Corte di Cassazione sentenza n. 11744 depositata il 15 maggio 2018
TRASPORTO – DI COSE – DESTINATARIO – DIRITTI – DESTINATARIO DIVERSO DAL MITTENTE – CONSEGNA DELLA MERCE O RICHIESTA DELLA STESSA – EFFETTI – FONDAMENTO
FATTI DI CAUSA
La Riveco s.r.l. in liquidazione si opponeva a un decreto ingiuntivo, ottenuto dalla ditta individuale L. Trasporti e Spedizioni di L.A., per il pagamento di differenze assunte come dovute, in applicazione delle tariffe c.d. a forcella di cui alla L. 6 giugno 1974, n. 298 “ratione temporis” applicabile, a seguito di trasporti di prodotti della deducente per plurime destinazioni. Contestava la fondatezza della pretesa nell'”an” e nel “quantum”.
Il tribunale, nel contraddittorio con la ditta L., rigettava l’opposizione.
La corte di appello confermava la decisione di prime cure sottolineando, in particolare, che il trasporto di cose, con destinatario differente dal mittente, integrava un’ipotesi di contratto a favore di terzo, in cui il costo del servizio, di cui si discuteva, non poteva far carico se non al mittente che lo aveva richiesto, e inoltre che, per l’obiettata carenza di legittimazione attiva del creditore, la relativa contestazione costituiva un’eccezione in senso stretto avanzata inammissibilmente per la prima volta in appello. Sul “quantum” riteneva generiche le contestazioni all’ampia documentazione prodotta dall’attore.
Avverso questa decisione ricorre per cassazione la Riveco s.r.l. in liquidazione, affidandosi a cinque motivi.
Resiste con controricorso L.I., erede di L.A., già titolare della ditta individuale L. Trasporti e Spedizioni di L.A., che ha depositato altresì memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso si prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1692 c.c., poiché la corte di appello avrebbe errato nel ritenere debitore del costo del trasporto il mittente e non il destinatario, cui dal vettore era stata consegnata la merce senza pretendere il pagamento in parola.
Con il secondo, terzo e quarto motivo di ricorso si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 81, 345, 167, 180 c.p.c., poiché la corte di appello avrebbe errato nel ritenere un’eccezione in senso stretto, sollevata inammissibilmente per la prima volta in secondo grado, quella afferente alla titolarità del rapporto passivo, trattandosi invece di questione di merito afferente alla fondatezza della domanda, e dunque eccezione in senso lato sempre rilevabile (secondo e terzo motivo), e comunque eccepita tempestivamente nella memoria ex art. 180 c.p.c., “ratione temporis” applicabile, nei 20 giorni precedenti la prima udienza di trattazione (quarto motivo).
Con il quinto motivo di ricorso si prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 645 c.p.c., art. 2697 c.c. e del D.L. 29 marzo 1993, n. 82, art. 4, convertito dalla L. 27 maggio 1993, n. 162, poiché la corte di appello avrebbe errato nell’addebitare l’onere della prova degli effettivi servizi di trasporto svolti, all’opponente il decreto ingiuntivo invece che all’opposto quale attore in senso sostanziale, valorizzando inoltre i visti di conformità apposti, dal Comitato provinciale dell’albo degli autotrasportatori per conto terzi, del Ministero dei trasporti e della navigazione, sulle fatture e sui documenti di trasporto ma non sui conteggi elaborati dalla parte istante.
2. I primi quattro motivi di ricorso, da esaminare congiuntamente per connessione, sono fondati, con assorbimento del quinto.
La giurisprudenza (Cass., 20/08/2013, n. 19225, pagg. 5-6) ha chiarito che il “trasporto di cose, quando il destinatario è persona diversa dal mittente, è un contratto tra mittente e vettore, parti in senso tecnico del contratto, a favore del terzo destinatario. Ma, a differenza del contratto a favore di terzo nel quale i diritti del terzo nascono, ex art. 1411 c.c., quando questi, a partire dal momento della stipulazione del contratto, dichiara di volerne profittare – nel caso di contratto tra mittente e vettore a favore del destinatario, i diritti e gli obblighi del destinatario verso il vettore nascono con la consegna delle cose a destinazione o con la richiesta di consegna, scaduto il termine in cui le cose sarebbero dovute arrivare (art. 1689 c.c.). Sino a quel momento, il contratto è efficace nei confronti del mittente/stipulante e a questo fanno capo i diritti nei confronti del vettore/promittente. Dopo quel momento sorgono diritti e doveri reciproci tra vettore e destinatario (art. 1689 c.c., comma 2). Il vettore può esigere i crediti dal destinatario al momento della riconsegna e, in primo luogo…, i crediti per il rimborso delle spese e il pagamento del corrispettivo del trasporto. Se il vettore esegue la consegna senza pretendere dal destinatario il pagamento di quanto dovuto per il trasporto, incorre nella perdita dell’azione verso il mittente, salva l’azione verso il destinatario (art. 1692 c.c.)”.
La richiamata disciplina avente il diverso oggetto delle tariffe c.d. a forcella, “ratione temporis” applicabile, non dispone alcuna deroga a tale normativa.
Logicamente si tratta di profili disponibili, e spesso nella prassi commerciale la deroga all’art. 1692 c.c., discende dalle note clausole “franco porto”, o equivalenti, che, in ipotesi, risultino essere pattuite.
Ciò posto, deve quindi valutarsi se l’eccezione di cui all’art. 1692 c.c., inerente alla titolarità passiva del rapporto obbligatorio qui in scrutinio, fosse sollevabile o meno, come fatto, con i motivi di appello.
La condivisibile giurisprudenza delle Sezioni Unite ha concluso, di recente, che la carenza di titolarità, attiva o passiva, del rapporto controverso, è rilevabile di ufficio dal giudice se risultante dagli atti di causa (Cass., Sez. U., 16/02/2016, n. 2951).
E’ stato chiarito (punti 24 e seguenti della motivazione delle appena ricordate Sezioni Unite) come il fatto che la questione dell’effettiva titolarità attiva e passiva del rapporto dedotto attenga al merito, rientrando nel problema della fondatezza della domanda, ossia della verifica della sussistenza del diritto quale fatto valere in giudizio, non significa che la difesa con la quale il convenuto neghi la sussistenza della titolarità costituisca un’eccezione in senso stretto. Anzi, attenendo appunto alla fondatezza della pretesa quale formulata, essa dev’essere verificata officiosamente dal giudice, come logico in base alle risultanze di causa. Motivo per cui l’eccezione del convenuto di non essere titolato passivo sarà anch’essa una mera difesa, in quanto tale non preclusa neppure in appello dall’art. 345 c.p.c..
Come spiegato dalle Sezioni Unite “è vero”, poi, “che dell’art. 167 c.p.c., comma 1, chiede al convenuto di proporre nella comparsa di risposta tutte le difese prendendo posizione sui fatti posti dall’attore fondamento delle domanda, ma tale disposizione, contrariamente a quanto sancito nel comma successivo, non prevede decadenza. Pertanto, la questione che non si risolva in un’eccezione in senso stretto può essere posta dal convenuto anche oltre quel termine e può essere sollevata d’ufficio dal giudice. Essa può anche essere oggetto di motivo di appello, perché l’art. 345 c.p.c., comma 2, prevede il divieto di nuove eccezioni che non siano rilevabili anche d’ufficio” (punti 50 e 51).
In tal senso deve escludersi che vi fosse preclusione, ex art. 345 c.p.c., a sollevare in appello l’eccezione fondata sull’art. 1692 c.c., afferente alla carenza di effettiva titolarità passiva del rapporto obbligatorio, così evitando – come è appena il caso di osservare – un giudicato interno sul punto.
Deve al contempo rilevarsi che le citate Sezioni Unite precisano come “la presa di posizione assunta dal convenuto con la comparsa di risposta, può avere rilievo, perché può servire a rendere superflua la prova dell’allegazione dell’attore in ordine alla titolarità del diritto. Ciò avviene nel caso in cui il convenuto riconosca il fatto posto dall’attore a fondamento della domanda oppure nel caso in cui articoli una difesa incompatibile con la negazione della sussistenza del fatto costitutivo” (punti 52 e 54).
Nel caso di specie, la corte territoriale (condivisa dalla controricorrente), dopo aver rilevato l’inammissibilità del motivo di gravame afferente all’art. 1692 c.c., per violazione dell’art. 345 c.p.c., afferma, delibando l'”an debeatur”, che vi sarebbe stata una “narrazione dei fatti alternativa e incompatibile con quella posta a base delle difese precedentemente svolte” (pag. 4, quarto capoverso, della sentenza). Tali difese erano inerenti alla carenza documentale di una fonte contrattuale che permettesse (pag. 4, secondo capoverso, della sentenza) “una esatta qualificazione dei rapporti intercorsi tra le parti”, oltre all’impossibilità di “determinare l’ammontare del credito vantato per carenza di dati specifici per l’effettuazione dei conteggi, unilateralmente indicati” dalla L..
La conclusione risulta erronea.
In primo luogo deve rilevarsi che, a ben vedere, con il motivo di appello incentrato sulla violazione dell’art. 1692 c.c., non si immutava la narrazione dei fatti in modo incompatibile con le precedenti difese, quali constatate dallo stesso giudice di appello, che comunque avevano sollevato il tema della mancanza di una definita fonte contrattuale che consentisse “un’esatta qualificazione dei rapporti intercorsi tra le parti” (ovvero “l’esatta origine contrattuale del credito ingiunto”, come si legge nella citazione in opposizione a decreto ingiuntivo, in cui si contestava “an” e “quantum”).
In secondo luogo, questa posizione non è incoerente con la successiva richiesta di fare applicazione al contratto o ai contratti di trasporto allegati dall’attore – ritenuti poi sussistenti in quanto non soggetti a forma scritta né per la validità né per la prova – della disciplina generale codicistica che in ogni caso non si poteva ritenere derogata.
In altre parole, non poteva ritenersi incompatibile con le posizioni complessivamente assunte dall’opponente l’invocazione della disciplina codicistica applicabile a quella che era la stessa prospettazione attorea dei fatti costitutivi quali, in quella cornice, risultanti dall’incarto processuale.
In terzo luogo, e per le medesime ragioni, non veniva in gioco una “relevatio” dell’attore dall’onere di provare quanto incompatibile con la posizione della controparte, poiché lo stesso attore non aveva nè ha mai allegato e neppure ipotizzato una pattuizione in deroga all’art. 1692 c.c.. Sul punto, con riferimento all’obiezione sollevata (infatti) in controricorso, deve rimarcarsi come non sia vero che l’eccezione (di carenza di titolarità passiva del debito) implicasse un ulteriore accertamento di fatto – quello della differenza tra mittente e destinatario del trasporto presupposta dalla norma non oggetto di allegazione ad opera della controparte, posto che la controricorrente, nel qualificare la fattispecie come contratto a favore di terzo, ammette essa stessa che non aveva come non ha mai revocato in dubbio il profilo in parola, quale infine accertato dalla corte territoriale senza incorrere, neppure in questa sede, in una censura incidentale.
Né si potrebbe dire, per altro verso, che alla conclusione osti la mancanza di un’immediata contestazione specifica della titolarità passiva del rapporto, poiché “il semplice difetto di contestazione non impone un vincolo di meccanica conformazione, in quanto il giudice può sempre rilevare l’inesistenza della circostanza allegata da una parte anche se non contestata dall’altra, ove tale inesistenza emerga dagli atti di causa e dal materiale probatorio raccolto. Del resto, se le prove devono essere valutate dal giudice secondo il suo prudente apprezzamento (art. 116 c.p.c.), “a fortiori” ciò vale per la valutazione della mancata contestazione” (Cass., Sez. U., n. 2951 del 2016, cit., punto 54).
In altri termini: a) una pattuizione in deroga all’art. 1692 c.c., non doveva essere contestata per essere esclusa (o se si vuole è irrilevante tale mancata contestazione), poiché la sua inesistenza emergeva dalle stesse allegazioni attoree; b) la stessa non contestazione, concernendo il fatto e non la disciplina giuridica ad esso applicabile, non può ostare mai a che di quest’ultima disciplina si faccia applicazione ai fatti quali esattamente allegati dalla (contro)parte medesima.
Consegue l’accoglimento per quanto di ragione dei primi quattro motivi di ricorso, con assorbimento del quinto, e la conseguente cassazione della decisione gravata in relazione ai motivi accolti.
3. Spese al definitivo.
P.Q.M.
La Corte accoglie per quanto di ragione i primi quattro motivi di ricorso, assorbito il quinto, cassa la decisione impugnata in relazione ai motivi accolti, e rinvia alla corte di appello di Campobasso perché, in diversa composizione, si pronunci anche sulle spese di legittimità.
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