Corte di Cassazione sentenza n. 1448 depositata il 19 gennaio 2018
FALLIMENTO – CONCORDATO PREVENTIVO – ORGANI – COMMISSARIO GIUDIZIALE – SOCIETÀ PARTECIPATA DALLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – COMPENSO DEL COMMISSARIO – OPERATIVITÀ DEI VINCOLI DI FINANZA PUBBLICA – ESCLUSIONE
RILEVATO
che:
con decreto del 22.3.2016 il Tribunale di Modena liquidava in favore del commissario giudiziale del concordato preventivo della S. Gestioni Patrimoniali s.r.l. a titolo di acconto sul compenso finale l’importo di Euro 400 mila, oltre spese generali nella misura del 5%, a titolo di rimborso spese non imponibili l’importo di Euro 4.848,03 e a titolo di rimborso spese imponibili l’importo di Euro 2.241,96, oltre accessori di legge;
osservava il Tribunale che nella determinazione del compenso spettante al commissario, occorreva fare riferimento alla L. Fall., art. 39 e al D.M. n. 30 del 2012 e segnatamente all’art. 5 di tale decreto, non trovando applicazione nel caso di specie la disciplina pubblicistica limitativa dei compensi a carico delle finanze pubbliche, apparendo palese che tali norme trovino applicazione esclusivamente in relazione ai rapporti di lavoro subordinati o autonomi con amministrazioni pubbliche o equiparate, situazione diversa e in alcun modo equiparabile alla nomina del commissario compiuta dal tribunale, non istitutiva di alcun rapporto di impiego con il soggetto pubblico (trattandosi nel caso di specie di una società partecipata dalla pubblica amministrazione);
avverso tale decreto S. Gestioni Patrimoniali s.r.l. propone ricorso per cassazione affidato ad un solo motivo; l’avv. B.S., in proprio e nella qualità di commissario giudiziale, resiste mediante controricorso; il P.G. in data 10.7.2017 ha depositato la propria requisitoria, concludendo per la fissazione della trattazione del ricorso in pubblica udienza. Le parti hanno depositato memorie.
CONSIDERATO
che:
il ricorso e’ inammissibile perche’ come condivisibilmente statuito da questa Corte, sebbene rispetto alla posizione del curatore ma con considerazioni evidentemente destinate a valere anche per il commissario giudiziale, “i decreti con i quali il tribunale fallimentare concede o rifiuta gli acconti sul compenso richiesti dal curatore sono espressione di un potere discrezionale ed intervengono in una fase processuale anteriore alla presentazione ed approvazione del conto, non assumendo, di conseguenza, efficacia di cosa giudicata, sicche’ essi non possono pregiudicare, dopo la presentazione del rendiconto, la futura e definitiva decisione sul compenso dovuto, cui corrisponde un diritto soggettivo del curatore, e non sono, quindi, ricorribili per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost.” (Cass. n. 24044 del 2015 ed in relazione al commissario nell’ambito della procedura di amministrazione controllata Cass. n. 7298 del 2015);
sulla questione di diritto posta attraverso il ricorso (e riguardo alla quale il ricorrente ha domandato di enunciare nell’interesse della legge il principio di diritto al quale il giudice di merito avrebbe dovuto attenersi), e’ sufficiente ricordare che la Sezione Autonomie della Corte dei Conti, con decisione n. 33 depositata il 7 dicembre 2016, ha condivisibilmente e correttamente ritenuto che “dalla peculiare natura giuridica del Commissario giudiziale deriva la particolarità delle regole di determinazione del compenso per lo svolgimento delle proprie funzioni. Tale compenso, per quanto detto sopra, rientra nel novero delle “spese di giustizia” e la sua liquidazione e’ disciplinata specificatamente dalla L. Fall., art. 165, il quale rinvia all’art. 39 medesima L. Fall. e, quindi, al D.M. 28 luglio 1992, n. 570 (negli stessi termini: Cass. civ. 1, n. 8221/2011). Il citato art. 39 (comma 1) stabilisce infatti che “Il compenso e le spese dovuti al curatore” (e quindi, in forza del richiamo operato dall’art. 165, anche al commissario giudiziale) “anche se il fallimento si chiude con concordato, sono liquidati ad istanza del curatore con decreto del tribunale non soggetto a reclamo, su relazione del giudice delegato, secondo le norme stabilite con decreto del Ministro della giustizia”.
Lo stesso Tribunale, pertanto, non ha piena discrezionalità in ordine al “quantum” della liquidazione, essendo vincolato ai criteri di calcolo predeterminati nel decreto ministeriale. A maggior ragione e’ dunque da escludersi una discrezionalità dell’ente nel ridurre unilateralmente una spesa che non puo’ ritenersi ne’ riferibile a funzioni istituzionalmente proprie, ne’ assunta volontariamente dall’ente stesso o dalla sua partecipata in violazione degli obblighi di contenimento della spesa pubblica, essendo posta a carico dello stesso all’esito di un procedimento giudiziale.
La fattispecie esaminata, pertanto, e’ da ritenere estranea all’ambito di operatività dei vincoli di finanza pubblica, con i conseguenti riflessi sotto il profilo della stessa ammissibilità del quesito proposto”.
Il ricorso va in definitiva dichiarato inammissibile; le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dichiara il ricorso inammissibile e pone le spese del giudizio di legittimità a carico del ricorrente, liquidate in Euro 9.200, di cui Euro 200 per esborsi, oltre accessori come per legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quarter, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
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