CORTE di CASSAZIONE – Sentenza n. 11262 depositata il 28 aprile 2023
Tributi – IRES e IRAP – Rimborso – Deducibilità dell’IRAP relativamente alle spese per il personale – Deducibilità forfettaria – Costo per lavoro dipendente e assimilato – Interessi passivi ed oneri assimilati indeducibili – Accoglimento
Fatti di causa
1. Nel 2010 la M.F. S.p.a. aveva presentato un’ istanza di rimborso avente ad oggetto la restituzione della parte dell’Ires corrispondente alla mancata deduzione, dal relativo imponibile, dell’Irap tutta versata e gravante sul costo del lavoro e sugli oneri finanziari per gli anni di imposta 2005 e 2006. Tali poste erano infatti indeducibili ai fini delle imposte dirette ai sensi del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 1 comma 2, fatta salva la possibilità di dedurre una quota forfettaria pari al dieci per cento dell’imposta versata, con riferimento agli interessi passivi o alle spese per il personale dipendente e assimilato, consentita dal D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 6.
La contribuente, a fondamento della propria domanda, aveva allegato la pretesa incostituzionalità dell’indeducibilità disposta dal d.lgs. n. 446 del 1997, art. 1 comma 2, che non riteneva esclusa dal solo parziale e forfettaria deduzione consentita dal D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 6.
All’istanza della contribuente l’Agenzia delle Entrate oppose diniego tacito, avverso il quale la contribuente propose ricorso innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Roma, che lo rigettò.
2. Contro la sentenza di primo grado la contribuente ha proposto appello, che la Commissione Tributaria Regionale del Lazio ha accolto con la sentenza di cui all’epigrafe, riconoscendo il diritto della società al rimborso, nella misura di cui all’istanza originaria. Il giudice di secondo grado ha dato atto che, in ordine all’an debeatur, era sopravvenuto all’istanza di rimborso, già nel corso del primo grado di giudizio, il d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, art. 2 comma 1, convertito con modificazioni dalla l. 22 dicembre 2011, n. 214, prevedendo che ” A decorrere dal periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2012 è ammesso in deduzione ai sensi dell’art. 99, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi (…) un importo pari all’imposta regionale sulle attività produttive determinata ai sensi del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, artt. 5, 5 bis, 6, 7 e 8 relativa alla quota imponibile delle spese per il personale dipendente e assimilato al netto delle riduzioni spettanti (…)”.
Pertanto, la spettanza del rimborso risultava ancora controversa tra le parti sotto il profilo della persistente validità ed efficacia dell’istanza già presentata, prima ancora della novella del 2011, dalla contribuente, che l’aveva poi riproposta ai sensi del d.l. 2 marzo 2012, n. 16, art. 4 comma 12, convertito con modificazioni dalla l. 26 aprile 2012, n. 44, che ha inserito il comma 1-quater nell’art. 2 del d.l. n. 201 del 2011, secondo cui ” In relazione a quanto disposto dal comma 1 e tenuto conto di quanto previsto dal d.l. 29 novembre 2008, n. 185, commi da 2 a 4 dell’art. 6, convertito, con modificazioni, dalla l. 28 gennaio 2009, n. 2, con provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate sono stabilite le modalità di presentazione delle istanze di rimborso relative ai periodi di imposta precedenti a quello in corso al 31 dicembre 2012, per i quali, alla data di entrata in vigore del presente decreto, sia ancora pendente il termine di cui al d.p.r. 29 settembre 1973, n. 602, art. 38 nonché’ ogni altra disposizione di attuazione del presente articolo.”.
La CTR non ha accolto la tesi erariale, secondo cui la nuova istanza, telematica, avrebbe avuto efficacia novativa della precedente ed estiva del giudizio introdotto avverso il silenzio-rifiuto formatosi su quest’ultima, ed ha rilevato che la relativa questione era stata introdotta dall’Agenzia solo in appello e, comunque, che nessuna norma attribuiva alla nuova istanza un effetto caducatorio di quella precedente.
Inoltre la CTR ha ritenuto che, in ordine al quantum debeatur, l’Amministrazione avesse “consumato il potere di proporre la relativa eccezione” in appello, non avendo contestato l’importo espresso dalla contribuente nella memoria prodotta nel corso del giudizio di primo grado.
Quanto alla decorrenza degli interessi sulle somme da rimborsare, la CTR ha ritenuto che essi fossero dovuti dalla presentazione della prima istanza, attesa l’efficacia retroattiva del D.Lgs. n. 201 del 2011, art. 2, comma 1.
3. L’Amministrazione ha quindi introdotto ricorso per la cassazione della decisione di secondo grado, affidandolo a quattro motivi.
La contribuente ha resistito con controricorso.
Il Procuratore generale ha prodotto conclusioni scritte, chiedendo di dichiarare inammissibili i primi tre motivi e di accogliere il quarto.
La contribuente ha prodotto memoria con la quale si è costituito nuovo difensore in sostituzione del precedente.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso l’Ufficio lamenta la violazione e la falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. e dell’art. 1988 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
La CTR avrebbe erroneamente ritenuto che l’Amministrazione avesse riconosciuto o non contestato il diritto al rimborso, in quanto nelle controdeduzioni in appello essa aveva invece espressamente negato che sussistessero i presupposti per l’erogazione del rimborso richiesto con l’originaria istanza, poiché la contribuente aveva presentato, conformemente a quanto previsto dal d.l. 2 marzo 2012, n. 16, art. 4 comma 12, una nuova istanza telematica di rimborso, ancora al vaglio dell’Amministrazione, che avrebbe sostituito ed assorbito quella precedente, così manifestando, per facta concludentia, la volontà di ottenere il rimborso al seguito di una diversa procedura amministrativa. Oggetto di contestazione in appello era stato inoltre il profilo relativo alla quantificazione dell’eventuale rimborso, la cui entità era stata circoscritta dal d.l. n. 201 del 2011 alle sole spese per il personale dipendente e non anche, come richiesto dal contribuente, alle spese per gli oneri finanziari. A ciò si aggiungerebbe, a detta dell’Ufficio, una ulteriore decurtazione pari al dieci per cento dell’imposta versata con riferimento agli interessi passivi o alle spese per il personale dipendente e assimilato, già dedotto in applicazione del d.l. 29 novembre 2008, n. 185, art. 6.
Inoltre, l’Ufficio si duole comunque dell’applicazione del principio di non contestazione, in quanto precluso dall’indisponibilità dell’obbligazione tributaria da parte dell’Agenzia delle Entrate, che non può disporre di un credito erariale e della sua quantificazione, se non eventualmente con un provvedimento di autotutela.
2. Con il secondo motivo di ricorso l’Ufficio denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, per avere la CTR omesso di esaminare le difese erariali proposte in sede di appello in ordine al preteso riconoscimento del diritto al rimborso da parte dell’Agenzia delle Entrate, sotto il profilo dell’an e del quantum.
3. Con il terzo motivo di ricorso l’Ufficio lamenta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., la violazione e la falsa applicazione del d.lgs. n. 446 del 1997, art. 1 nonché del d.l. n. 201 del 2011, art. 2 per avere la CTR riconosciuto integralmente il rimborso richiesto dalla società. A detta del ricorrente, infatti, il giudice di seconde cure, nell’accogliere integralmente l’appello della contribuente, avrebbe riconosciuto la spettanza del rimborso anche relativamente all’imposta versata con riferimento all’indeducibilità degli oneri finanziari, sebbene il d.l. n. 201 del 2011 abbia esteso la deducibilità dell’Irap solo relativamente alle spese per il personale.
4. Con il quarto motivo di ricorso l’Ufficio lamenta, ai sensi dell’ art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., la violazione e la falsa applicazione del d.l. n. 201 del 2011, art. 2, del d.l. n. 16 del 2002, art. 4 e dell’art. 1282 c.c., per avere la CTR fatto decorrere gli interessi relativi alla somma da rimborsare dalla presentazione della originaria istanza e non dall’entrata in vigore del d.l. n. 201 del 2011, art. 2 comma 1-quater, data a partire dalla quale, ferma restando la questione relativa all’effettiva spettanza del rimborso, il credito sarebbe divenuto esigibile.
5. I motivi di ricorso, per la loro stretta connessione e, in alcuni punti, interdipendenza, rendono necessaria una trattazione congiunta.
Giova premettere che, nel contesto del giudizio, le prospettazioni delle parti non attingono la legittimazione, incontestata, della contribuente in relazione alla circostanza, solo genericamente accennata nella sentenza impugnata, che vi sarebbe stato “analogo giudizio introdotto dalla consolidante “F. spa”, quale soggetto che liquida materialmente l’imposta sul reddito complessivo globale del consolidato fiscale in cui confluisce il reddito imponibile di M.”. Del resto, la genericità di tale riferimento neppure consente di individuare il giudizio “analogo” de quo; o almeno la data dell’esercizio della relativa opzione ed il periodo complessivo di consolidamento, e quindi di accertare se i periodi di imposta oggetto della domanda di rimborso siano, o meno, in esso compresi (sulla rilevanza di tale dato, ai fini della legittimazione- qui incontroversa comunque- all’istanza di rimborso cfr. Cass. 6/06/2019, n. 15431, in motivazione, pagg. 4-6).
5.1. Tanto premesso, al fine di razionalizzare e semplificare l’esame del thema decidendum, appare opportuno rilevare innanzitutto l’inammissibilità del secondo motivo di ricorso, in quanto l’assunta “omessa compiuta valutazione”, da parte della CTR, delle difese prospettate dall’Ufficio in appello, non integra l’omesso esame rilevante ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che deve avere per oggetto necessariamente un fatto inteso in senso storico-naturalistico, e non le questioni e le argomentazioni in rito ed in diritto sostanziale delle parti (cfr., ex plurimis, Cass. 6/09/2019).
Tanto meno, poi, è ammissibile la prospettazione, nell’ambito del medesimo vizio, di un preteso “errore valutativo” della CTR sulle difese della parte, che attinge in realtà non l’errata percezione di un dato processuale fattuale (che peraltro avrebbe dovuto essere allora oggetto di eventuale domanda di revocazione), ma genericamente la valutazione rimessa, in fatto ed in diritto, al giudicante.
5.2. Proseguendo nell’intento di razionalizzazione dell’esame del thema decidendum, è opportuno sgombrare il campo dalla questione del preteso effetto che, secondo la ricorrente, avrebbe sulla presente controversia la presentazione, da parte della contribuente, della nuova istanza telematica, formulata in ragione del d.l. n. 201 del 2011, art. 2 comma 1-quater, come novellato dal d.l. n. 16 del 2012, art. 4 comma 12.
Invero, dal complesso delle difese esposte nel ricorso dalla stessa Amministrazione si ricava chiaramente solo l’attribuzione, alla seconda istanza (che comunque la contribuente ha pacificamente proposto), di un preteso effetto genericamente impeditivo della decisione sul merito del giudizio introdotto dalla stessa contribuente avverso il silenzio-rifiuto formatosi sulla prima. Le ragioni di tale fenomeno sono però affidate dalla difesa erariale ad una congerie di argomentazioni, non meglio chiarite, né poste in relazione logica tra loro: la rinunzia implicita alla prima istanza per effetto della presentazione della seconda; l’assorbimento della prima nella seconda istanza; la sostituzione della prima con la seconda; la caducazione, in qualche modo, della prima istanza, per effetto della presentazione della seconda, quale conseguenza derivante dalle istruzioni al modello per l’istanza di rimborso, approvate con il provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate n. 140973 del 17 dicembre 2012, emesso in attuazione del d.l. n. 201 del 2011, art. 2 comma 1-quater.
Ebbene, il ricorrere di una sorta di implicita rinunzia della contribuente al giudizio è in contrasto con la condotta processuale della stessa parte che, per quanto emerge univocamente dagli atti, ha costantemente coltivato questo giudizio ed insistito per l’accoglimento della sua originaria domanda di rimborso.
Quanto all’evocazione dell'”assorbimento” e della “sostituzione” tra le due istanze, si tratta di allegazioni apodittiche e generiche, peraltro in contrasto con i rapporti tra le due istanze ravvisati già da questa Corte, come infra si dirà.
Infine, il d.l. n. 201 del 2011, art. 2 non prevede, per coloro che abbiano già presentato l’istanza di rimborso prima dell’entrata in vigore della medesima disposizione, l’effetto “caducatorio” che la seconda domanda proietterebbe sulla precedente, ed addirittura sul giudizio pendente ad essa conseguito. Invero tale effetto non è ricavabile neppure direttamente dal citato provvedimento direttoriale, che, in ogni caso, era deputato alle disposizioni di attuazione del ridetto art. 2, ma non ad introdurre norme incidenti direttamente sul diritto del contribuente a continuare a coltivare in giudizio una pretesa già formulata con la domanda di rimborso e tutelata con l’impugnazione del relativo silenzio rifiuto.
Tanto meno, poi, può essere poi sufficiente, a determinare l’effetto preclusivo invocato, il mero inserimento, nelle istruzioni per la compilazione dell’istanza telematica allegate al provvedimento direttoriale, della precisazione per cui ” Per i periodi d’imposta precedenti a quello in corso al 31 dicembre 2012, per i quali alla data del 2 marzo 2012 è stata già presentata istanza di rimborso cartacea, spetta il rimborso dell’importo originariamente richiesto in misura non superiore a quello spettante ai sensi del d.l. n. 201 del 2011, art. 2. Per rendere più spedite le procedure di gestione è comunque necessario presentare l’istanza di rimborso utilizzando questo modello, avendo cura di compilare il quadro RI, anche se per le stesse annualità è stata già presentata l’istanza prevista dal d.l. n. 185 del 2008, art. 6. Resta fermo che se al momento di presentazione di questa istanza il termine previsto di 48 mesi è ancora pendente, l’importo rimborsabile è pari a quanto richiesto in base alla disciplina di cui al d.l. n. 201 del 2011, art. 2 anche se superiore a quanto originariamente richiesto tramite istanza cartacea.”. Infatti, delle mere istruzioni di compilazione, peraltro dichiaratamente finalizzate ad esigenze organizzative dell’Amministrazione, non possono di per sé sole incidere sul diritto del contribuente a continuare a coltivare, anche in giudizio, l’istanza già presentata (della quale del resto le stesse istruzioni riconoscono la persistente efficacia).
5.2.1. Invero questa Corte (Cass. 6/06/2019, n. 15341, cit., in motivazione, pagg. 17-21), con riferimento alla disciplina conseguente alla sopravvenienza, in tema di deducibilità forfettaria del dieci per cento dell’Irap relativa alle spese per il personale, del d.l. 29 novembre 2008, n. 185, art. 6 convertito, con modificazioni, dalla l. 28 gennaio 2009, n. 2, ha ricostruito i rapporti tra l’originaria istanza di rimborso e quella telematica successiva in termini che – anche per effetto del richiamo del d.l. n. 201 del 2011, art. 2 comma 1-quater, ai commi da 2 a 4 del ridetto art. 6- possono estendersi anche alla fattispecie sub iudice.
All’esito dell’esame del relativo quadro normativo, nonché del punto 1.3.2. della circolare del 14 aprile 2009, n. 16/E della stessa Agenzia delle Entrate, si è infatti concluso che per i contribuenti che alla data di entrata in vigore del decreto n. 185 del 2008 avevano già presentato tempestiva istanza ai sensi del d.p.r. n. 602 del 1973, art. 38 il rimborso della maggiore imposta assolta non è subordinato alla presentazione dell’istanza telematica prevista dal d.l. n. 185 del 2008, comma 3 del citato art. 6 che è necessaria al solo fine di comunicare all’Amministrazione finanziare l’entità del rimborso di cui si chiede la restituzione e di consentire alla stessa Amministrazione di quantificare l’importo eventualmente dovuto in restituzione. In sostanza, data la retroattività della norma, il contribuente effettua una riliquidazione, ex post, della dichiarazione già presentata e richiede il rimborso mediante l’utilizzo dello strumento dell’istanza di rimborso in via telematica, nel rispetto delle modalità specificatamente stabilite nelle istruzioni allegate al provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate.
Non emergono ragioni per escludere che tale soluzione si estenda anche al caso sub iudice, con riferimento all’istanza telematica di cui al d.l. n. 201 del 2011, art. 2.
Non ha pertanto errato la CTR nel ritenere che la presentazione della seconda istanza, telematica, di rimborso, formulata ai sensi del d.l. n. 201 del 2011, art. 2 non avesse alcun effetto (caducatorio o impeditivo della decisione nel merito del relativo giudizio sul silenzio-rifiuto) su quella precedente della stessa contribuente, proposta nel regime di cui al d.l. 29 novembre 2008, n. 185, art. 6 e contenente già la pretesa di restituzione dell’Irap anche in eccedenza, rispetto alla solo parziale e forfettaria deduzione comunque consentita da quest’ultima norma.
Permane, quindi, l’efficacia sostanziale dell’originaria istanza di rimborso e persiste l’interesse delle parti, in particolare del contribuente, ad ottenere una pronuncia nell’ambito della controversia introdotta con il ricorso avverso il relativo silenzio-rifiuto. Può quindi enuclearsi il seguente principio di diritto: ” In materia di sopravvenuta deducibilità dell’Irap ai fini delle imposte sul reddito ai sensi del d.l. n. 201 del 2011, art. 2 commi 1 e 1-quater, per i contribuenti che al 2/3/2012 abbiano comunque già inoltrato istanza di rimborso relativa ai periodi di imposta precedenti a quello in corso al 31 dicembre 2012, per i quali era ancora pendente il termine ex d.p.r. n. 602 del 1973, art. 38 l’eventuale presentazione, con le modalità di cui al provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate n. 140973 del 2012, dell’istanza telematica di rimborso relativa ai medesimi periodi, non ha determinato la perdita di efficacia dell’istanza già presentata e non preclude la prosecuzione del giudizio introdotto avverso il silenzio-rifiuto formatosi su quest’ultima, al fine di accertare, nel merito, an e quantum del preteso diritto alla ripetizione.”.
E’ dunque infondato, in parte qua, il primo motivo di ricorso (che va invece accolto, unitamente al terzo, in ordine alla censura relativa al quantum, sulla quale infra).
6. Sono fondati il primo motivo, ed il terzo, nella parte in cui attingono la decisione relativamente al quantum debeatur.
Deve innanzitutto escludersi che all’Amministrazione, che in primo grado aveva richiesto la declaratoria di inammissibilità ed il rigetto del ricorso introduttivo, fosse preclusa la contestazione del quantum debeatur in appello, come pare aver ritenuto la CTR.
Infatti, ” Nel processo tributario, quando il contribuente impugni il silenzio-rifiuto formatosi su una istanza di rimborso, deve dimostrare che, in punto di fatto, non sussiste nessuna delle ipotesi che legittimano il rifiuto, e l’Amministrazione finanziaria può, dal canto suo, difendersi “a tutto campo”, non essendo vincolata ad una specifica motivazione di rigetto, con la conseguenza che le eventuali “falle” del ricorso introduttivo possono essere eccepite in appello dall’Amministrazione a prescindere dalla preclusione posta dal d.lgs. n. 546 del 1992, art. 57 in quanto, comunque, attengono all’originario “thema decidendum” (sussistenza o insussistenza dei presupposti che legittimano il rifiuto del rimborso), fatto salvo il limite del giudicato.” (Cass. 6/12/2018, n. 31626).
Del resto, negando la sussistenza dei fatti costitutivi del diritto addotti dal contribuente, o la qualificazione ad essi attribuita, e non deducendo un fatto giuridico nuovo, avente efficacia modificativa od estintiva della pretesa avanzata dal contribuente, l’Amministrazione ha fatto valere, a proposito del quantum debeatur, mere difese, come tali non soggette ad alcuna preclusione processuale (Cass. 29/10/2020, n. 23862, in tema di rimborso).
Quanto poi al principio di non contestazione, deve rilevarsi che ” In tema di contenzioso tributario, il difetto di specifica contestazione dei conteggi funzionali alla quantificazione del credito oggetto della pretesa dell’attore – contribuente, che abbia articolato istanza di rimborso di un tributo, allorché il convenuto abbia negato l’esistenza di tale credito, può avere rilievo solo quando si riferisca a fatti non incompatibili con le ragioni della contestazione dell’ “an debeatur”, poiché il principio di non contestazione opera sul piano della prova e non contrasta, né supera, il diverso principio per cui la mancata presa di posizione sul tema introdotto dal contribuente non restringe il “thema decidendum” ai soli motivi contestati se sia stato chiesto il rigetto dell’intera domanda.” (Cass. 24/11/2022, n. 34707, in fattispecie nella quale l’Ufficio, ancorché non avesse svolto una specifica contestazione della documentazione sul computo del preteso “rendimento netto” depositata dal contribuente, aveva, nondimeno, negato in radice l’esistenza stessa del diritto al rimborso; cfr. altresì Cass. sez. un., n. 761 del 2002 e Cass. n. 29613 del 2011, ivi citate).
6.1. Tanto meno può configurarsi, in ordine al quantum, un espresso riconoscimento, formatosi nel giudizio di secondo grado, da parte dell’Ufficio.
Infatti, dalle controdeduzioni erariali in appello (riprodotte nel controricorso) emerge che l’Ufficio, pur prendendo atto della sopravvenienza del d.l. n. 201 del 2011, ha dato atto del diritto della contribuente di presentare, in base al mutato quadro normativo, una nuova istanza telematica di rimborso ed ha affermato che “ricorrendone i presupposti provvederà all’erogazione di quanto effettivamente spettante alla società, nel rispetto delle modalità e criteri fissati dal legislatore.”, contemporaneamente argomentando in ordine alla necessaria correlazione tra le due diverse fattispecie (forfettaria la prima, analitica la seconda) di deducibilità dell’Irap che vengono in rilievo nella fattispecie sub iudice (cui non si applica la l. 22 dicembre 2014, n. 190), ai fini della quantificazione dell’importo dovuto.
Al riguardo, questa Corte (Cass. 5/09/2019, n. 22213, cit., in motivazione) ha già chiarito che, dopo l’introduzione della deducibilità analitica del tributo regionale, determinato sulla componente del costo del lavoro, resta aperta la possibilità di una vera e propria convivenza della deduzione forfettaria, pari al dieci per cento dell’imposta pagata nel periodo, per gli interessi passivi, con la deduzione integrale dell’imposta pagata sul costo del lavoro, decurtato delle detrazioni.
Pertanto, la nuova deduzione analitica sul costo del lavoro non fa venire meno la deduzione forfettaria del dieci per cento riferibile agli interessi passivi ed oneri assimilati (cfr. in tal senso anche la circolare 3 aprile 2013, n. 8-E, della Agenzia delle entrate), per cui, per il contribuente ” a regime “, vi è la possibilità di dedurre, ai fini delle imposte sui redditi: la quota Irap commisurata all’ammontare di imponibile corrispondente al costo per lavoro dipendente e assimilato non ammesso in deduzione; il dieci per cento dell’Irap complessiva versata, a condizione che concorrano alla determinazione della base imponibile interessi passivi ed oneri assimilati indeducibili; con la precisazione che l’Irap complessiva, forfettaria e analitica, ammessa in deduzione ai fini delle imposte sui redditi non può in alcun modo eccedere l’imposta complessivamente versata o dovuta.
Anche in relazione alle richieste di rimborso valgono le medesime considerazioni, per cui si ritiene che, nel calcolo delle imposte sui redditi rimborsabili in relazione all’Irap afferente al costo del lavoro per le annualità pregresse, non si deve tener conto della deduzione forfettaria del dieci per cento di cui si è già beneficiato, nel caso in cui abbiano concorso al valore della produzione anche interessi passivi ed oneri assimilati indeducibili (in tal senso anche la circolare 3/04/2013 n. 8/E dell’Agenzia delle entrate). Pertanto, se gli interessi passivi hanno concorso al valore della produzione, la percentuale forfettaria del dieci per cento dell’Irap può essere detratta, se non se ne è già beneficiato. Diversamente, nell’ipotesi in cui il contribuente abbia beneficiato nei periodi di imposta pregressi della deduzione forfettaria del dieci per cento dell’Irap esclusivamente in relazione alle spese per il personale dipendente, non avendo sostenuto costi per oneri finanziari, l’importo massimo ammesso al rimborso va calcolato tenendo conto dell’Irap già dedotta in relazione al medesimo periodo d’imposta.
Dunque, ai fini del rimborso, non si deve tenere conto della deduzione forfettaria del dieci per cento dell’Irap di cui il contribuente ha già beneficiato, nel caso in cui abbiano concorso al valore della produzione anche interessi passivi ed oneri assimilati indeducibili. Diversamente, ove la riduzione del dieci per cento dell’Irap sia stata giustificata esclusivamente dalla partecipazione al valore della produzione imponibile di spese per il personale dipendente, l’importo massimo ammesso a rimborso deve essere calcolato tenendo conto dell’Irap già dedotta. Tanto premesso, la CTR ha errato sia nel ritenere che fosse precluso all’Amministrazione contestare, in appello, il quantum debatur; sia, comunque, nel considerare che il quantum non fosse stato contestato dall’Amministrazione, o fosse stato addirittura riconosciuto; sia, infine, nel non aver effettuato alcuna delle verifiche relative proprio alla quantificazione del rimborso, da condurre secondo i criteri ed i principi di diritto appena illustrati.
Pertanto, in accoglimento del primo (nei limiti di cui in motivazione) e del terzo motivo, la sentenza impugnata va cassata, con rinvio al giudice a quo per i necessari accertamenti.
7. Il quarto motivo è infondato.
Infatti, in tema di rimborso d’imposte, gli interessi dovuti dall’erario al contribuente per la ritardata restituzione sono soggetti alla disciplina dei rimborsi semestrali, ai sensi del d.p.r. n. 602 del 1973, artt. 38 e 44 sicché maturano al compimento di ogni singolo semestre, escluso il primo, successivo alla data non della domanda, ma del versamento e fino a quella dell’ordinativo del pagamento, e vanno calcolati al tasso legale vigente al momento della scadenza di ciascun semestre (Cass. 14/12/2016, n. 25684); senza che trovino applicazione le regole civilistiche ordinarie, presentando la disciplina tributaria in esame carattere di specialità (Cass. 20/10/2021, n. 29237); tuttavia, a decorrere dall’1 gennaio 2008, tale interesse va computato, ove siano trascorsi almeno dieci anni dalla richiesta di rimborso, giorno per giorno, come stabilito dal d.l. n. 201 del 2011, art. 1 comma 139, disposizione che ha una portata meramente ricognitiva della situazione debitoria pregressa, non modificando né integrando la normativa previgente (Cass. 20/10/2021, n. 29237, cit.).
Tanto premesso, è noto che questa Corte ha già avuto modo di affermare che gli interessi sulle somme che l’Amministrazione deve rimborsare al contribuente non hanno natura corrispettiva, ma moratoria, ossia sono disposti per il ritardo con cui l’imposta non dovuta è rimborsata (cfr. Cass. 21/03/2019, n. 7955), per cui non decorrono quando il ritardo non è addebitabile all’Amministrazione finanziaria (Cass. 21/03/2019, n. 7955, cit; cfr. Cass. 29/04/2016, n. 8540 e Cass. 23/07/2004, n. 13808).
Si tratta, tuttavia, di pronunce non strettamente conferenti la fattispecie sub iudice, poiché riguardano specificamente il rimborso di crediti Iva ai sensi del d.p.r. 26/10/1972, n. 633, art. 38bis, ed in particolare la non decorrenza degli accessori nel periodo compreso tra il sedicesimo giorno dalla data di notifica della richiesta di documenti da parte dell’Ufficio e quella della loro consegna (Cass. n. 7955 del 2019); o nel periodo in cui sia stato mantenuto dall’Amministrazione il provvedimento, legittimo, di sospensione del relativo pagamento, a causa dell’inadempimento, da parte del contribuente, delle condizioni stabilite dallo stesso provvedimento, ovvero il rilascio di garanzia, per poter dare ugualmente corso al rimborso richiesto (Cass. 22/06/2021, n. 17828).
Invece, più in generale, questa Corte, quando si è trattato di individuare, (al fine di verificarne l’imponibilità, in base alle norme pro tempore vigenti) l’effettiva funzione degli accessori maturati sui crediti che i contribuenti hanno nei confronti dell’Amministrazione finanziaria, ha affermato che ” Gli interessi maturati sui crediti di imposta che i contribuenti hanno nei confronti dell’Amministrazione finanziaria non sono dovuti a titolo moratorio (non essendovi mora dell’Amministrazione) né derivano dall’impiego di capitale, ma servono a compensare i contribuenti dell’esborso pecuniario che essi hanno in precedenza effettuato versando al Fisco una somma di denaro che deve essere loro restituita. L’interesse su tale somma serve a reintegrare la diminuzione patrimoniale subita dal contribuente, che viene così compensato del mancato godimento del denaro in precedenza versato (…). Chiara è perciò la “natura compensativa” degli interessi maturati sui crediti di imposta, idonea ad escluderli dai redditi di capitale elencati nel citato art. 41″ (Cass. 5/07/1990, n. 7091, in motivazione; conformi, sulla natura compensativa degli interessi in questione, in materia di imposte dirette, Cass. 6/04/1995, n. 4037; Cass. 28/11/1995, n. 2318; Cass. 15/04/1996, n. 3525; Cass. 10/06/1996, n. 5352; Cass. 15/02/1999, n. 1255; Cass. 17/07/1999, n. 7575; Cass. 8/09/1999, n. 9510; Cass. 17/05/2000, n. 6397; Cass. 20/09/2004, n. 18864; Cass. n. 9852 del 2016; Cass. 17/04/2019, n. 10705; Cass. 04/09/2012, n. 31820).
Per quanto qui rileva, il consolidato e continuo orientamento in questione (a prescindere da ogni interferenza delle norme applicabili ratione temporis in tema di imposizione dell’attribuzione patrimoniale rappresentata dagli interessi in questione) evidenzia dunque la funzione in senso lato “compensativa” (del mancato godimento, da parte del contribuente, del denaro in precedenza versato), che prescinde da un ritardo che sia colpevolmente imputabile all’Amministrazione (che, nel frattempo, ha ricevuto e posseduto la stessa somma) e legittimi la “mora” di quest’ultima, ai fini della decorrenza degli interessi di legge.
Del resto, qualora pure la natura “moratoria” degli interessi di cui al d.p.r. n. 602 del 1973, art. 44 volesse farsi dipendere dalla mera circostanza del riferimento al “ritardato” rimborso contenuto nella rubrica della stessa norma, dovrebbe comunque prendersi atto, per quanto qui interessa, che nel comma 1 la disposizione prende come riferimento, quale dies a quo della decorrenza dei semestri per i quali (escluso il primo) sono dovuti gli accessori, la ” data del versamento”. Pertanto, se ne dovrebbe trarre la conclusione che il legislatore (a prescindere dalla specifica regola dei semestri e dall’esclusione del primo di essi) considera comunque “ritardato” il rimborso ed in mora l’Amministrazione sin dal versamento che deve essere rimborsato.
Invero, a prescindere dalla sovrapposizione di concetti e qualificazioni di natura squisitamente civilistica, occorre muovere dal dato testuale offerto dal d.p.r. n. 602 del 1973, comma 1 del ridetto art. 44 che individua la ” data del versamento” quale riferimento temporale, certo ed univoco, ai fini della conseguente individuazione del semestre di decorrenza iniziale degli accessori, prescindendo quindi da ulteriori elementi di valutazione. In coerenza, peraltro, con la peculiarità della disciplina del rimorso delle imposte, che, a differenza di quella civilistica generale sull’indebito, di cui agli artt. 2033ss. c.c., prescinde, ai fini degli accessori, dallo stato soggettivo di buona fede o mala fede dell’accipiens. Infatti, nell’ordinamento tributario italiano vige, per la ripetizione del pagamento indebito, un regime speciale basato sull’istanza di parte, da presentare, a pena di decadenza dal relativo diritto, nel termine previsto dalle singole leggi di imposta, o, in mancanza di queste, dalle norme sul contenzioso tributario, e tale regime impedisce, in linea di principio, l’applicazione della disciplina prevista per l’indebito di diritto comune (Cass. sez. Un., 16/06/2014, n. 13676 in motivazione, ove si cita altresì Cass. n. 11456 del 2011; da ultimo, nello stesso senso, Cass.04/07/2022, n. 21106).
Può quindi formularsi il seguente principio di diritto “ In tema di rimborso delle imposte sul reddito, gli interessi di cui al D.Lgs. n. 602 del 1973, art. 44 non presuppongono la mora dell’Amministrazione, ma hanno la funzione di reintegrare la diminuzione patrimoniale subita dal contribuente che non ha goduto della somma di denaro che ha versato al Fisco e che deve essergli restituita. Tali interessi, indipendentemente dalla buona o mala fede dell’accipiens, maturano al compimento di ogni singolo semestre, escluso il primo, successivo alla data non della domanda, ma del versamento e fino a quella dell’ordinativo del pagamento“.
Va escluso pertanto che la posticipazione della decorrenza degli interessi all’entrata in vigore del d.l. n. 201 del 2011, art. 2 comma 1-quater, possa essere giustificata dall’ipotetica natura moratoria degli stessi accessori, e dunque dalla circostanza che l’Amministrazione non potesse considerarsi in mora in precedenza; o dalla precedente “buona fede” dell’Amministrazione, quale accipiens, inconsapevole di aver ricevuto una prestazione che sarebbe successivamente divenuta sine titulo ex lege.
La retroattività, nei limiti previsti dalla stessa norma, del d.l. n. 201 del 2011, art. 2 comma 1-quater, ha invero privato di titolo ex tunc il relativo pagamento, con la conseguente necessità, in ossequio alla ratio del D.Lgs. n. 602 del 1973, art. 44, di reintegrare integralmente la contribuente della diminuzione patrimoniale subita sin dal momento del versamento.
Tanto premesso, deve darsi atto che, nel caso sub iudice, la sentenza impugnata ha fatto decorrere gli interessi non prendendo in considerazione, ai fini di cui al D.Lgs. n. 602 del 1973, art. 44, la data risalente del versamento, ma quella, successiva, di presentazione dell’istanza cartacea, ovvero dell’originaria domanda di rimborso.
Sul punto, non vi è stata comunque impugnazione incidentale della contribuente.
8. Infine, esula dalla questione della quale è stata investita la Corte, con il ricorso in esame, l’introduzione di apposite procedure amministrative di rimborso, operando i limiti delle risorse stanziate e venendo in rilievo eventuali questioni sui consequenziali provvedimenti liquidatori emessi dall’Agenzia delle Entrate soltanto in fase esecutiva e/o di ottemperanza (cfr. Cass. 06/06/2019, n. 1541, cit.; Cass. 24/04/2015, n. 8373; Cass. 21 giugno 2018, n. 19668).
P.Q.M.
Accoglie il primo (nei termini di cui in motivazione) ed il terzo motivo di ricorso, rigetta il quarto e dichiara inammissibile il secondo; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.