CORTE di CASSAZIONE – Sentenza n. 1356 depositata il 17 gennaio 2023
Tributi – Sanzioni in materia di IVA – Operazioni eseguite in sospensione d’imposta – Cessioni all’esportazione di cui all’art. 8, primo comma, lett. a) e b), del d.P.R. n. 633 del 1972 – Obbligo di comunicazione della dichiarazione di intenti – Accoglimento
Fatti di causa
1. Con sentenza n. 142/27/12 del 17/12/2012, la Commissione tributaria regionale della Lombardia (di seguito CTR) accoglieva l’appello proposto da RTI – (…) s.p.a. (di seguito RTI) avverso la sentenza n. 219/07/11 della Commissione tributaria provinciale di Milano (di seguito CTP), che aveva accolto solo parzialmente il ricorso proposto dalla società contribuente avverso due atti di contestazione sanzioni in materia di IVA, relative agli anni d’imposta 2007 e 2008.
1.1. Come si evince dalla sentenza della CTR, gli atti di contestazione erano stati emessi in ragione della omessa trasmissione, in via telematica, di alcune dichiarazioni di intento relative ad operazioni eseguite in sospensione d’imposta ai sensi dell’art. 8 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633.
1.2. Su queste premesse, la CTR motivava l’accoglimento dell’appello della società contribuente osservando che: a) gli acquisti effettuati in sospensione d’imposta da parte dell’esportatore abituale RTI erano pacificamente regolari, come riconosciuto dalla stessa Guardia di finanza; b) l’omessa trasmissione telematica dei dati riepilogativi delle dichiarazioni d’intento, regolarmente e progressivamente annotate nell’apposito registro, integrava una violazione formale della disciplina fiscale e non poteva essere sanzionata in maniera analoga all’ipotesi in cui le operazioni non fossero state mai eseguite; c) in ipotesi, la sanzione non era, dunque, quella prevista dall’art. 7, comma 4 bis, del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, ma quella prevista dall’art. 11, comma 1, lett. a), del medesimo decreto legislativo, con applicazione del cumulo giuridico; d) l’operatività della richiamata disposizione si imponeva anche in ragione del rispetto del principio unionale di proporzionalità, essendo la sanzione comminata dall’Agenzia delle entrate (di seguito AE) assolutamente sproporzionata rispetto alla condotta tenuta dalla società contribuente.
2. AE impugnava la sentenza della CTR con ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo.
3. RTI resisteva con controricorso, proponeva ricorso incidentale, affidato anch’esso ad un unico motivo, e depositava memoria ex art. 380 bis.1 cod. proc. civ.
4. Con ordinanza resa all’esito dell’adunanza camerale del 15/09/2020, la causa veniva rinviata a nuovo ruolo per essere trattata in pubblica udienza.
Ragioni della decisione
1. Con l’unico motivo di ricorso principale AE deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e la falsa applicazione degli artt. 2, comma 1, e 7, comma 4 bis, del d.lgs. n. 471 del 1997, dell’art. 10, comma 3, della l. 27 luglio 2000, n. 212 e dell’art. 6 del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, evidenziando che il comportamento omissivo costituito dalla mancata trasmissione delle dichiarazioni d’intento ricevute dai propri clienti è sanzionato dall’art. 7, comma 4 bis, del d.lgs. n. 471 del 1997, sicché avrebbe errato la CTR nel considerare applicabile la diversa previsione di cui all’art. 11, comma 1, del medesimo decreto legislativo, trattandosi, peraltro, di violazione non meramente formale.
1.1. Il motivo è parzialmente fondato, nei termini di cui appresso si dirà.
1.2. Come noto, l’art. 8, primo comma, lett. c), del d.P.R. n. 633 del 1972, nella formulazione applicabile ratione temporis, prevede che le cessioni di beni (diversi dai fabbricati e dalle aree edificabili) e le prestazioni di servizi rese a soggetti che effettuino abitualmente cessioni all’esportazione od operazioni intracomunitarie e che chiedano al loro fornitore di non applicare l’imposta sull’operazione di acquisto e/o di importazione sono effettuate senza applicazione dell’IVA.
1.2.1. In particolare, il beneficio è riconosciuto solo ai soggetti che abbiano effettuato cessioni all’esportazione di cui all’art. 8, primo comma, lett. a) e b), del d.P.R. n. 633 del 1972, registrate nell’anno precedente, per corrispettivi superiori al dieci per cento del complessivo volume di affari e nei limiti dell’ammontare complessivo di tali corrispettivi ed è subordinato alla presentazione da parte dell’esportatore abituale di una apposita dichiarazione d’intento con la quale manifesta l’intenzione di avvalersi di tale facoltà.
1.2.2. Ai sensi dell’art. 1, primo comma, lett. c), del d.l. 29 dicembre 1983, n. 746, conv. con modif. nella l. 27 febbraio 1984, n. 17 (sempre nella versione applicabile ratione temporis), tale dichiarazione va redatta in conformità di un modello approvato con decreto del Ministro delle finanze e va consegnata o spedita al fornitore o prestatore, ovvero presentata in dogana, prima dell’effettuazione della operazione e, nella prima ipotesi, il cedente o prestatore deve comunicare all’Agenzia delle entrate, esclusivamente per via telematica ed entro il giorno 16 del mese successivo, i dati contenuti nella dichiarazione ricevuta.
1.3. Orbene, l’art. 7, comma 4 bis, del d.lgs. n. 471 del 1997 prevede la punibilità con la sanzione prevista dal precedente terzo comma (dal cento al duecento per cento dell’imposta) del cedente o del prestatore che ometta di inviare, nei termini previsti, la comunicazione dei dati contenuti nella dichiarazione di intenti ricevuta o che la invia con dati incompleti o inesatti.
1.3.1. Va aggiunto che tale disposizione sanziona la violazione di un obbligo avente sì carattere formale, ma non già meramente formale ai sensi dell’art. 6, comma 5 bis, del d.lgs. n. 472 del 1997, perché, pur non incidendo sulla determinazione dell’imponibile o dell’imposta (come nel caso delle violazioni di carattere sostanziale), comporta un pregiudizio all’attività di accertamento dell’Amministrazione finanziaria (cfr. Cass. n. 901 del 16/01/2019; Cass. n. 27598 del 30/10/2018).
1.3.2. Invero, l’obbligo di comunicazione della dichiarazione di intenti si correla all’esigenza di consentire un efficace controllo sull’applicazione della disciplina in tema di IVA e, in particolare, del regime di riscossione dell’imposta relativa ad operazioni di cessione infracomunitaria o all’esportazione; e la violazione dell’obbligo è sicuramente idonea ad ostacolare l’attività di controllo.
1.4. Ciò premesso, la previsione dell’art. 7, comma 4 bis, del d.lgs. n. 471 del 1997, contestata dall’Agenzia delle entrate a RTI, non è stata ritenuta applicabile dalla CTR, in quanto la stessa riguarderebbe unicamente l’ipotesi in cui alla mancata comunicazione si aggiunga il mancato versamento dell’imposta dovuta: nel caso di specie, invece, le operazioni sono state regolarmente eseguite in sospensione d’imposta dalla società contribuente.
1.4.1. Secondo i giudici di appello si applicherebbe, in via estensiva o analogica, la previsione dell’art. 11, comma 1, lett. a), del medesimo d.lgs. n. 471 del 1997, la quale, ratione temporis, così recita: «1. Sono punite con la sanzione amministrativa da euro 258 a euro 2.065 le seguenti violazioni: a) omissione di ogni comunicazione prescritta dalla legge tributaria anche se non richiesta dagli uffici o dalla Guardia di finanza al contribuente o a terzi nell’esercizio dei poteri di verifica ed accertamento in materia di imposte dirette e di imposta sul valore aggiunto o invio di tali comunicazioni con dati incompleti o non veritieri; (…)»; e ciò anche in ragione di quanto previsto dalla circolare dell’Agenzia delle entrate n. 10/E del 16/03/2005, § 9.3, pag. 66-67.
1.4.2. Si tratterebbe, infatti, di una violazione formale, che non avrebbe comportato «né danni, né pericolo di danni per l’erario», con conseguente logica applicazione della sanzione in misura fissa e non già della sanzione da commisurare ad una evasione d’imposta in concreto non verificatasi, anche nel rispetto dei principi di pari trattamento, costituzionalmente rilevante, e di proporzionalità, cui si ispira il diritto unionale.
1.5. La questione oggetto del presente giudizio è stata esaminata funditus da Cass. n. 23695 del 28/07/2022, alla cui ampia motivazione in questa sede integralmente ci si riporta.
Osserva, in particolare, la Corte che il quadro normativo è mutato a seguito di successivi interventi normativi.
1.5.1. In particolare, il testo dell’art. 7, comma 4 bis, del d.lgs. n. 471 del 1992, applicabile all’epoca dei fatti, prevedeva: «4-bis. È punito con la sanzione prevista nel comma 3 il cedente o il prestatore che omette di inviare, nei termini previsti, la comunicazione di cui all’articolo 1, comma 1, lettera c), ultimo periodo, del decreto-legge 29 dicembre 1983, n. 746, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 1984, n. 17, o la invia con dati incompleti o inesatti».
1.5.2. Il testo modificato con l’art. 20 d.lgs. 175 del 2014 (vigente dal 1° gennaio 2015) ha invece previsto: «4-bis. È punito con la sanzione prevista nel comma 3 il cedente o prestatore che effettua cessioni o prestazioni, di cui all’articolo 8, comma 1, lettera c), del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, prima di aver ricevuto da parte del cessionario o committente la dichiarazione di intento e riscontrato telematicamente l’avvenuta presentazione all’Agenzia delle entrate, prevista dall’articolo 1, comma 1, lettera c), del decreto-legge 29 dicembre 1983, n. 746, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 1984, n. 17».
1.5.3. L’ultimo comma della norma, tuttavia, ha dettato una esplicita disposizione transitoria limitativa poiché ha previsto l’applicabilità della modifica alle sole «dichiarazioni d’intento relative ad operazioni senza applicazione dell’imposta da effettuare a decorrere dal 1° gennaio 2015».
1.5.4. Pochi mesi dopo, peraltro, con l’art. 15 d.lgs. n. 158 del 2015 il legislatore è nuovamente intervenuto, conservando la struttura della fattispecie, di cui ha solo modificato la sanzione irrogata: «4-bis. È punito con la sanzione amministrativa da euro 250 a euro 2.000 il cedente o prestatore che effettua cessioni o prestazioni, di cui all’articolo 8, comma 1, lettera c), del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, prima di aver ricevuto da parte del cessionario o committente la dichiarazione di intento e riscontrato telematicamente l’avvenuta presentazione all’Agenzia delle entrate, prevista dall’articolo 1, comma 1, lettera c), del decreto-legge 29 dicembre 1983, n. 746, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 1984, n. 17».
1.5.5. L’art. 32, comma 1, d.lgs. n. 158 del 2015 (come modificato dall’art. 1, comma 133, l. n. 208 del 2015), tuttavia, a differenza di quanto era stato previsto con il d.lgs. n. 175 del 2014, non ha introdotto limiti specifici di applicabilità della modifica poiché ha semplicemente previsto che «Le disposizioni di cui al Titolo II [ossia gli artt. 15 e 16] del presente decreto si applicano a decorrere dal 1° gennaio 2016», da cui l’utilizzabilità della novella quale ius superveniens purché vi sia un processo ancora in corso ed il provvedimento impugnato non sia, quindi, divenuto definitivo (v. Cass. n. 15978 del 27/06/2017; Cass. n. 1706 del 24/01/2018; Cass. n. 8716 del 30/03/2021).
1.5.6. Infine, il legislatore, in tempi recenti, è nuovamente intervenuto con l’art. 12 septies del d.l. n. 34 del 2019 (vigente dal 1° gennaio 2020), secondo il quale: «4-bis. È punito con la sanzione prevista al comma 3 [dal cento al duecento per cento dell’imposta] il cedente o prestatore che effettua cessioni o prestazioni, di cui all’articolo 8, primo comma, lettera c), del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, senza avere prima riscontrato per via telematica l’avvenuta presentazione all’Agenzia delle entrate della dichiarazione di cui all’articolo 1, comma 1, lettera c), del decreto-legge 29 dicembre 1983, n. 746, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 1984, n. 17».
1.5.7. Il legislatore, dopo pochi anni, dunque, ha parzialmente innovato le modalità della condotta in capo al fornitore ed ha ritenuto di inasprire il trattamento punitivo, ripristinando l’originaria sanzione ante 2014. Il comma 4 dell’art. 12 septies d.l. n. 34 del 2019, inoltre, ha fornito una regola temporale sostanzialmente omogenea a quella dell’art. 32, comma 1, su cit., poiché si è limitato a disporre che la disposizione si applica «a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto».
1.5.8. Infine, per completezza, occorre ricordare che il legislatore è nuovamente intervenuto sull’art. 7 d.lgs. n. 471 del 1997 con la l. n. 178 del 2020, senza, tuttavia, incidere sul comma 4 bis.
1.6. A fronte della successione di leggi nel tempo più sopra descritta, la Corte ha ritenuto che : «La modifica dell’art. 7, comma 4 bis, del d.lgs. n. 471 del 1997 ad opera dell’art. 20 del d.lgs. n. 175 del 2014, poi ulteriormente novellato con riguardo al regime sanzionatorio dall’art. 15 del d.lgs. n. 158 del 2015, non ha comportato una “abolitio” attesa la persistente illiceità del fatto e, quanto alla condotta del cedente/prestatore, la continuità strutturale tra l’originaria previsione e le modifiche sopravvenute che hanno riguardato un mutamento di ordine solo quantitativo degli adempimenti richiesti; tuttavia, mentre va esclusa l’applicazione retroattiva della disciplina introdotta dalla prima novella in forza dell’esplicita norma transitoria contenuta nell’ultimo comma dell’art. 20 del d.lgs. n. 175 del 2014, è applicabile, per il principio del “favor rei” e in assenza di norme derogatorie dei principi generali di cui all’art. 3 del d.lgs. n. 472 del 1997, il regime sanzionatorio più lieve introdotto con l’art. 15 del d.lgs. n. 158 del 2015» (così la citata Cass. n. 23695 del 2022).
1.7. Applicando il sopra menzionato principio al caso di specie, va detto che la CTR ha correttamente ritenuto che la violazione commessa dalla società contribuente non sia sostanziale ma formale (e non meramente formale): la stessa, pertanto, non incide sulla determinazione dell’imponibile e dell’imposta, ma arreca comunque pregiudizio all’azione di controllo dell’Amministrazione finanziaria e, quindi, deve essere sanzionata.
1.7.1. Peraltro, diversamente da quanto sostenuto dal giudice di appello, a fini sanzionatori, non trova applicazione in ipotesi la previsione (generale) dell’art. 11, comma 1, lett. a), del d.lgs. n. 471 del 1997, ma lo ius superveniens più favorevole costituito dal regime sanzionatorio speciale introdotto dall’art. 15 del d.lgs. 24 settembre 2015, n. 158, che prevede (peraltro, in maniera strutturalmente analoga al menzionato art. 11) una sanzione in misura fissa da euro 250,00 a euro 2.000,00.
1.8. La decisione della CTR va, dunque, cassata in parte qua affinché il giudice del rinvio determini in concreto la sanzione, tenuto conto anche del cumulo giuridico in ordine alla cui applicabilità non è stato formulato alcun rilievo da parte di AE.
2. Con l’unico motivo di ricorso incidentale RTI deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., non avendo la CTR pronunciato in ordine al carattere meramente formale delle sanzioni contestate, con la conseguente applicabilità degli artt. 10, comma 3, della l. n. 212 del 2000 e 6, comma 5 bis, del d.lgs. n. 472 del 1997 e l’illegittima comminatoria delle stesse.
2.1. Il motivo è infondato.
2.2. Come già ricordato, la CTR ha dato ampiamente atto della proposizione del motivo di appello (pag. 5, n. 5, della sentenza impugnata) e lo ha, quindi, preso in considerazione rigettandolo implicitamente, essendo del resto chiaro che la ritenuta applicazione delle sanzioni di cui all’art. 11, comma 1, lett. a), del d.lgs. n. 471 del 1997, anche se erronea, è del tutto incompatibile con una considerazione delle stesse come meramente formali, come sostenuto dalla società contribuente.
3. In conclusione, va accolto nei limiti di cui si è detto il ricorso principale e rigettato il ricorso incidentale; la sentenza impugnata va cassata con riferimento al ricorso principale e rinviata alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, in diversa composizione, per il nuovo esame e per le spese del presente giudizio.
3.1. Poiché il ricorso incidentale è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, che ha aggiunto il comma 1 quater dell’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della società ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, ove dovuto.
P.Q.M.
Accoglie, nei limiti di cui in motivazione, il ricorso principale e rigetta il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo di ricorso principale accolto e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente incidentale del contributo unificato previsto per il ricorso incidentale a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13 (ndr comma 1 bis dello stesso art. 13), ove dovuto.
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