Corte di Cassazione sentenza n. 13138 depositata il 25 maggio 2018
TRIBUTI – ACCERTAMENTO – RISCOSSIONE – FERMO – IMPUGNABILITA’
FATTI DI CAUSA
In data 6 febbraio 2007 l’Agente per la riscossione per la provincia di Napoli Equitalia Polis s.p.a. notificava a U.P. un preavviso di iscrizione di fermo su beni mobili registrati emesso ai sensi dell’art. 86 del d.P.R. n. 602 del 1973 sulla base di alcune cartelle di pagamento in precedenza notificate allo stesso P. e mai impugnate e relative ad un debito tributario della P. s.r.l. di cui il P. era socio, per un debito complessivo di euro 406.555 relativo ad omessi versamenti IVA, IRPEG ed ILOR. La stessa pretesa impositiva era stata indirizzata alla suddetta società e poi estesa, “a titolo di solidarietà passiva” anche al socio.
Avverso il preavviso di fermo il P. proponeva ricorso, nei confronti dell’Agenzia delle entrate e dell’Agente di riscossione, dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Napoli, la quale, con sentenza n. 127/17/2010 del 15 marzo 2010, accoglieva il ricorso, rilevando che la pretesa tributaria nei confronti della società P., in quanto a responsabilità limitata, non poteva essere estesa nei confronti del socio.
Contro tale pronuncia l’Agente della riscossione proponeva appello, affermando che il ricorrente avrebbe dovuto tempestivamente impugnare le due cartelle emesse nei suoi confronti: la mancata impugnazione renderebbe inammissibile l’impugnazione del preavviso di fermo.
La Commissione Tributaria Regionale della Campania, con sentenza n. 408/07/11, depositata il 18 luglio 2011, respingeva l’appello ritenendo che “correttamente i primi giudici hanno affermato l’illegittimità del fermo sul presupposto che il ruolo non poteva formarsi nei confronti del ricorrente ma solo nei confronti della società di capitali di cui lo stesso era socio, trattandosi di debiti sociali ex art. 2462 cod. civ.; inoltre poiché il debito inerente alle cartelle di pagamento afferiva ad una società di capitali, la relativa impugnativa compete esclusivamente a quest’ultima e non certo al socio”.
Avverso tale sentenza Equitalia Sud s.p.a. (quale incorporante di Equitalia Polis s.p.a.), proponeva ricorso, affidato a cinque motivi, nei confronti di P. U., il quale si costituiva con controricorso, e con chiamata in causa dell’Agenzia delle entrate, la quale non si costituiva.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo d’impugnazione, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., la ricorrente Equitalia SUD s.p.a. deduce violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. e l’illegittimità della sentenza impugnata per non aver pronunciato sulla domanda dell’Agente di riscossione volta ad ottenere la declaratoria del proprio difetto di legittimazione rispetto alle eccezioni del contribuente con cui quest’ultimo contestava di essere titolare del debito.
Con il secondo motivo d’impugnazione, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., la ricorrente Equitalia SUD s.p.a. deduce violazione dell’art. 19, comma 3, del d.lgs. n. 546 del 1992 per non avere la sentenza impugnata dichiarato l’inammissibilità dei motivi di ricorso di primo grado tendenti a mettere in discussione la titolarità del debito in capo al contribuente, in quanto il fermo amministrativo impugnato dal P. scaturisce in ragione di due cartelle di pagamento emesse nei confronti del P. stesso a titolo di solidarietà passiva per debiti della società di cui è socio P. s.r.l.: nella sequela procedimentale finalizzata alla riscossione, il preavviso, oggetto esclusivo del presente giudizio, non è il primo atto di natura impositiva per mezzo del quale il contribuente è venuto a conoscenza dei debiti a lui ascritti. Nella specie, sia la sentenza di primo che quella di secondo grado hanno accolto il ricorso non per vizi propri del preavviso di fermo né per la mancata notifica degli atti presupposti ma per ragioni di merito, che attengono all’esistenza stessa del debito, le quali avrebbero dovute essere fatte valere attraverso la tempestiva impugnazione delle cartelle.
Con il terzo motivo d’impugnazione, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., la ricorrente Equitalia SUD s.p.a. deduce l’errata applicazione di norme processuali (art. 19, comma 3, e 21 del d.lgs. n. 546 del 1992, norma quest’ultima che impone l’impugnazione della pretesa fiscale entro il termine decadenziale di 60 giorni dall’avvenuta conoscenza della stessa) per non aver dichiarato l’inammissibilità dei motivi di ricorso di primo grado tendenti a mettere in discussione la titolarità del debito in capo al contribuente.
Con il quarto motivo d’impugnazione, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., la ricorrente Equitalia SUD s.p.a. deduce violazione dell’art. 21 del d.lgs. n. 546 del 1992 per non avere la sentenza impugnata dichiarato l’inammissibilità, per tardività, dei motivi di ricorso di primo grado tendenti a mettere in discussione la titolarità del debito in capo al contribuente, in quanto solo con il ricorso introduttivo del presente giudizio il P. ha contestato la sussistenza del debito nei propri confronti anziché impugnando le più volte citate due cartelle di pagamento parimenti emesse a suo carico.
Con il quinto motivo d’impugnazione, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., la ricorrente Equitalia SUD s.p.a. deduce l’illegittimità della sentenza impugnata per aver assunto che l’art. 50, comma 2, del d.P.R. n. 602 del 1973, norma che impone di notificare le intimazioni di pagamento prima di procedere all’espropriazione forzata se è trascorsa più di un anno dalla notifica dei ruoli (titoli esecutivi), si applica anche al fermo ex art. 86 dello stesso d.P.R. citato.
U.P. si difende con controricorso affermando che, in qualità di socio di società di capitali, non risponde delle obbligazioni sociali ex art. 2462 cod. civ. e quindi si ritiene estraneo sia rispetto al fermo amministrativo che alle cartelle di pagamento emesse nei suoi confronti.
Si ritiene preliminarmente, in virtù del principio della ragione più liquida (che consente di modificare l’ordine logico-giuridico delle questioni da trattare di cui all’art. 276 cod. proc. civ., in adesione alle esigenze di celerità del giudizio e di economia processuale di cui agli artt. 24 e 111 Cost., posto che l’accertamento della sussistenza di eventuali motivi di inammissibilità, anche se logicamente preliminare, non potrebbe in ogni caso condurre ad un esito del giudizio più favorevole per il convenuto: Cass. 19 giugno 2017, n. 15064; Cass. 18 novembre 2016, n. 23531) innanzitutto esaminare congiuntamente (per la loro stratta connessione) il secondo, terzo e quarto motivo di ricorso, tutti fondati sul fatto che gli atti presupposti del fermo amministrativo, rappresentati da due cartelle di pagamento, sono stati emessi nei confronti del P. (circostanza questa ammessa anche dal P. nel suo controricorso) e da questi non impugnate. Il punto è stato esaminato dalla sentenza impugnata che ha risolto il problema affermando che “poiché il debito inerente alle cartelle di pagamento afferiva ad una società di capitali, la relativa impugnativa compete esclusivamente a quest’ultima e non certo al socio”.
I suddetti motivi di ricorso sono fondati.
Secondo questa Corte il preavviso di fermo amministrativo è autonomamente impugnabile, ma, ove, come nel caso di specie gli atti impositivi presupposti siano diventati definitivi, essendo stati notificati e non impugnati entro i termini di legge, possono essere fatti valere solo vizi del preavviso stesso e non già quelli propri dei suddetti atti impositivi presupposti (ossia la riferibilità del debito tributario ad una società a responsabilità limitata, come tale non estensibile al socio), che potevano e dovevano dedursi in sede di ricorso avverso quest’ultimi (Cass. 15 gennaio 2014, n. 701).
Pertanto, in accoglimento del secondo, terzo e quarto motivo di ricorso, assorbiti il primo e il quinto, non occorrendo ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito ai sensi dell’art. 384, cod. proc. civ., comma 2, ultimo periodo, con rigetto dell’originario ricorso del P..
Possono essere compensate tra le parti le spese dei primi due gradi di giudizio in considerazione dell’andamento della controversia nei giudizi di merito e della particolarità della questione; condanna il contribuente al pagamento delle spese di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo la causa nel merito, rigetta l’originario ricorso del contribuente. Dichiara integralmente compensate tra le parti le spese del doppio grado del giudizio di merito e condanna il contribuente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 6.000, oltre a spese prenotate a debito.
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