CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza n. 13482 depositata il 17 maggio 2023
Lavoro – Assenze ingiustificate – Licenziamento per giustificato motivo soggettivo – Valutazione delle risultanze istruttorie – Gravità dei fatti commessi dalla lavoratrice tali da ledere in modo irreversibile il rapporto fiduciario – Proporzionalità della sanzione – Richiesta di ferie e di aspettativa – Potere di controllo del datore di lavoro sulle istanze presentate dal lavoratore – Rigetto
Fatti di causa
1. Con comunicazione del 4.7.2018 T. spa intimava alla dipendente M.F., a seguito di due contestazioni disciplinari, licenziamento per giustificato motivo soggettivo per assenza ingiustificate dal 2.5.2018 al 4.5.2018, dal 7.5.2018 al 10.5.2018, dal 12.5.2018 al 15.5.2018 (11 giorni totali) e poi nuovamente dal 31.5.2018 all’1.6.2018, dal 4.6.2018 al 7.6.2018, dal 9.6.2018 al 12.6.2018 e dal 15.6.2018 al 17.6.2018 (13 giorni totali).
2. Impugnato il licenziamento perché ritenuto illegittimo, nullo e sproporzionato, nel contraddittorio tra le parti il giudice della fase sommaria rigettava le domande della lavoratrice.
3. Proposta opposizione, il Tribunale di Napoli la respingeva con pronuncia n. 6551 del 2019.
4. La Corte di appello di Napoli, adita dalla F. in sede di reclamo, con la sentenza n. 1035/2020, confermava la decisione impugnata.
5. I giudici di seconde cure rilevavano che: a) dalla documentazione in atti i fatti contestati risultavano dimostrati; b) la chiesta prova orale non era stata articolata in capitoli separati e, comunque, le circostanze riportate risultavano documentalmente provate; c) la lavoratrice aveva ben chiaro che le sue assenze non trovavano giustificazione in una richiesta di ferie né in una situazione di aspettativa non retribuita e ciò anche alla luce delle dichiarazioni rese in sede di libero interrogatorio, per cui era inutile ogni ulteriore approfondimento istruttorio; d) non poteva avere rilievo il disposto di cui all’art. 31 CCNL di categoria, nel senso invocato dalla dipendente circa un obbligo del datore di lavoro di concedere le ferie o l’aspettativa non retribuita in una fattispecie come quella che la interessava, perché la sola domanda del lavoratore non poteva essere sufficiente dovendo comunque essere rispettate le condizioni per beneficiarne; e) le singole contestazioni (la prima relativa a undici giorni di assenze ingiustificate e la seconda per tredici giorni) erano da sole sufficienti a giustificare il licenziamento con preavviso previsto dall’art. 63 co. 3 del CCNL che disciplinava l’assenza ingiustificata dal servizio per sei giorni solari consecutivi; f) il comportamento della F. era grave e tale da meritare una sanzione espulsiva che appariva proporzionata ai fatti addebitati.
6. Avverso la sentenza di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione M.F. affidato a quattro motivi cui ha resistito con controricorso T. spa.
7. Il PG ha rassegnato conclusioni scritte chiedendo di dichiarare il ricorso inammissibile.
8. Le parti hanno depositato memorie.
Ragioni della decisione
1. I motivi possono essere così sintetizzati.
2. Con il primo motivo la ricorrente denunzia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115, 116 cpc, 2697 cc, 2698 cc, l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti nonché l’omessa ammissione di mezzi istruttori richiesti con conseguente erronea valutazione della documentazione depositata e contraddittorietà della motivazione, ai sensi dell’art. 360 n. 3 e n. 5 cpc. Ella sostiene che la motivazione della gravata sentenza, oltre ad essere viziata da un totale travisamento dei fatti e delle allegazioni delle parti, presenta profili di illogicità considerando che, nell’atto introduttivo, era stato chiesto di provare circostanze di fatto potenzialmente decisive, nel senso che la risposta affermativa avrebbe cambiato l’esito del giudizio in quanto incidenti, sotto l’aspetto soggettivo, circa il comportamento della lavoratrice e sulla inesistenza della violazione di norme contrattuali.
3. Con il secondo motivo si eccepisce la nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 115 cpc, 2106, 2119, 1362 cc, per non avere la Corte territoriale preso in considerazione le esigenze di salute (sindrome depressiva maggiore con chiusura relazionale) collegate alla assenza dal servizio e alla richiesta di aspettativa non retribuita nonché la contraddittorietà della motivazione, in relazione all’art. 360 n. 3 e n. 5 cpc, anche sotto il profilo della buona fede. Si deduce che la Corte di appello non aveva tenuto conto dei fatti allegati, sia sotto il profilo oggettivo che soggettivo, violando così i principi in tema di proporzionalità delle sanzioni in quanto non era stato considerato che la massima sanzione sarebbe stata giustificata solamente in presenza di un notevole adempimento degli obblighi contrattuali.
4. Con il terzo motivo la ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 cc, anche in relazione alla interpretazione dell’art. 31 co. 9 e dell’art. 30 punto 7 del CCNL Mobilità Area Contrattuale Attività ferroviarie per i dipendenti, per avere collocato la Corte territoriale, con una motivazione contraddittoria, erroneamente e illogicamente, la sanzione tra quelle legittimanti il licenziamento. Si sostiene che la Corte di merito, in modo inesatto, aveva condizionato la concessione delle ferie alla autorizzazione datoriale ed era giunta alla conclusione della sussistenza del fatto senza nemmeno considerare quanto risultante dagli atti processuali.
5. Con il quarto motivo la ricorrente lamenta la violazione del principio di proporzionalità ex art. 2106 cc nonché l’illegittimità del licenziamento ai sensi del comma 4 dell’art. 18 legge n. 300 del 1970, come modificato dal co. 42 dell’art. 1 della legge n. 92 del 2012, per non essere stato rilevato dai giudici di seconde cure che gli addebiti contestati non giustificavano il suo licenziamento e che non vi era proporzionalità tra il fatto commesso dal lavoratore e la sanzione irrogata.
6. Il primo, il secondo ed il quarto motivo, da esaminare congiuntamente perché interferenti, non sono meritevoli di accoglimento presentando profili di inammissibilità e di infondatezza.
7. Invero, le censure ivi formulate, al di là delle denunziate violazioni di legge, si limitano, in sostanza, in una richiesta di riesame del merito della causa, attraverso una nuova valutazione delle risultanze processuali, in quanto sono appunto finalizzate ad ottenere una revisione degli accertamenti di fatto compiuti dalla Corte territoriale (Cass. n. 6519/2019) che, con motivazione giuridicamente corretta ed esente dai vizi di cui all’art. 360 co. 1 n. 5 cpc nuova formulazione, è giunta alla conclusione della legittimità del recesso per assenza ingiustificata dal servizio nei giorni indicati nella contestazione disciplinare.
8. Inammissibile è la denuncia della asserita violazione dell’art 2697 cod. civ.: violazione che si ha, tecnicamente, solo nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era gravata in applicazione di detta norma, non anche quando, a seguito di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, lo stesso giudice abbia ritenuto erroneamente che la parte onerata avesse assolto tale onere, poiché in questo caso vi è un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360, n. 5, cpc (Cass. n. 17313/2020).
9. Nel caso in esame, la ratio decidendi della gravata sentenza non è fondata sul mancato assolvimento dell’onere della prova o sull’averlo posto a carico di chi non vi era tenuto, ma su di una ricostruzione fattuale cui i giudici di appello sono pervenuti all’esito di una valutazione di tutte le risultanze istruttorie processualmente acquisite.
10. In tema di ricorso per cassazione, poi, una censura relativa alla violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo se si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (Cass. n. 27000/2016; Cass. n. 13960/2014): ipotesi, queste, non ravvisabili nel caso in esame.
11. Va sottolineato, al riguardo, che la valutazione delle risultanze delle prove ed il giudizio sull’attendibilità dei testi, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, senza essere tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti (Cass. n. 16467/2017).
12. Quanto, poi, alle dedotte violazioni ex art. 360 n. 5 cpc, deve precisarsi che l‘art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., riformulato dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv. in l. n. 134 del 2012, ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia – cfr. Cass. n. 27415/2018; Cass. 19881/2014).
13. Nella fattispecie, a differenza di quanto sostiene la ricorrente, la problematica del suo comportamento e della contrarietà dello stesso ai doveri di correttezza e buona fede, con tutte le sue conseguenze, è stata esaminata in modo specifico dalla Corte distrettuale, come sopra evidenziato, peraltro in una situazione di cd. “doppia conforme” delle pronunce di merito.
14. Inoltre, deve precisarsi che, in tema di ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. – nella formulazione risultante dalle modifiche introdotte dal d.lgs. n. 40 del 2006 – il vizio relativo all’insufficiente o contraddittoria motivazione non sussiste più quale vizio a sé stante, ma deve essere riferito ad un “fatto”, da intendere quale specifico accadimento in senso storico-naturalistico (Cass. n. 24035/2018) e che il vizio di motivazione previsto dall’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e dall’art. 111 Cost. sussiste quando la pronuncia riveli una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, come accade quando non vi sia alcuna esplicitazione sul quadro probatorio, né alcuna disamina logico-giuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito (Cass. n. 3819/2020).
15. Nel caso di specie, tale carenza non è ravvisabile, essendo chiaro e argomentato l’iter logico-giuridico seguito dai giudici di seconde cure per giungere alla decisione adottata e sopra illustrata.
16. Infine, quanto alla dedotta violazione del principio di proporzionalità, va osservato che esso è stato correttamente operato dalla Corte territoriale che ha ravvisato la gravità dei fatti commessi dalla lavoratrice tali da ledere, in modo irreversibile, il rapporto fiduciario, anche sotto il profilo della proporzionalità della sanzione.
17. In relazione a tale aspetto, infatti, la Corte di appello ha evidenziato, quali circostanze di fatto per ritenere proporzionata la misura adottata, le reiterate assenze, la carenza di qualsivoglia giustificazione, la mancata richiesta di ferie, la noncuranza assoluta chiaramente evincibile dal comportamento tenuto, i gravi disagi e le difficoltà all’organizzazione produttiva arrecati.
18. Deve sottolinearsi che tale giudizio costituisce un tipico accertamento del giudice di merito che, se adeguatamente motivato e logicamente corretto, come nel caso di specie, non è sindacabile in sede di legittimità (Cass. n. 26010/2018).
19. Il terzo motivo è anche esso infondato.
20. L’interpretazione della Corte territoriale dell’art. 31 del CCNL, applicabile al caso di specie, nella parte in cui sono stati ritenuti necessari, ai fini della concessione delle ferie o dell’aspettativa, sia la domanda per iscritto del lavoratore che il provvedimento di concessione del datore di lavoro, è conforme al dato letterale della disposizione contrattuale collettiva ed è compatibile, sotto il profilo logico sistematico, con il principio di libertà di iniziativa economica sancito dall’art. 41 Cost. che, attribuendo all’imprenditore il potere direttivo e gerarchico in ordine alla organizzazione dell’impresa, comunque gli conferisce un potere di controllo sulla valutazione delle relative istanze (perché magari le ferie non sono state maturate o per carenza dei presupposti in ordine alla concessione dell’aspettativa) sicché non è consentito ravvisare un obbligo automatico nella concessione delle stesse.
21. E’ opportuno ricordare, da ultimo, il condivisibile principio di legittimità secondo cui, in tema di licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo, il giudizio di proporzionalità o adeguatezza della sanzione all’illecito commesso – rimesso al giudice di merito – si sostanzia nella valutazione della gravità dell’inadempimento imputato al lavoratore in relazione al concreto rapporto, e l’inadempimento deve essere valutato in senso accentuativo rispetto alla regola generale della “non scarsa importanza” di cui all’art. 1455 cod. civ., sicché l’irrogazione della massima sanzione disciplinare risulta giustificata solamente in presenza di un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali ovvero addirittura tale da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto (Cass. n. 6848/2010).
22. Nella fattispecie, l’analisi della Corte territoriale è stata incentrata sia sulla accertata violazione dell’art. 63 co. 3 del CCNL, che collega alla assenza ingiustificata dal servizio di sei giorni solari lavorativi consecutivi il licenziamento con preavviso, ritenuto applicabile alla fattispecie, sia in ogni caso sulla gravità del fatto, considerato contrario a buona fede e correttezza e tanto grave da giustificare il recesso.
23. Alla stregua di quanto esposto il ricorso deve essere rigettato.
24. Al rigetto segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo.
25. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio che liquida in euro 4.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
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