Corte di Cassazione sentenza n. 1192 depositata il 18 gennaio 2018

FALLIMENTO – SOCIETà E CONSORZI – CONSORZI STABILI – RAPPORTO TRA CONSORZIO E CONSORZIATA – MANDATO – ESCLUSIONE – RAGIONI – RICONOSCIMENTO DEL PRIVILEGIO – ESCLUSIONE

RILEVATO

che:

con decreto n. 90041 del 2011 il Tribunale di Treviso respingeva l’opposizione allo stato passivo proposta da E. Impianti s.r.l. volta ad ottenere l’ammissione al passivo del fallimento del (OMISSIS) per l’importo di Euro 544.990,82, oltre Iva, in prededuzione o in subordine in privilegio ex art. 2721 c.c. o in subordine in prededuzione quantomeno per la minor somma di Euro 30.552,15 rinveniente dall’esecuzione di lavori assunti in regime di appalto pubblico dal Consorzio ed in parte asseritamente eseguiti dopo la dichiarazione di fallimento;

osservava il Tribunale che correttamente il giudice delegato aveva ammesso al passivo la somma di Euro 183.049,01 in via chirografaria in quanto andava esclusa nel caso in esame la sussistenza del privilegio di cui all’art. 1721 c.c.: il vincolo consortile, osservava il Tribunale, non partecipa della natura del mandato che, da un lato, si caratterizza per l’estraneità dell’interesse perseguito dal mandatario e dall’altro ha ad oggetto il compimento di uno o piu’ atti giuridici (laddove l’appalto si connota per un’attività meramente materiale ed esecutiva); pur volendo poi considerare il rapporto in termini di mandato, sarebbe il consorzio ad assumere la veste di mandatario, in quanto agente per conto e nell’interesse delle singole consorziate, come si ricava dalle previsioni statutarie;

nemmeno poteva essere condivisa, secondo il Tribunale, la domanda di riconoscimento della prededuzione, atteso che, verificatosi per effetto del fallimento lo scioglimento del contratto di appalto, ai sensi della L. Fall., art. 81, comma 2, l’eventuale esecuzione dei lavori da parte dell’opponente, successivamente all’apertura del concorso, non poteva originare alcun credito prededucibile, in assenza di autorizzazione all’esercizio provvisorio L. Fall., ex art. 104; uguale sorte doveva avere la domanda di indennizzo a titolo di indebito arricchimento, sia per la natura residuale dell’istituto sia in difetto di prova dell’effettiva esistenza dei requisiti di cui all’art. 2041 c.c.;

il Tribunale, dunque, concludeva riconoscendo al ricorrente un mero diritto di credito il cui oggetto era rappresentato dal corrispettivo dovuto dal committente per l’esecuzione dei lavori appaltati al consorzio e da questo assegnati ai consorziati, corrispettivo correttamente riconosciuto dal giudice delegato in quanto desumibile dalla documentazione versata in causa dal fallimento e non specificamente contestata dal ricorrente; avverso tale decreto E. Impianti s.r.l. propone ricorso per cassazione affidato a quattro motivi; la curatela resiste mediante controricorso; il PG ha depositato la requisitoria in data 10.7.2017 domandando la trattazione del ricorso in pubblica udienza. La curatela ha depositato la memoria.

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo, concernente la richiesta di prededuzione del credito, il ricorrente lamenta la violazione di legge e l’omessa, insufficiente ed erronea motivazione, avendo il Tribunale trascurato che nell’ipotesi di consorzio stabile con rilevanza esterna, costituito per gli scopi previsti dalla L. n. 109 del 1994, le somme dovute dall’ente appaltante per i lavori eseguiti, ancorche’ formalmente transitanti per i conti del consorzio, non entrano a far parte del fondo consortile, posto a garanzia dei creditori del consorzio, e quindi non rientrano nell’attivo fallimentare, ma sono di pertinenza esclusiva della consorziata esecutrice dei lavori;

con il secondo motivo, riguardante la richiesta di privilegio ex art. 1721 c.c., il ricorrente deduce la violazione di legge e l’omessa e insufficiente motivazione, avendo il giudice di merito trascurato il rilievo che il rapporto negoziale che si instaura tra il consorzio e la consorziata e’ assimilabile al mandato in rem propriam ove il consorzio stabile assume la veste di mandante e la consorziata della mandataria, con conseguente applicazione dell’art. 1721 c.c. in ordine al diritto della mandataria di soddisfarsi sui crediti pecuniari sorti dall’esecuzione dei lavori;

con il terzo motivo, riguardante i lavori eseguiti dopo la dichiarazione di fallimento, lamenta la violazione di legge (L. Fall., art. 104 e/o art. 2041 c.c.), nonche’ l’assenza di motivazione di un punto decisivo, avendo il Tribunale trascurato che ove la consorziata assegnataria ed esecutrice dei lavori continui l’attività per mancata informazione dell’intervenuto fallimento, la fattispecie dovrebbe considerarsi assimilabile all’esercizio provvisorio previsto dalla L. Fall., art. 104, ancorche’ non espressamente autorizzato, con conseguente diritto alla prededuzione riguardo al compenso pagato dall’ente appaltante (o quantomeno, in via subordinata, diritto all’indennizzo previsto dall’art. 2041 c.c.);

con il quarto motivo, concernente la quantificazione del complessivo credito, il ricorrente lamenta l’assenza o erroneità della motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, avendo il Tribunale basato il suo giudizio su una corrispondenza tra quanto riconosciuto dal consorzio in sede di chiusura della contabilità e l’importo per il quale il ricorrente era stato ammesso al passivo, corrispondenza, a dire del Tribunale, non specificamente contestata dal ricorrente;

va preliminarmente osservato che la trattazione in sede camerale non preclude al Collegio l’esame di una questione nuova, qual e’ nella specie quella concernente la natura giuridica del consorzio stabile e quella del regime dei crediti vantati dal consorziato nei riguardi del fallimento del consorzio, intendendosi in questa sede dare continuità all’orientamento recentemente espresso da Cass. n. 8869 del 2017 secondo cui “non sussiste alcun obbligo, ne’ vi sono ragioni di opportunità, perche’, all’esito dell’adunanza in camera di consiglio, il collegio rimetta la causa che preveda la trattazione di questioni rilevanti o, comunque, prive di precedenti in pubblica udienza, mediante una sorta di mutamento del rito di cui all’art. 380-bis c.p.c., comma 1. Invero, una simile soluzione sarebbe priva di costrutto, essendo la trattazione con il rito camerale pienamente rispettosa sia del diritto di difesa delle parti, le quali, tempestivamente avvisate entro un termine adeguato del giorno fissato per l’adunanza, possono esporre compiutamente i propri assunti, sia del principio del contraddittorio, anche nei confronti del P.G., sulle cui conclusioni e’ sempre consentito svolgere osservazioni scritte”;

il primo motivo, concernente la richiesta di riconoscimento della prededuzione riguardo ai crediti maturati dal consorziato in relazione ai lavori affidatigli dal consorzio stabile, e’ infondato;

i consorzi stabili, costituenti una delle novità previste dalla L. n. 109 del 1994, sono quei consorzi costituiti tra almeno tre imprese che abbiano stabilito di operare in modo congiunto nel settore dei contratti pubblici per un periodo non inferiore a cinque anni, istituendo a tal fine una comune struttura di impresa e si differenziano da quelli c.d. ordinari, operanti nel settore degli appalti pubblici, in quanto mentre questi ultimi nascono e cessano (al pari dell’associazione temporanea di imprese) in vista di un’unica operazione, i primi sono costituiti in funzione di un numero potenzialmente illimitato di operazioni;

i consorzi stabili, dunque, devono disporre di un’autonoma struttura d’impresa attraverso cui essere in grado d’eseguire direttamente i lavori affidati senza necessariamente doversi avvalere delle strutture aziendali delle imprese associate, facoltà quest’ultima costituente una semplice modalità operativa alternativa (arg. D.Lgs. n. 163 del 2006, ex art. 36, commi 1 e 2), essendo demandato al regolamento (cfr. D.P.R. n. 207 del 2010, art. 86, comma 8) il potere di stabilire le condizioni ed i limiti alla facoltà del consorzio di eseguire le prestazioni anche tramite affidamento ai consorziati, “fatta salva la responsabilità solidale degli stessi nei confronti del soggetto appaltante o concedente” (D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 36, comma 2);

anche se la giurisprudenza si e’ prevalentemente occupata dei consorzi stabili a fini diversi da quelli che occupano, mirando a risolvere la questione se i requisiti di partecipazione alla gara possano sussistere esclusivamente in capo al consorzio ovvero debbano ricorrere anche in capo alle singole imprese consorziate (cfr. da ultimo Cons. St. n. 849 del 2017), un aspetto che non puo’ essere messo in discussione riguarda l’autonomia, sul piano giuridico e organizzativo, del consorzio rispetto alle imprese consorziate, venendo in rilievo un ente collettivo dotato di autonoma organizzazione, qualificazione e soggettività; e la circostanza che il consorzio stabile costituisce un autonomo soggetto di diritto dotato di autonoma qualificazione e di un proprio patrimonio (come si desume dalla previsione concernente la responsabilità solidale verso la stazione appaltante), impedisce ogni assimilazione tra consorziate del consorzio stabile e imprese mandanti di raggruppamenti temporanei di impresa, proprio per la ontologica differenza di struttura tra il primo e i secondi, per converso privi di personalità giuridica autonoma;

il riconoscimento dell’autonomia patrimoniale in capo al consorzio stabile induce, allora, a disattendere la tesi, sostenuta dal ricorrente, secondo cui (valorizzando la previsione contenuta nell’art. 11 del regolamento interno del consorzio secondo cui “il (OMISSIS), quale contraente del contratto di appalto fa transitare nei suoi conti i relativi corrispettivi”) le somme riscosse nei riguardi del committente apparterrebbero in via esclusiva alla consorziata incaricata di eseguire il lavori, dovendo al contrario riconoscersi nel Consorzio, proprio in virtu’ dell’indicata autonomia, l’unico soggetto legittimato ad agire nei confronti della stazione appaltante ed il reale titolare delle somme riscosse in esecuzione del contratto;

ne consegue che la pretesa prededuzione sulle somme incamerate dal consorzio, fondata sulla qualificazione del consorzio alla stregua di mero detentore nell’interesse altrui, resta priva di giuridico fondamento;

il secondo motivo, che fa leva sulla richiesta di riconoscimento in favore della consorziata del privilegio di cui all’art. 1721 c.c., e’ infondato;

la pretesa si fonda sull’idea che il rapporto tra il consorzio e la consorziata, incaricata dell’esecuzione del contratto, possa essere ricostruito in termini di un mandato, con conseguente diritto del mandatario “di soddisfarsi sui crediti pecuniari sorti dagli affari che ha conclusi, con precedenza sul mandante e sui creditori di questo”;

tale ricostruzione non puo’ essere condivisa atteso che se vi e’ traccia di un rapporto di mandato, nel quadro complessivo del rapporto consortile, essa va ricercata nell’ambito del contratto di consorzio e non già con riguardo al momento esecutivo;

come correttamente ritenuto dal giudice del merito, e’ al momento della nascita del consorzio che, infatti, puo’ essere ravvisata l’esistenza di un incarico conferito dalle consorziate di stipulare contratti di appalto, eventualmente con la previsione della facoltà per il consorzio di eseguire le prestazioni anche tramite affidamento alle consorziate, come si desume senza equivoci dalla lettura dell’art. 3 del regolamento interno del consorzio secondo il quale “il (OMISSIS) e’ per statuto incaricato di far operare le ditte consorziate in modo congiunto nel settore dei lavori pubblici, attraverso la stipulazione di contratti di appalto per loro conto” e “le ditte consorziate, aderendo al (OMISSIS) gli conferiscono l’incarico di stipulare contratti di appalto per loro conto ed in nome del consorzio stabile e di indicare, di volta in volta, a quali tra loro assegnare e far eseguire il lavori, senza che cio’ costituisca subappalto e ferma la responsabilità sussidiaria e solidale delle stesse nei confronti della stazione appaltante”;

ne consegue, come si desume chiaramente sia dalle previsioni regolamentari interne sia dalle riflessioni svolte dalla dottrina piu’ accreditata che si e’ occupata della questione, che il vincolo in forza del quale le consorziate provvedono a dare esecuzione al contratto stipulato non si giustifica, sotto il profilo negoziale, nell’assegnazione che non puo’ essere considerata un contratto (e quindi ne’ un subappalto ne’ un mandato) ma solo un atto unilaterale recettizio, bensi’ nel momento antecedente all’assegnazione e costituito dalla costituzione o dall’adesione al consorzio, unico atto negoziale contenente l’incarico di stipulare il contratto di appalto per conto delle consorziate e l’ulteriore incarico di determinare di volta in volta a quale tra esse gli appalti assunti dovranno essere “assegnati”;

non potendosi quindi condividere la ricostruzione del rapporto di assegnazione in termini di mandato, la richiesta di riconoscimento del privilegio di cui all’art. 1721 c.c. non puo’ essere condivisa;

il terzo motivo e’ infondato non rispondendo al diritto positivo l’affermazione del ricorrente secondo cui ove la consorziata assegnataria ed esecutrice dei lavori continui l’attività per mancata informazione dell’intervenuto fallimento, la fattispecie dovrebbe considerarsi assimilabile all’esercizio provvisorio previsto dalla L. Fall., art. 104, ancorche’ non espressamente autorizzato;

l’ulteriore aspetto sul quale si articola il terzo mezzo (e riguardante la pretesa di indennizzo ex art. 2041 c.c. per l’indebito arricchimento ottenuto della procedura) e’ infondato venendo in rilievo una pretesa spendibile unicamente nei riguardi della stazione appaltante, unico soggetto effettivamente arricchito in ragione dell’esecuzione dei lavori;

il quarto motivo, riguardante la quantificazione del complessivo credito del ricorrente, tende ad evidenziare che, pur avendo il Tribunale attestato che l’importo ammesso al passivo era corrispondente alla somma riconosciuta al consorzio in sede di chiusura della contabilità, quest’ultima somma era stata pero’ arbitrariamente ridotta dalla stazione appaltante a causa da vizi delle opere, da danni per ritardo e da mancata fornitura delle certificazioni delle opere eseguite e tale riduzione era stata supinamente accettata dalla curatela; inoltre il Tribunale avrebbe errato nel dichiarare che non sussistevano specifiche contestazioni mosse al riguardo dall’opponente, se e’ vero che piu’ volte nell’atto di opposizione il ricorrente aveva precisato di contestare la colpevole accettazione da parte della procedura di decurtazioni illegittime ed arbitrarie;

il motivo e’ infondato;

in primo luogo attraverso tale prospettazione il ricorrente tende ad introdurre doglianze, concernenti l’esatta quantificazione del credito vantato dal consorzio nei riguardi della stazione appaltante, che andrebbero fatte valere proprio nei confronti di quest’ultima (salvo a voler riqualificare la pretesa in termini risarcitori nei riguardi della curatela, pretesa che tuttavia non e’ mai stata compiutamente esplicitata dal ricorrente);

in secondo luogo e con riferimento alla circostanza che il Tribunale avrebbe errato nel ritenere sussistente in capo al ricorrente un contegno di non contestazione, e’ evidente, seguendo il percorso letterale seguito dal giudice di prime cure, che mentre il Tribunale ha riferito la non contestazione alla corrispondenza tra gli importi ammessi al passivo e quanto riconosciuto dal consorzio in sede di chiusura della contabilità, il ricorrente tende invece in questa sede a valorizzare la contestazione da lui mossa proprio ai conteggi operati dal consorzio, soffermandosi dunque su un profilo del tutto diverso rispetto a quello preso in considerazione dal giudice di prime cure;

le considerazioni che precedono impongono il rigetto del ricorso; le spese della presente fase di legittimità devono essere compensate attesa la novità delle questioni affrontate.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e dichiara interamente compensate tra le parti le spese relative al presente giudizio di legittimità.