Corte di Cassazione sentenza n. 11656 depositata il 14 maggio 2018
MEDIAZIONE – NOZIONI, CARATTERI, DISTINZIONI – REQUISITI – PREVIO CONFERIMENTO DELL’INCARICO – ESCLUSIONE – ACCETTAZIONE DELL’ATTIVITA’ DEL MEDIATORE – SUFFICIENZA
FATTI DI CAUSA
1) La controversia ha per oggetto la provvigione (Euro 28.080,00) a carico del venditore per la attività di mediazione svolta da parte resistente in occasione della vendita di un complesso immobiliare sito in località (omissis).
Il tribunale di Perugia con sentenza del novembre 2010 ha rigettato la domanda della Domus Rea Immobiliare di F.M., poiché ha ritenuto che fossero intervenuti accordi per far carico della provvigione soltanto su parte acquirente.
Di opposto avviso è stata la Corte appello di Perugia, che con sentenza 14 maggio 2013 ha integralmente accolto la domanda.
I signori T. e D.F. hanno proposto ricorso per cassazione, notificato il 19 novembre 2013.
Parte intimata ha resistito con controricorso illustrato da memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
2) Con il primo motivo di ricorso è denunciata falsa applicazione degli artt. 2697 e 1760 c.c..
Parte ricorrente sostiene che non sussista alcuna prova dell’esistenza del diritto di controparte a percepire la provvigione, non avendo Domus prodotto un incarico scritto, nè il registro degli affari con l’annotazione del contratto concluso con il suo intervento.
Con il secondo motivo il ricorso lamenta la violazione dell’art. 1755 c.c.. Espone che la affermazione che in difetto di prova di gratuità dell’incarico la mediazione deve presumersi onerosa sarebbe contraddetta da quella giurisprudenza che considera configurabile la prassi di lasciare la provvigione a carico di una sola delle parti contraenti. Parte ricorrente sostiene che sarebbe errata la affermazione della sentenza secondo cui i convenuti non avrebbero negato la attività di mediazione, di cui comunque essi non si sarebbero avvalsi. Con il terzo motivo il ricorso si duole della mancata esposizione delle ragioni di diritto che hanno escluso la configurabilità della mediazione atipica o unilaterale.
3) I motivi, esaminabili congiuntamente perché strettamente connessi, sono infondati.
La Corte di appello ha tratto prova dell’espletamento dell’attività di mediazione in primo luogo dalla dichiarazione di provvigione resa dal compratore, dall’atto di compravendita e da una mail inviata dall’agriturismo dei venditori alla appellante M., titolare dell’agenzia. Inoltre la sentenza ha chiarito (pag. 2 in fine) che “secondo gli appellati, l’attività di mediazione vi sarebbe stata, ma sarebbe terminata con la stipulazione del contratto preliminare”.
Parte ricorrente non ha negato questi elementi di fatto, ma in ricorso ha del tutto trascurato di considerare la mail suddetta, né ha preso posizione circa la deduzione, che la sentenza le attribuisce, secondo cui la mediazione sarebbe stata limitata al preliminare.
Ora, l’insieme di queste circostanze dà conto senz’altro, in modo adeguato e senza alcuna delle violazioni normative denunciate, della configurabilità di attività di mediazione e del fatto che la parte venditrice se ne sia consapevolmente avvalsa.
Ed infatti la circostanza che nell’atto di compravendita risultasse, quanto al venditore, che l’atto era stato stipulato senza alcuna spesa di mediazione, mentre quanto all’acquirente vi fosse stato l’intervento della M. quale mediatore vale a confermare che un ruolo di mediatrice fu assunto dalla M. e non ha valore decisivo e probante per escluderne il rapporto con parte venditrice, trattandosi di dichiarazioni rese dalle parti stesse e che impegnano rispettivamente ciascuna di esse: dunque non sono vincolanti, ma sono liberamente superabili in sede giudiziale dalla prova del contrario.
Dalle deduzioni svolte emerge, contrariamente a quanto sostiene il ricorso, proprio ciò che la sentenza ha affermato: l’esistenza della attività di mediazione spiegata dalla M., che è espressamente riconosciuta dall’acquirente, il quale aveva rilasciato anche dichiarazione apposita e che ha provveduto al pagamento della provvigione.
Su questa premessa la Corte di appello ha ineccepibilmente tratto poi la prova della sussistenza del diritto al compenso, anche da parte dei venditori, dalla circostanza che costoro avessero interloquito con la mediatrice per via telematica e avessero ammesso l’opera di mediazione, sia pur limitandola al momento della stipula del preliminare.
Sul punto il controricorso ha rilevato, non smentito, che la stipula del preliminare risultava anche dalla comparsa di risposta di controparte in sede di primo grado di giudizio.
Questi apprezzamenti di merito sono congrui, logici e non omettono alcun fatto controverso, mancando una censura sul punto. Essi sono quindi insindacabili ex art. 360 c.p.c., n. 5, quanto alla ricostruzione del fatto e sono ineccepibili quanto alla applicazione delle norme in tema di mediazione.
La giurisprudenza di questa Corte ritiene infatti che “Ai fini della configurabilità del rapporto di mediazione, non è necessaria l’esistenza di un preventivo conferimento di incarico per la ricerca di un acquirente o di un venditore, ma è sufficiente che la parte abbia accettato l’attività del mediatore avvantaggiandosene” (Cass. n. 25851 del 09/12/2014; n. 7759 del 14/04/2005).
A questo inquadramento corrisponde l’accertamento dei fatti contenuto in sentenza e che si è prima ripercorso, essendo utile anche precisare sia che secondo la giurisprudenza anche con riferimento al preliminare il mediatore ha diritto al pagamento della provvigione in tutti i casi in cui le parti, per effetto del suo intervento, abbiano concluso un “affare” (Cass. n. 22273 del 02/11/2010), sia che nella specie quell’intervento mediatorio, espressamente riconosciuto da uno dei contraenti e riscontrato probatoriamente quanto all’altro, ha protratto effetto anche oltre il preliminare, avendo avuto luogo il successivo rogito notarile.
4) Il quarto e quinto motivo di ricorso sono relativi alla quantificazione della provvigione.
Parte ricorrente si duole che il compenso sia stato determinato nel 3% del prezzo di acquisto, facendo riferimento agli usi locali, non espressamente invocati da parte attrice. Ciò costituirebbe ultrapetizione ex art. 112 c.p.c.. Inoltre il ricorso sostiene che la Corte di appello non avrebbe indicato a quale raccolta di usi abbia fatto riferimento e non avrebbe tenuto conto del fatto che il compratore aveva versato un ben minore importo a titolo di provvigione.
Il quinto motivo lamenta che l’applicazione degli usi locali sia avvenuta senza interpellare le parti sul punto, così violando l’art. 6 CEDU e l’art. 111 Cost..
Anche queste censure sono infondate.
Come ha rilevato parte resistente, già in primo grado la somma richiesta era stata quantificata in quella poi accordata dal giudice di appello, circostanza che risulta non solo dalla sentenza impugnata (pag. 5 ove si determina l’importo “conformemente alla richiesta di parte appellante”), ma anche dalle conclusioni riportate in epigrafe dalla sentenza del tribunale. E’ dunque da escludere che vi sia stata ultrapetizione.
Quanto alla misura della provvigione, è l’art. 1755 c.c., comma 2, a prevedere che “in mancanza di patto” si ricorre alle tariffe professionali o a gli usi e in subordine all’equità.
Dunque, poiché mancava il patto sul quantum, bene ha fatto la Corte di appello a ricorrere alla fonte che il codice prescrive: non v’era ovviamente bisogno di eccitare specificamente il contraddittorio sul possibile ricorso a tale fonte, essendo la regola fissata nel codice civile e la materia del contendere espressamente comprensiva del contrasto sul quantum richiesto.
Non vi è quindi stata alcuna extrapetizione o lesione del principio del contraddittorio in relazione alle Carte fondamentali invocate.
Va inoltre chiarito che qualora il giudice di merito abbia fatto riferimento a usi locali a lui noti, la parte che ne neghi l’esistenza deve dedurre specificamente sul punto e dimostrare da quali atti – già acquisiti al processo – o da quale altra fonte sia negata l’esistenza di tale uso.
Il ricorso, che nulla riferisce sul punto, difetta quindi di specificità.
Dal rigetto di tutti i motivi esaminati, e conseguentemente anche di quello che concerneva la liquidazione delle spese, discende il rigetto del ricorso e la condanna di parte ricorrente alla refusione delle spese di lite, liquidate in dispositivo, in relazione al valore della controversia.
Va dato atto della sussistenza delle condizioni per il raddoppio del contributo unificato.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna parte ricorrente alla refusione a controparte delle spese di lite liquidate in Euro 3.000 per compenso, Euro 200 per esborsi, oltre accessori di legge. Dà atto della sussistenza delle condizioni di cui del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, per il versamento di ulteriore importo a titolo di contributo unificato.
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