come un infortunio) può determinare, nel patrimonio o nella persona, al soggetto che stipula una assicurazione contro tale rischio.

5.5 Nel caso in esame, il valore monetario del danno è stato convenzionalmente predeterminato nelle due polizze in favore dell’ A. rispettivamente in Euro 206.582,76 (quella stipulata nel 1993, pari a L. 400.000,00) ed in Euro 300.000,00 (quella stipulata nel 2005).

Ciò posto, in assenza di un collegamento negoziale tra le dette polizze esplicitato nel testo negoziale, ovvero di una qualsivoglia previsione in ordine alla loro cumulabilità o, ancora, di una espressa qualificazione della seconda polizza siccome volta a coprire un rischio “suppletivo” rispetto a quello già coperto dalla prima, correttamente la sentenza impugnata ha ritenuto che si versi in una ipotesi di esistenza di due assicurazioni relative al medesimo rischio, con quantificazione predeterminata del danno e conseguente operatività del principio indennitario, in virtù del quale l’indennizzo non può mai eccedere il danno effettivamente patito; tale danno, nella specie, per quanto sopra precisato, corrisponde necessariamente all’importo più ampio convenzionalmente indicato nella seconda polizza in Euro 300.000,00.

Nè rileva in proposito l’esame dell’art. 34 del contratto assicurativo di cui è causa, atteso che tale clausola, invocata in primo grado dalla difesa delle odierne ricorrenti per sostenere una presunta cumulabilità delle due polizze e ritenuta non dirimente dal Tribunale (con una motivazione non modificata sul punto dalla sentenza impugnata), non è stata oggetto di alcuna censura in questa sede.

5.6 Resta ancora da puntualizzare che l’applicabilità del principio indennitario alla assicurazione contro il rischio malattia non è esclusa dalla circostanza che per tale tipo di assicurazione non possa operare il diritto di surrogazione dell’assicuratore previsto dall’art. 1916 c.c., comma 4, poiché in tale caso, a differenza di quanto avviene nell’assicurazione contro gli infortuni, non potrebbe esserci alcun “terzo responsabile” contro il quale agire.

In proposito, va osservato in primo luogo che anche nel caso di “infortunio” può mancare un terzo responsabile, con conseguente inoperatività della surrogazione, atteso che l’infortunio può derivare non solo dal fatto di un terzo, ma anche da eventi accidentali non provocati da alcuno. Peraltro, anche quando sia astrattamente configurabile il diritto di surrogazione, l’assicuratore potrebbe anche rinunciarvi, senza che ciò implichi una diversa individuazione delle norme e dei principi applicabili in tema di assicurazione contro i danni.

In ogni caso, una volta ricondotta al ramo danni l’assicurazione per il rischio invalidità da malattia, per la quale è assente una disciplina specifica, tale assicurazione resta soggetta alla disciplina prevista per quel ramo assicurativo in quanto compatibile, a nulla rilevando l’inapplicabilità di una singola disposizione.

Con specifico riferimento alla surrogazione dell’assicuratore, va osservato che essa non interferisce in alcun modo con il problema dell’esistenza del danno, e quindi col principio indennitario. Invero, abbia o non abbia l’assicuratore la possibilità di esercitare il diritto alla surroga, resta fermo il richiamato principio, in forza del quale non può essere risarcito il danno inesistente ab origine o non più esistente. Orbene, il danno indennizzato in forza di una polizza è un danno che ha cessato di esistere, dal punto di vista giuridico, dal momento in cui l’assicurato ha percepito l’indennizzo e fino all’ammontare di quest’ultimo, con la conseguenza che il relativo importo dovrà essere scomputato dall’indennizzo, convenzionalmente predeterminato in misura maggiore, dovuto in forza di una altra polizza stipulata per il medesimo rischio.

5.7 In conclusione, risultano infondate tutte le censure prospettate dalla parte ricorrente circa la riconducibilità della polizza in discorso al ramo danni, alla sua soggezione al principio indennitario, alla asserita incertezza in ordine alla quantificazione del valore del bene assicurato, nonché alla dedotta “possibilità” che la seconda polizza costituisse un “aggiornamento” della prima “svincolato” da qualsiasi riferimento al principio indennitario.

Il ricorso deve pertanto essere rigettato, così che restano a carico della parte ricorrente sia le spese di questa fase (liquidate come in dispositivo), sia il raddoppio del contributo unificato, dovendo darsi atto dell’esistenza dei relativi presupposti.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna la parte ricorrente al pagamento in favore della compagnia di assicurazioni contro ricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 7.800,00 per compensi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara che sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.