Corte di Cassazione sentenza n. 11763 depositata il 15 maggio 2018
ASSICURAZIONE – NOZIONE, CARATTERI, DISTINZIONI – DISPOSIZIONI GENERALI – RISCHIO ASSICURATO – DICHIARAZIONI DEL CONTRAENTE – RETICENZE ED INESATTEZZE – CON DOLO O COLPA GRAVE – IMPUGNAZIONI – INESISTENZA DEL RISCHIO PRIMA DELLA CONCLUSIONE DEL CONTRATTO – CONDIZIONI – CONSEGUENZE – NULLITA’ – CONFIGURABILITA’
FATTO E DIRITTO
Rilevato che, con sentenza resa in data 26/2/2016, la Corte d’appello di Cagliari, in accoglimento dell’appello proposto da C.M., C.E., C.V., M.A., M.G., T.A., D.M. e D.S. (tutti eredi di M.M.), e in riforma della sentenza di primo grado, ha dichiarato nulla la polizza-vita contratta da M.M. con Poste Vita s.p.a. a beneficio di O.M.A., con la condanna di quest’ultima alla restituzione, in favore degli eredi della M., delle somme alla stessa liquidate da Poste Vita s.p.a. in esecuzione della polizza dichiarata nulla;
che, a fondamento della decisione, la corte territoriale ha evidenziato come, al momento della sottoscrizione della polizza, le condizioni di salute della M. fossero tali da rendere pressoché certa l’imminenza del relativo decesso (effettivamente avvenuto cinque giorni dopo), con la conseguente insussistenza di alcun rischio a fondamento dell’assicurazione stipulata, da ritenersi pertanto nulla ai sensi dell’art. 1895 c.c.;
che, sotto altro profilo, la corte d’appello, assorbita ogni altra domanda proposta dagli eredi della M. in relazione all’operazione negoziale impugnata, ha condannato la O. a restituire ai ridetti eredi le residue somme di pertinenza della de cuius ancora in possesso della stessa O., disattendendo, infine, ogni domanda proposta dai medesimi eredi della M. nei confronti di Poste Italiane s.p.a. e di Poste Vita s.p.a., siccome, la prima, estranea ad ogni rapporto tra le parti e, la seconda, immune da ogni responsabilità in ragione dell’avvenuta esecuzione della polizza;
che, avverso la sentenza d’appello, O.M.A. propone ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi d’impugnazione;
che C.M., C.E., C.V., M.A., M.G., T.A., D.M. e D.S., resistono con controricorso, proponendo a loro volta ricorso incidentale affidato a sei motivi di censura, illustrati da successiva memoria;
che Poste Italiane s.p.a. e Poste Vita s.p.a. resistono con controricorso;
che nessuno degli altri intimati, eredi di C.D. (già parte del giudizio di primo grado), ha svolto difese in questa sede;
che Poste Vita s.p.a. ha depositato memoria;
considerato che, con i quattro motivi d’impugnazione proposti (congiuntamente e unitariamente trattati in ricorso), la O. censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 1895 c.c., nonché per violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, “illogicità delle conclusioni”, vizio di motivazione e “mancata analisi di punti di fatto e di diritto decisivi”, per avere la corte territoriale erroneamente negato la sussistenza del rischio assicurato al momento della conclusione della polizza oggetto d’esame, dovendo recisamente escludersi il ricorso, a tale momento, di alcuna certezza (tanto soggettiva, quanto oggettiva) in ordine alla presumibile data del decesso della M., ed avendo, al riguardo, la corte territoriale omesso di esaminare talune circostanze di fatto decisive, idonee a comprovare l’effettiva sussistenza del rischio assicurato al momento della stipulazione della polizza;
che, sotto altro profilo, la ricorrente principale si duole dell’avvenuta pronuncia, nei propri confronti, della condanna alla restituzione delle somme ricevute in esecuzione della polizza dichiarata nulla, attesa la propria estraneità alla conclusione del contratto assicurativo;
che, infine, la O. censura la sentenza impugnata per avere la corte territoriale erroneamente condannato la stessa al rimborso delle somme già di pertinenza della de cuius e residuate in possesso della O., trattandosi di denaro a quest’ultima consegnato a titolo di donazione modale;
che i motivi d’impugnazione sono solo parzialmente fondati nei termini di seguito indicati;
che, al riguardo, con specifico riferimento alle doglianze relative alla contestata violazione dell’art. 1895 c.c., è appena il caso di evidenziare come, attraverso le censure indicate (sotto entrambi i profili di cui all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), la ricorrente si sia sostanzialmente spinta a sollecitare la corte di legittimità a procedere a una rilettura nel merito degli elementi di prova acquisiti nel corso del processo, in contrasto con i limiti del giudizio di cassazione e con gli stessi limiti previsti dall’art. 360 c.p.c., n. 5, sul piano dei vizi rilevanti della motivazione;
che, in primo luogo, deve ritenersi corretta l’affermazione in diritto, fatta propria dal giudice a quo, in ordine alla nullità, per inesistenza del rischio assicurato (ex art. 1895 c.c.), della polizza di assicurazione sulla vita oggetto d’esame, siccome conclusa in un momento in cui le circostanze di fatto esistenti dovevano ritenersi ragionevolmente tali da escludere, in modo obiettivo, qualunque incertezza circa il prossimo decesso dell’assicurata;
che, sul punto, il principio indicato deve ritenersi coerente con l’insegnamento della giurisprudenza di legittimità (che il Collegio condivide e fa proprio, al fine di assicurarne continuità) ai sensi del quale, ai sensi dell’art. 1895 c.c., deve parlarsi di inesistenza del rischio (con la conseguente nullità del contratto di assicurazione) allorché, prima della conclusione del contratto, non si sia presentato come è possibile il futuro danno o evento attinente alla vita umana, ovvero non sia stato incerto almeno il momento in cui essi si sarebbero verificati (cfr. Sez. L, Sentenza n. 2442 del 09/09/1974, Rv. 370844 01);
che, nel caso di specie, proprio la circostanza della ragionevole esclusione, al momento della conclusione del contratto di assicurazione sulla vita, di alcuna incertezza circa il prossimo decesso dell’assicurata, vale a escludere che potesse ritenersi sussistente il rischio posto a base del negozio assicurativo concluso;
che, ciò posto, l’odierna ricorrente risulta aver prospettato le proprie doglianze attraverso la denuncia di un’errata ricognizione della fattispecie concreta, e non già della fattispecie astratta prevista dalla norma di legge richiamata (operazione come tale estranea al paradigma del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3), neppure coinvolgendo, la prospettazione critica della ricorrente, l’eventuale falsa applicazione della norma de qua sotto il profilo dell’erronea sussunzione giuridica di un fatto in sé incontroverso, insistendo propriamente la O. nella prospettazione di una diversa ricostruzione dei fatti di causa, rispetto a quanto operato dal giudice a quo;
che, quanto al preteso vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, è appena il caso di sottolineare come lo stesso possa ritenersi denunciabile per cassazione, unicamente là dove attenga all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia);
che, sul punto, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il fatto storico, il cui esame sia stato omesso, il dato, testuale o extra-testuale, da cui esso risulti esistente, il come e il quando tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua decisività, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (cfr. per tutte, Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629831);
che, pertanto, dovendo ritenersi definitivamente confermato il principio, già del tutto consolidato, secondo cui non è consentito richiamare la corte di legittimità al riesame del merito della causa, l’odierna doglianza della ricorrente principale deve ritenersi inammissibile, siccome diretta a censurare, non già eventuali omissioni rilevanti ai fini dell’art. 360, n. 5 cit., bensì la congruità del complessivo risultato della valutazione operata nella sentenza impugnata con riguardo all’intero materiale probatorio, che, viceversa, il giudice a quo risulta aver elaborato in modo completo ed esauriente, sulla scorta di un discorso giustificativo dotato di adeguata coerenza logica e linearità argomentativa, senza incorrere in alcuno dei gravi vizi d’indole logico-giuridica unicamente rilevanti in questa sede;
che, viceversa, deve ritenersi fondata la doglianza avanzata dalla O. in ordine al mancato rilievo, da parte della corte territoriale, del proprio difetto di legittimazione passiva in relazione alla condanna al rimborso, in favore degli eredi della M., delle somme corrisposte in suo favore in esecuzione della polizza dichiarata nulla;
che, infatti, una volta venuto meno il titolo giustificativo del pagamento dell’indennità relativa a una polizza dichiarata nulla, il soggetto attivamente legittimato a rivendicarne la restituzione deve ritenersi unicamente quello che tali somme ebbe effettivamente a corrispondere in favore del beneficiario, ossia, nel caso di specie, Poste Vita s.p.a. quale compagnia di assicurazioni ch’ebbe a dare esecuzione, in favore della O., della polizza nulla;
che, sulla base delle medesime considerazioni, dovrà specularmente ritenersi che, rispetto alla domanda di restituzione, in favore degli eredi della M., delle somme da quest’ultima versate a titolo di premio assicurativo, il soggetto passivamente legittimato sarà unicamente la società contraente la polizza (nella specie, Poste Vita s.p.a.) che tale premio ebbe concretamente a incassare in occasione della stipulazione del contratto;
che, pertanto, in accoglimento di tale specifico punto della doglianza in esame, dovrà pronunciarsi la cassazione della sentenza impugnata, nella parte in cui ha condannato la O. al pagamento, in favore degli eredi della M., delle somme ricevute in esecuzione della polizza dichiarata nulla;
che, infine, dev’essere dichiarata l’inammissibilità delle doglianze (peraltro genericamente) rassegnate dalla O. con riguardo alla condanna pronunciata a suo carico per la restituzione delle somme già di pertinenza della de cuius residuate in suo possesso, tali censure risolvendosi, non già nella denuncia di asseriti vizi giuridici della sentenza impugnata o dell’eventuale omesso esame, ad opera del giudice a quo, di fatti effettivamente decisivi ai fini della decisione, bensì nell’allegazione di un preteso acquisto, a titolo di donazione modale, delle somme già di pertinenza della de cuius e residuate in suo possesso, senza che di tale causa adquirendi l’odierna ricorrente principale abbia fornito, in osservanza al principio di necessaria e completa allegazione processuale (ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 6), il riscontro documentale dell’avvenuta tempestiva rivendicazione di riconoscimento nel corso del giudizio;
che, con il primo motivo della propria impugnazione, i ricorrenti incidentali si dolgono della nullità della sentenza d’appello per violazione dell’art. 112 c.p.c., e omessa motivazione (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4), per avere la corte territoriale omesso di pronunciarsi sulla domanda proposta dagli eredi della M. in ordine all’accertamento della nullità della disposizione con la quale la M. ebbe a prelevare talune somme dal libretto postale alla stessa intestato, trattandosi di un atto funzionalmente collegato alla stipulazione della polizza dichiarata nulla, conseguentemente omettendo di pronunciare la condanna di Poste Italiane s.p.a. al rimborso delle somme movimentate, avendo i relativi funzionari nella specie agito anche nell’ambigua veste di delegati di Poste Vita s.p.a. allo scopo di pervenire alla conclusione della polizza;
che il motivo è infondato, benché suscettibile di giustificare la correzione e/o integrazione delle ragioni di diritto indicate a fondamento del provvedimento impugnato, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 4;
che, infatti, deve ritenersi che il giudice a quo, nel rigettare le pretese avanzate dagli odierni ricorrenti incidentali nei confronti di Poste Italiane s.p.a. sul presupposto dell’estraneità di quest’ultima al contratto di assicurazione impugnato dagli odierni istanti, abbia inteso disattendere, sulla base di tale motivazione, anche la domanda (proposta in contraddittorio con Poste Italiane s.p.a.) avente ad oggetto l’accertamento della nullità della disposizione con la quale la M. ebbe a prelevare talune somme dal libretto postale dalla stessa aperto presso Poste Italiane s.p.a. al fine di destinarle al pagamento del premio relativo al contratto di assicurazioni stipulato dalla M. con Poste Vita s.p.a.;
che la decisione di rigetto su tale domanda, se conforme al diritto nel dispositivo, deve ritenersi tuttavia tale da imporne la correzione delle motivazioni (ex art. 384 c.p.c., comma 4);
che, infatti, le ragioni di infondatezza della ridetta domanda dagli odierni ricorrenti (diretta all’accertamento della nullità della disposizione con la quale la M. ebbe a prelevare talune somme dal libretto postale alla stessa intestato, trattandosi di un atto funzionalmente collegato alla stipulazione della polizza dichiarata nulla) risalgono al rilievo per cui l’atto con il quale il titolare di un libretto postale richiede all’istituto emittente il prelievo di somme depositate su tale libretto, non costituisce espressione di alcuna volontà negoziale, limitandosi bensì a integrare gli estremi di una disposizione meramente esecutiva di diritti e di obblighi che risalgono al negozio costitutivo del rapporto instaurato con l’emissione del libretto;
che conseguentemente, la disposizione di prelievo impartita dal titolare del libretto deve ritenersi insuscettibile di assumere alcun significato causale diverso da quello proprio del rapporto in cui tale disposizione si inquadra, senza alcuna possibilità di riconoscere, alle eventuali iniziative negoziali realizzate attraverso l’impiego delle somme prelevate, la virtù di incidere sulla validità della stessa disposizione di prelievo, in ragione di pretese disfunzioni causali dettate dall’eventuale influenza del collegamento negoziale;
che, con il secondo e il terzo motivo, i ricorrenti incidentali censurano la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 1895, 2033 e 1920 c.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), per avere la corte territoriale erroneamente omesso di pronunciare la condanna di Poste Italiane s.p.a. e di Poste Vita s.p.a. al rimborso delle somme versate dalla M. in esecuzione della polizza nulla;
che i motivi sono parzialmente fondati;
che, infatti, mentre da un lato va esclusa la fondatezza delle doglianze avanzate dai ricorrenti incidentali nei confronti di Poste Italiane s.p.a. (una volta accertato che la stessa ebbe validamente e legittimamente a dare esecuzione alle disposizioni di prelievo della M. dal libretto postale alla stessa intestato, ed avendo la corte territoriale correttamente rilevato l’estraneità di Poste Italiane s.p.a. al rapporto assicurativo dedotto in giudizio), dall’altro, occorre rilevare come la doglianza avanzata nei confronti di Poste Vita s.p.a. sia fondata, dovendo nella specie ribadirsi quanto in precedenza osservato circa la necessità di riconoscere, quale unico soggetto passivamente legittimato rispetto alla domanda di restituzione delle somme versate dalla M. in esecuzione della polizza nulla, la sola società contraente la polizza (nella specie, Poste Vita s.p.a.) che tale premio ebbe concretamente a incassare in occasione della stipulazione del contratto;
che, con il quarto motivo, i ricorrenti incidentali censurano la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 587, 700, 1722 e 2033 c.c., (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), per avere la corte territoriale erroneamente escluso l’obbligo della O. di restituire talune somme di pertinenza della M. di cui la stessa si trovava in possesso al momento del suo decesso sul presupposto della relativa utilizzazione al fine di dare esecuzione a taluni incarichi ricevuti dalla stessa M., atteso che, con la morte di quest’ultima, ogni mandato della stessa doveva ritenersi irrimediabilmente estinto, potendo al più ravvisarsi gli estremi di una disposizione testamentaria del tutto nulla per difetto di forma;
che, con il quinto motivo, i ricorrenti incidentali si dolgono della nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 112 c.p.c., e omessa motivazione (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4), per avere la corte territoriale – pur quando potesse riconoscersi l’esistenza di un valido mandato della M. – omesso di dettare la benché minima motivazione sul punto concernente le contestazioni sollevate dagli eredi M. in relazione ai contenuti del rendiconto fornito dalla O. in ordine alla gestione delle somme della de cuius rimasto in possesso della stessa al momento del decesso della M.;
che, con il sesto motivo, i ricorrenti incidentali censurano la sentenza impugnata per omesso esame di fatti decisivi controversi (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5), per avere la corte territoriale trascurato l’esame del complesso degli elementi di fatto richiamati in ricorso in relazione alla gestione delle somme della M. da parte della O., la cui considerazione avrebbe condotto a una diversa decisione in ordine alla determinazione delle somme che la O. avrebbe dovuto restituire in favore degli odierni ricorrenti incidentali;
che il quarto motivo è fondato, nei termini che seguono, e suscettibile di assorbire la rilevanza del quinto e del sesto;
che, al riguardo, secondo l’insegnamento della giurisprudenza di questa Corte (qui condiviso e fatto proprio, al fine di assicurarne continuità), nel nostro ordinamento giuridico deve ritenersi valido ed efficace il mandato conferito ed accettato durante la vita del mandante avente a oggetto un incarico (anche se di contenuto patrimoniale) da eseguirsi dal mandatario dopo la morte del mandante stesso, per conto di questo (mandato post mortem exequendum: ad esempio, consegna al terzo donatario di un bene già donatogli in vita dal mandante);
che, tuttavia, la validità del mandato da eseguirsi post mortem deve ritenersi necessariamente subordinata alla circostanza che la natura dell’affare non sia in contrasto con le norme fondamentali che disciplinano la successione mortis causa e, in ispecie, la successione testamentaria;
che nel nostro diritto, infatti, la volontà del defunto, relativamente ai beni dell’eredità, non può operare, post mortem, che come volontà testamentaria, nelle forme, nei modi e nei limiti determinati dalla legge;
che, conseguentemente, mentre deve ritenersi valido ed efficace un mandato post mortem exequendum destinato a giustificare, dopo la morte del mandante, la sola esecuzione materiale di atti di disposizione già perfezionati in vita dal de cuius (ossia nella forma dell’adempimento di obbligazioni già assunte), dev’essere negata alcuna validità ad un mandato contrattuale che, in qualsiasi forma e modo, importi, attraverso l’esecuzione da parte del mandatario dopo la morte del mandante, una trasmissione mortis causa di beni patrimoniali, inerenti all’eredità, a favore di terze persone, trattandosi, in tale ultimo caso, di atti di disposizione mortis causa di beni ereditari che devono necessariamente rivestire la forma propria delle disposizioni testamentarie (v. Sez. 3, Sentenza n. 2804 del 04/10/1962, Rv. 254164 – 01; cfr. altresì Sez. 2, Sentenza n. 719 del 24/04/1965, Rv. 311353 – 01);
che, ciò premesso, nel caso di specie, avendo la corte d’appello escluso la restituzione, da parte della O., delle somme già di pertinenza della de cuius e rimaste nella sua disponibilità, senza distinguere tra atti di disposizione aventi natura meramente esecutiva di impegni già assunti in vita dalla M., e atti dispositivi di beni ereditari (essendosi il giudice d’appello limitato a un generico riferimento a “spese sostenute per adempiere alle disposizioni della defunta e funerarie”: cfr. pag. 11 della sentenza impugnata), rilevato il difetto di alcuna formale disposizione testamentaria della M., in accoglimento della doglianza in esame, dovrà pronunciarsi la cassazione della sentenza impugnata, nella parte in cui ha determinato, nell’importo di Euro 3.371,00, l’oggetto della condanna della O. alla restituzione, in favore degli eredi della M., delle somme di denaro, già di pertinenza della de cuius (e rimaste in suo possesso), dovendo provvedersi alla revisione di ciascuna spesa sostenuta al fine di verificarne la legittimità alla luce dei principi di diritto richiamati;
che, sulla base del complesso delle argomentazioni che precedono, rilevata la parziale fondatezza (nei limiti di cui in motivazione) del ricorso principale e del ricorso incidentale, dev’essere pronunciata la cassazione della sentenza impugnata in relazione alle censure accolte, con rinvio alla Corte d’appello di Cagliari, cui è altresì rimesso di provvedere alla regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso principale e il ricorso incidentale nei termini di cui in motivazione; cassa in relazione e rinvia alla Corte d’appello di Cagliari, cui è altresì rimesso di provvedere alla regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
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