Corte di Cassazione sentenza n. 10874 depositata il 5 aprile 2022

accertamento parziale – principio di inerenza  – spese di manutenzione – vizio di omessa pronuncia

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 26/04/2012, depositata in data 17 maggio 2012, non notificata, la Commissione tribut21ria regionale dell’Abruzzo, rigettava l’appello proposto dall’Agenzia c:lelle entrate, in persona del Direttore pro tempore, nei confronti di Cosmo s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, avverso la sentenza n. 6/02/10 della Commissione tributaria provinciale di Teramo che aveva accolto parzialmente il ricorso proposto dalla suddetta società, esercente attività di commercio al dettaglio di calzature e accessori, avverso l’avviso di accertamento n. RAA030200678/2008 con il quale l’Ufficio, ai sensi dell’art. 41bis del d.P.R. n. 600/73, previo p.v.c. dei funzionari della DRE dell’Abruzzo, aveva recuperato maggiore imposta (Irpeg) conseguente alla rideterminazione della Dual Income Tax e ripreso a tassazione costi indebitamente dedotti ai fini Ires e Irap e detratti ai fini Iva, per l’anno 2003, sostenuti: 1) per servizi di ristorazione e albergo ritenuti non inerenti; 2) per manutenzioni e riparazioni che, ad avviso dell’Amministrazione, avrebbero dovuto essere oggetto di patrimonializzazione, ai sensi dell’art. 110 ( ex 76) del TUIR, essendo stati sostenuti per la realizzazione di un nuovo insediamento produttivo (costi start up); 3) per onorari professionali relativi ad attività di progettazione e/o consulenze edili che, in quanto funzionalmente correlati ai cespiti di riferimento, avrebbero dovuto essere capitalizzati portandoli in aumento del valore di questi ultimi, quali oneri accessori di diretta imputazione ai sensi dell’art. 110 del TUIR; 4) per l’acquisto di beni di valore inferiore a euro 516,00, che in quanto afferenti a materiali da costruzione per la realizzazione del nuovo insediamento, avrebbero dovuto essere considerati oneri accessori di diretta imputazione ai sensi dell’art. 110 del TUIR; 5) per spese non di competenza.

2. La CTR, in punto di diritto, per quanto di interesse, ha osservato che: 1) in ordine agli accertamenti parziali di cui all’art. 41bis del P.R. 600/73, la prova presuntiva posta a fondamento della rettifica deve essere caratterizzata da gravità, precisione e concordanza, per cui una rettifica operata esclusivamente in funzione delle segnalazioni della guardia di finanza assunte senza alcuna verifica da parte dell’Ufficio era da considerarsi nulla; 2) premesso che i costi relativi ad operazioni soggettivamente inesistenti possono essere dedotti se il contribuente ne dimostri l’effettiva sussistenza, l’ammontare e l’inerenza, nella specie, il contribuente aveva fornito prova,. attraverso l’esibizione delle fatture emesse, della effettività dei costi sostenuti dimostrando il diritto alla relativa deducibilità; 3) la prova della congruità dei costi – inclusa in quella di inerenza – era stata fornita in considerazione delle ripetute fatture per consulenza, attività di progettazione etc.; 4) quanto ai contestati componenti negativi di reddito che, ad avviso dell’Amministrazione, non potevano essere spesati nell’esercizio ma capitalizzati tra le immobilizzazioni materiali, le spese di manutenzione e riparazione erano deducibili nell’esercizio, nei limiti indicati nell’art. 67, comma 7 (ora 102, comma 6) del TUIR; 5) per quanto concerneva la corretta applicazione della Dua/ Jncome Tax, l’Ufficio avrebbe dovuto applicare preventivamente il moltiplicatore, fissato dal Ministero nella misura di 1,40, al capitale investito e poi decurtare dall’importo così ottenuto quello dei valori mobiliari; ai fini c:lella applicazione dei benefici della Dual Income Tax, il contribuente non aveva alcun onere di documentare i dati economici-contabili esposti nella dichiarazione e posti a fondamento dell’invocata agevolazione mentre era potere­ dovere dell’Amministrazione, ove intendesse negarla, verificare i dati esposti dal contribuente attraverso la procedura di liquidazione delle imposte di cui all’art. 36bis del d.P.R. n. 600/73.

3. Avverso la sentenza della  CTR,  l’Agenzia  delle  entrate  propone ricorso per cassazione affidato a nove motivi; rimane intimata la società contribuente.

4. Il ricorso è stato fissato per la trattazione in pubblica udienza ai sensi dell’art. 23, comma 8bis del D.L. 28/10/2020, n. 137 come convertito, con , dalla legge 18/ 12/ 2020 n. 176.

RAGIONI DELLA DECISIONE

 1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 41bis del d.P.R. n. 600/1973 per avere la CTR ritenuto erroneamente insussistenti, nella specie, i presupposti per l’accertamento parziale.

1.1 Il primo motivo è

1.2 Questa Corte ha chiarito che L’accertamento parziale, che è uno strumento diretto a perseguire finalità di sollecita emersione della materia imponibile, non costituisce un metodo di accertamento autonomo rispetto alle previsioni di cui agli artt. 38 e 39 del d.P.R. n. 600 del 1973 e 54 e 55 del d.P.R. n. 633 del 1972, bensì una modalità procedurale che ne segue le stesse regole, per cui può basarsi senza limiti anche sul metodo induttivo e il relativo avviso può essere emesso pur in presenza di una contabilità tenuta in modo regolare(da ultimo Sez. 5, Ord. n. 28681 del 07/11/2019);

1.3 Nella sentenza impugnata, la CTR non si è attenuta al suddetto principio, avendo ritenuto insussistenti, nella specie, i presupposti per l’accertamento parziale limitandosi ad affermare che “la rettifica operata esclusivamente in funzione delle segnalazioni della guardia di finanza assunte senza alcuna verifica da parte dell’Ufficio finanziario è inefficace e quindi nulla” (pagg. 5-6);

2. Con il secondo motivo, si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., l’omessa e/o insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, per avere la CTR – a fronte della contestazione dell’Ufficio della indeducibilità dei costi sostenuti per servizi di ristorazione e alberghieri per difetto del requisito di inerenza in quanto non correlati alla attività di impresa della società contribuente – dopo avere richiamato la giurisprudenza sulla fatturazione soggettivamente inesistente … affermato apoditticamente la deducibilità delle spese sulla base di una asserita (peraltro non contestata) esistenza delle operazioni alla luce delle prodotte fatture, senza, peraltro, vagliare la natura delle prestazioni ivi descritte né tantomeno l’esistenza dei requisiti minimi formali di completezza dei documenti

2.1. Il motivo è fondato previa riqualificazione dello stesso in termini di violazione di legge, essendo stata sostanzialmente denunciata la violazione dell’onere della prova circa la sussistenza dei presupposti per la deducibilità dei costi.

Nella specie, come si evince dallo stralcio del p.v.c. riprodotto in ricorso (pag. 9), la ripresa a tassazione delle “spese alberghi e ristoranti” era scaturita da un asserito difetto del requisito di inerenza di cui all’art. 109 del TUIR, stante le riscontrate carenze delle fatture intestate alla contribuente (per mancata indicazione dei nominativi dei beneficiari o del codice fiscale) con conseguente non riconducibilità dei detti costi all’attività di impresa.

Questa Corte ha altresì chiarito  che: In  tema  di imposte  sui redditi delle società, il principio dell’inerenza dei costi deducibili si ricava dalla nozione di reddito d’impresa (e non dall’art:. 75, comma 5 del d.P.R. n. 917 del 1986, ora art. 109,  comma  5,  del  medesimo  d.P.R., riguardante il diverso principio della correlazione tra costi deducibili e ricavi tassabili) ed esprime la necessità di riferire i costi sostenuti all’esercizio dell’attività imprenditoriale, escludendo quelli che  si collocano in una sfera estranea ad essa, senza che si debba compiere alcuna  valutazione  in  termini  di  utilità (anche  solo  potenziale  indiretta), in quanto è configurabile come costo anche ciò che non reca alcun vantaggio economico e non assumendo  rilevanza  la congruità delle spese, perché il giudizio sull’inerenza  è di carattere qualitativo e non quantitativo. Peraltro,  l’onere  di  provare  e  documentare l’imponibile maturato e dunque l’esistenza e la  natura  del  costo,  i relativi fatti giustificativi e la sua concreta destinazione alla produzione, quale atto d’impresa, grava sul  contribuente.”  (Cass.  Sez.  5 – , Sentenza n. 30366 del 21/11/2019). In tema di IVA,  ai  fini  della detrazione di un costo, la prova dell’inerenza del medesimo quale atto d’impresa, ossia dell’esistenza e natura della spesa, dei relativi fatti giustificativi e della sua concreta destinazione alla produzione quali fatti costitutivi su cui va articolato il giudizio di inerenza, incombe sul contribuente in quanto soggetto gravato dell’onere di dimostrare l’imponibile maturato (Cass., Sez. 5, Sent. n. 18904 del 17/07/2018).

Nella specie, la CTR ha affermato apoditticamente che la contribuente avesse dimostrato, “attraverso l’esibizione delle fatture” ad essa intestate,  il  diritto  alla  deducibilità  dei  relativi  costi  effettivamente sostenuti, senza verificare l’assolvimento da parte della società, attraverso apposita documentazione di supporto, dell’onere probatorio circa il contestato requisito dell’inerenza tra i costi medesimi e l’attività imprenditoriale in concreto esercitata; ciò in ossequio alla giurisprudenza di questa Corte secondo cui “In tema di IVA, ai fini della detrazione dei costi, non è sufficiente l’avvenuta contabilizzazione degli stessi, dovendo il contribuente dimostrarne, nell’ipotesi di contestazione dell’Amministrazione finanziaria, anche l’esistenza, l’inerenza e la coerenza economica” (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 22940 del 26/09/2018).

3. Con il terzo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, 3 c.p.c., la falsa applicazione degli artt. 67, comma 7, del d.P.R. n. 917/86, 68 del d.P.R. n. 597/73, 102 e 110 del TUIR, per avere la CTR ritenuto erroneamente deducibili, nei limiti di cui all’art. 67, comma 7 (ora 102, comma 6), le “spese di manutenzione e riparazione”, ancorché i predetti costi, essendo stati sostenuti nel 2003 (come accertato dai verificatori nel p.v.c.) per la realizzazione di un nuovo insediamento produttivo avrebbero dovuto essere oggetto di patrimonializzazione ai sensi dell’art. 110 (ex 76) del TUIR.

4. Con il quarto motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, 5 c.p.c., l’omessa, insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, con riguardo alle medesime argomentazioni svolte con il terzo motivo.

5. Con il quinto motivo, si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, 5 c.p.c., l’omessa, insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, avendo la CTR – a fronte della contestazione della indeducibilità, quali costi di esercizio, delle spese per onorari professionali relativi ad attività di progettazione e/o consulenza edili, essendo funzionalmente correlati ai cespiti di riferimento e, pertanto, da portare in aumento del valore di questi ultimi, per diretta imputazione, quali oneri accessori ai sensi dell’art. 110  del  TUIR  e  da  ammortizzare  secondo  le  percentuali  del  DM 31.12.98 –  affermato  apoditticamente la deducibilità  degli stessi stante la prova della” congruità” mediante la procluzione delle relative fatture.

6. Con il sesto motivo, si denuncia, in relazione all’art. 112 c.p.c., l’omessa pronuncia della CTR sul motivo cli appello dell’Ufficio con cui era stata dedotta la indeducibilità dei costi sostenuti per l’acquisto dei materiali da costruzione per la realizzazione del nuovo insediamento, trattandosi di oneri accessori di diretta imputazione ai sensi dell’art. 110 del TUIR e, pertanto, da portarsi ad incr ement o del valore del bene cui si riferivano e da ammortizzare secondo le percentuali del DM 31.12.98.

In disparte l’inammissibilità del quarto  motivo  non  potendo  dedursi come v1z10 di motivazione una questione di diritto,  i  motivi  terzo, quinto- previa riqualificazione del mezzo come violazione di legge denunciandosi in sostanza la  illegittimità  della  imputazione  in contabilità  come costi di esercizio delle spese per consulenze  tecniche­ e sesto- da  trattare  congiuntamente per connessione-  sono infondati per le ragioni di seguito indicate.

Come si evince dalla sentenza impugnata e dagli stralci  di  p.v.c. riportato in ricorso, con l’avviso di accertamento in questione l’Ufficio aveva ripreso a tassazione, tra l’altro 1) le spese per “riparazione e manutenzione”  quali costi accessori  sostenuti per la  realizzazione   di un nuovo insediamento produttivo   (“compensi per prestazioni relative allo stato di avanzamento dei lavori di costruzione ovvero per la realizzazione di nuovi beni costituenti parte integrante dello stesso insediamento commerciale”) come tali da capitalizzare ai sensi dell’art. 110   ( ex 76)  del TUIR e non già deducibili nei limiti di cui all’art. 102, comma 6 (ex 67) del d.P.R. n. 917/86; 2) i costi per onorari professionali relativi ad attività di progettazione e/o consulenze edili, che, in quanto funzionalmente correlati ai cespiti di riferimento, avrebbero dovuto essere capitalizzati portandoli in aumento del valore di questi ultimi, quali oneri accessori di diretta imputazione ai sensi dell’art. 110  del TUIR; 3) costi per l’acquisto di beni di valore inferiore a euro 516,00   che, in quanto afferenti a materiali da costruzione per la realizzazione del nuovo insediamento, avrebbero dovuto essere considerati oneri accessori di diretta imputazione ai sensi dell’art. 110 del TUIR.

Va premesso che, come questa Corte ha chiarito, in tema di determinazione del reddito d’impresa, le spese sostenute per la manutenzione, riparazione, trasformazione ed ammodernamento di beni strumentali, sono deducibili nel limite del 5 per cento del costo complessivo degli stessi, ex art. 102, comma 6, del d.P.R. n. 917 del 1986, non assumendo rilevanza, a tal fine,. il carattere eccezionale di dette spese” (Cassazione civile sez. trib., 26/3/2020 n. 7532; 09/02/2018, n.3170; vedi anche Cass. n.7885/2016 e n.18810/2017); è principio giurisprudenziale consolidato quello secondo cui la citata disposizione normativa «consente all’imprenditore di esercitare l’opzione tra la capitalizzazione delle spese incrementative, quale aumento del costo del bene ammortizzabile, ovvero la loro deduzione immediata entro i limiti quantitativi prefissati (deduzione  di importo non superiore al 5% del costo complessivo dei beni ammortizzabili; deduzione dell’eccedenza per quote costanti nei cinque esercizi successivi)» (da ultimo, Cass. n. 7532 del 2020; n 7855 del 2016).

Nella specie, premesso che, nella parte in fatto della  sentenza impugnata, si fa riferimento al rilievo del verbalizzanti sulle “spese di manutenzione e riparazione”, su quelle “delle consulenze tecniche” e “sugli acquisti di beni di valore inferiore a euro  516,45”,  come componenti negativi di reddito non spesabili nell’esercizio ma da capitalizzare  tra  le immobilizzazioni materiali  (pag.  4),  la CTR,  quanto a tali componenti- da intendersi unitariamente considerati- ha,  in ossequio  al richiamato  principio  di diritto, e senza,  peraltro, incorrere nel denunciato vizio di omessa pronuncia (quanto ai costi per l’acquisto dei materiali da  costruzione),  ritenuto  correttamente  tali  spese deducibili nei limiti (del 5%) di cui al comma 6 dell’art. 102 del TUIR, essendo rimesso all’imprenditore di esercitare l’opzione tra la capitalizzazione delle “spese incrementative” (nel cui ambito sono comprensibili tutte  le contestate  spese  in questione),  quale  aumento del costo del bene ammortizzabile, ovvero la loro deduzione immediata entro i limiti quantitativi prefissati.

7. Con il settimo motivo si denuncia, in relazione all’art. 112 c.p.c., l’omessa pronuncia della CTR sul motivo di appello dell’Ufficio relativo al recupero dei componenti negativi ritenuti indetraibili per violazione del principio di competenza non potendo trovare applicazione, ad avviso dell’Amministrazione, la deroga di cui al comma 1 dell’art. 109 del TUIR, trattandosi di costi inquadrabili nell’ambito di un contratto di fornitura e, pertanto, non incerti sotto il profilo dell’esistenza.

Il motivo è infondato.

Premesso che per integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia(Cass. Cass. 1237 del 2018; Cass. n. n. da 21424 a 21428 del 2017, conf. n. 17956 del 2015, n. 20311 del 2011), nella specie, la CTR, dopo avere riportato nella parte in fatto espressamente la contestazione relativa “al recupero dei componenti indetraibili per violazione del principio di  competenza”,  ha  rigettato  l’appello dell’Ufficio, con ciò implicitam ente disattendendo il motivo di gravame concernente la assunta violazione del principio di competenza.

8. Con l’ottavo motivo, si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, 3 c.p.c., la violazione degli artt. 1, comma lbis del d.l. n. 209/2002 (conv. in I. n. 265/2002), 2 del d.lgs. n. 466/97, 36bis del d.P.R. n. 600/73 per avere la CTR ritenuto, quanto all’applicazione dei benefici della c.d. Dual Incom Tax, illegittimo il calcolo dell’Amministrazione della quota parte di reddito agevolato e il conseguente recupero della maggiore Irpeg in quanto l’Ufficio doveva procedere ad applicare preventivamente tale moltiplicatore, fissato dal Ministero nella misura di 1,40 al capitale investito e poi decurtare dall’importo così ottenuto quello dei valori mobiliari” ancorché per la determinazione della fascia di reddito agevolata non si dovesse fare riferimento meramente al “capitale investito” ma agli incrementi patrimoniali realizzati fino al 30.6.2001 rispetto al capitale di riferimento costituito dal patrimonio netto esistente al 30.9.1996, e nell’atto di appello l’Ufficio avesse dedotto quanto già evidenziato dai verificatori circa la mancanza da parte della società di immobilizzazioni finanziarie nell’anno di riferimento 1996 e la necessaria sottrazione dal computo degli incrementi patrimoniali delle partecipazioni e dei titoli di massa dello stato patrimoniale 2003, non esistenti nel bilancio relativo all’esercizio in corso al 30 settembre 1996, con successiva applicazione sull’importo residuo del coefficiente moltiplicatore dell ‘ 1,40.

9. Con il nono motivo la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione degli artt. 33 e 36-bis del d.P.R. n. 600/73 per avere la CTR ritenuto illegittimo il recupero da parte dell’Ufficio della maggiore Irpeg sotto il profilo dei benefici della c.d. Dual Jncom Tax, sulla base di una mera petizione di principio (secondo cui, “il contribuente non aveva alcun onere di documentare i dati economici-contabili esposti nella dichiarazione e posti a fondamento dell’invocata agevolazione mentre era potere-dovere dell’Amministrazione, ove intendesse negarla, verificare i dati esposti dal contribuente attraverso la procedura di liquidazione delle imposte di cui all’art. 36bis del d.P.R. n. 600/73) allorquando l’Ufficio avesse non già denegato il godimento dei benefici della DIT ma riquantificato i medesimi operando proprio la liquidazione ex art. 36bis del d.P.R. n. 600/73, previa verifica “delle poste di patrimonio netto rilevanti ai fini del calcolo del reddito assoggettabile ad aliquota ridotta”.

I motivi ottavo e nono – da trattare congiuntamente per connessione­ sono fondati.

Il D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 466 (abrogato dall’art. 3 del dlgs. 12 dicembre 2003 n. 344) ha introdotto il sistema cd. di Dual Incarne Tax (di seguito D.I.T.) che assoggetta il reddito di impresa ad una tassazione differenziata, in modo da applicare un tasso di imposta ridotto (19%) rispetto a quello ordinario (37%) al reddito di impresa riconducibile agli incrementi di capitale netto attuati nel corso dell’esercizio. In particolare, il D.Lgs. n. 466 del 1997, art. 1 ((nella formulazione applicabile ratione temporis) stabilisce che il reddito complessivo netto dichiarato dalle società e da altri enti è assoggettabile all’imposta sul reddito delle persone giuridiche con la suddetta aliquota ridotta, per la parte corrispondente alla remunerazione ordinaria della variazione in aumento del capitale investito rispetto a quello esistente  alla  chiusura dell’esercizio in corso al 30 settembre 1996, incrementc:1ta del 20 per cento per il periodo d’imposta successivo a quello in corso al 30 settembre 1999, e del 40 per cento per periodi d’imposta successivi.

L’art.  1,  comma  4  (nella  formulazione  applicabile   ratione temporis) prevede che il capitale investito esistente alla chiusura dell’esercizio in corso al 30 settembre 1996 è costituito dal patrimonio netto risultante dal relativo bilancio, senza tener conto dell’utile del medesimo esercizio. A tal fine rilevano, come variazioni in aumento, i conferimenti in denaro nonchè gli utili accantonati a riserva (con esclusione di quelli destinati a riserve non disponibili costituite a fronte di plusvalenze derivanti dalla valutazione di partecipazioni effettuata con il metodo del “patrimonio netto”, ex art. 2426 e.e., comma 1, n. 4) e, come variazioni in diminuzione, le riduzioni del patrimonio netto con attribuzione, a qualsiasi titolo, ai soci o partecipanti; la variazione in aumento non può comunque eccedere il patrimonio netto risultante dal relativo bilancio, escluso l’utile del medesimo periodo. L’art. 2 del D.Lgs. dispone ancora, per quanto qui rileva, che “la variazione in aumento di cui all’art. 1, comma 4, non ha effetto fino a concorrenza:

a) dell’incremento delle consistenze dei titoli e valori mobiliari diversi dalle partecipazioni rispetto a quelli risultanti dal bilancio relativo all’esercizio in corso al 30 settembre 1996;… “.

L’art. 3, comma 2, dispone invece che la variazione in aumento di cui all’art. 1, comma 4, è ridotta di un  importo  pari  ai  conferimenti  in denaro  effettuati,  successivamente alla chiusura  dell’esercizio in corso al 30 settembre 1996, a favore di soggetti controllati.

In altri termini, per evitare manovre abusive o fraudolente, a ciascun conferimento infragruppo deve corrispondere una riduzione di pari importo della “base D.I.T.” per la conferente; disposizione, questa, chiaramente diretta ad evitare un artificioso effetto  moltiplicatore  a catena degli incrementi  di capitale  rilevanti ai fini della D.I.T. a seguito del conferimento, tra più soggetti, di  un  unico  iniziale  apporto  di denaro, come nel caso di conferimenti a cascata su società controllate (Cass. n. 14922 del 2011; Cass. 7215/2015; Cass.  15/07/2015  n. 14759).

Allo stesso modo, l’art. 3, comma 3, lett. c) ha escluso che possano considerarsi aumenti di capitale i crediti da finanziamento tra società collegate; la ragione della esclusione risiede nel fatto che, essendo economicamente il gruppo di  imprese  un’unica  impresa,  lo spostamento di capitali da una impresa ad altra del medesimo gruppo equivale allo spostamento di risorse tra due rami  della  medesima società, operazione contabilmente ed economicamente neutra, che non realizza la finalità del decreto legislativo; infatti, la tenuta della cassa comune tra due o più imprese (cd. cash pooling), quali che siano le modalità contabili di tenuta, adempie all’evidente funzione  di escludere o limitare l’accesso al credito bancario, finanziando  l’impresa partecipante alla cassa comune con gli attivi di cassa dell’altra o delle altre imprese (Cass. n. 14730 del 2009). 

Questa Corte ha pertanto già chiarito che,, per come strutturato, tale sistema di tassazione favorisce gli apporti di capitale proprio e disincentiva il ricorso al capitale di credito, promuovendo così gli investimenti produttivi (Cass. n. 26318 del 2010; Sentenza  del 15/07/2015 n. 14759).

In forza della norma transitoria  di cui all” art. 5, comma 1, lett. b), legge 18 ottobre 2001, n. 383, «l. Le aç;1evolazioni fiscali di cui alla tabella allegata alla presente legge [tra cui la c.d. Dit, Dual Incom Tax, di cui al d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 466], sono soppresse, salvo quanto segue: … b) i soggetti che alla data del 30 giugno 2001 abbiano già eseguito operazioni di variazione in aumento del capitale ai sensi del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 466, continuano a fruire dei relativi benefici» (si vedano sui limiti del possibile superamento della data del 30 giugno 2001 come termine ultimo di rilevanza, ai fini dell’applicazione dell’aliquota agevolata ex d.lgs. n. 466 del 1997, di operazioni di variazione in aumento del capitale, con riguardo all’incremento dei crediti di finanziamento nei confronti di società partecipate, da ultimo, Cass. Sez.  5,  Sentenza  n.  1744 del 23/01/2019 e Sez. 5, Sentenza n. 21241 del 13/09/2017).

Il suddetto sistema di tassazione agevolata non contempla a carico del contribuente una particolare disciplina dell’onere probatorio, che opera secondo i criteri generali (art. 2697 e.e.): il contribuente che invochi i benefici della dual income tax è tenuto solo ad esporre nella dichiarazione i dati economico-contabili posti a fondamento dell’invocata agevolazione, senza oneri cli documentazione ulteriore, essendo per contro potere-dovere dell’amministrazione finanziaria, ove intenda negarla, verificare i dati esposti dal contribuente nella dichiarazione, attraverso la procedura di liquidazione delle imposte di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 36-bis (Cass. n. 18898 del 2011, n. 26318 del 2010 e n. 17636 ciel 2008).

Nella specie, la società ha contestato di essere tenuta a ridurre l’imponibile soggetto ad aliquota agevolata, per avere i verbalizzanti, nella determinazione della quota di reddito rilevante ai fini DIT, erroneamente invertito l’ordine dei conteggi,  detraendo dall’incremento di capitale investito i valori mobiliari e poi applicando sull’importo residuo il coefficiente moltiplicatore nella misura dello 1,40 anziché procedere alla preventiva applicazione di tale coefficiente di maggiorazione al capitale investito e poi decurtare dall’importo così ottenuto quello dei  valori  mobiliari.  Tale assunto  è stato fatto  proprio dai giudici di primo e secondo grado.

Senonchè dal combinato disposto degli artt. 1, commi 1 e 4 e 2 del d.lgs. n. 466 del 1997 si evince che, ai fini della determinazione della quota di reddito rilevante ai fini DIT- posto che “la variazione in aumento del capitale investito non ha effetto fino a concorrenza: a) dell’incremento delle consistenze dei titoli e valori mobiliari diversi dalle partecipazioni rispetto a quelli risultanti dal bilancio relativo all’esercizio in corso al 30 settembre .1996″ – l’applicazione del coefficiente moltiplicatore di 1,40 va operata dopo avere sottratto dal computo degli incrementi del patrimonio netto (realizzati sino al 30.6.2001) l’incremento delle consistenze dei titoli e valori mobiliari non esistenti nel bilancio relativo all’esercizio in corso al 30.9.96.

Ciò trova conferma anche nel d.l. n. 209 del 2002 conv. con modificazioni nella legge n. 265/2002 ( nella formulazione applicabile ratione temporis) che ha previsto due regimi alternativi per la determinazione della  DIT; il primo (non ricorrente nel caso di specie) in forza del quale ai fini dell’applicazione del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 466, non si tiene  conto  dell’incremento percentuale  previsto  dalla disposizione di cui all’articolo  1,  comma 1, dello stesso decreto e la remunerazione ordinaria della variazione in aumento del capitale investito di cui alla medesima disposizione e’ pari al saggio degli interessi legali (art. 1, comma 1, lett. c) e il secondo per il quale  resta salva  la  possibilita’  di  applicare  le  disposizioni del decreto legislativo 18 dicembre 1997,  n.  466,  vigenti  alla data del 24 settembre 2002, con le seguenti modificazioni: a) la variazione in aumento del capitale investito non ha ulteriormente effetto fino a concorrenza dell’incremento della consistenza delle partecipazioni rispetto  a  quella  risultante  dal   bilancio   relativo all’esercizio in corso al 30  settembre  1996;  il predetto incremento, nel caso derivi da conferimenti in denaro di cui all’articolo 3, comma 2, del predetto decreto legislativo n. 466 del 1997, e’ ridotto  in  misura corrispondente; b) l’aliquota media dell’imposta sul reddito delle persone giuridiche non puo’ essere inferiore al 30 per cento ovvero, per le società di cui all’articolo 6 del predetto  decreto  legislativo n. 466 del 1997, al 22 per cento”.

Da qui la fondatezza dei suddetti mezzi avendo la CTR affermato erroneamente che l’Ufficio avrebbe dovuto applicare “preventivamente tale moltiplicatore, fissato dal Ministero nella misura di 1,40 al capitale investito e poi decurtare dall’importo così ottenuto quello dei valori mobiliari”.

4. In conclusione, vanno accolti i motivi primo, secondo, ottavo e nono, respinti i restanti; con cassazione della sentenza impugnata- in relazione ai motivi accolti- e rinvio, anche per la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità, alla CTR dell’Abruzzo, in diversa composizione.

P.Q.M.

La Corte accoglie i motivi primo, secondo, ottavo e nono del ricorso, respinti i restanti; cassa la sentenza impugnata- in relazione ai motivi accolti – e rinvia alla CTR dell’Abruzzo, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.