CORTE di CASSAZIONE – Sentenza n. 14744 depositata il 26 maggio 2023
Lavoro – Rapporto di collaborazione – Illegittimità risoluzione rapporto lavoro – Principio tempus regit actum – D.Lgs. n. 276/2003 – Esclusione esistenza di un progetto – Collaborazioni coordinate e continuative – Disciplina transitoria – Legittimità del contratto – Applicazione disciplina previgente – Principio di “indisponibilità del tipo” – Accoglimento
Fatti di causa
1. R.F. convenne in giudizio davanti al Tribunale di Viterbo la società T.P. deducendo di aver lavorato come fisioterapista dal 28 maggio 2002 all’ 8 luglio 2014 sulla base di una serie di rapporti di collaborazione (specificatamente contratti di collaborazione coordinata dal 28.5.2002 al 22.10.2004 e contratti autonomi a partita IVA dal 23.10.2004 al 8.7.2014). Chiese perciò che si accertasse la sussistenza tra le parti di un rapporto di lavoro subordinato, la illegittimità della risoluzione del rapporto ed il ripristino dello stesso con condanna della convenuta al pagamento della retribuzione globale di fatto spettante dalla messa in mora al ripristino. La società T.P. s.p.a. si costituì per resistere al ricorso.
2. Il Tribunale di Viterbo accolse la domanda e, esclusa la subordinazione, qualificò il rapporto come collaborazione coordinata e continuativa regolata dal d.lgs. n. 276 del 2003 ed applicò l’art. 69 del decreto legislativo citato convertendo il rapporto in uno subordinato a tempo indeterminato sul rilievo che le prestazioni riconducibili non fossero riconducibili ad un progetto. Dichiarò, poi, inammissibile la domanda di accertamento della illegittimità della risoluzione del rapporto ed il conseguente diritto al suo ripristino sul rilievo che non era stato attivato il rito Fornero, obbligatorio.
3. Investita dell’appello principale da parte della società e di quello incidentale della lavoratrice, la Corte d’appello di Roma ha rigettato il primo e in accoglimento di quello incidentale, in parziale riforma della sentenza di primo grado nel resto confermata, ha dichiarato la sussistenza tra le parti di un rapporto di lavoro subordinato a far data dal 28 maggio 2002 ed ha condannato la società T.P. a ripristinare il rapporto e a pagare alla F. un’indennità, ex art 32 comma 5 della legge n. 183 del 2010, liquidata in 10 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto oltre a interessi e rivalutazione monetaria dalla sentenza al saldo.
3.1. Il giudice di appello, pur ritenuto ammissibile il gravame principale, lo ha poi rigettato osservando che era pacifico in atti che tra le parti era intercorso un rapporto di collaborazione dal 28 maggio 2002 all’ 8 aprile 2014. Ha quindi ritenuto che, correttamente, il Tribunale avesse valutato che al rapporto trovasse applicazione l’articolo 61 del d.lgs. n. 276 del 2003, nel testo ratione temporis vigente antecedente le modifiche apportate dalla legge n. 92 del 2012 ed a quelle ancora successive.
3.2. Ha poi ritenuto che correttamente il Tribunale, qualificata l’attività lavorativa come parasubordinata, avesse ritenuto applicabile alla fattispecie il principio in base al quale, a far data dal 24 ottobre 2003, non era possibile instaurare rapporti di parasubordinazione o di collaborazione coordinata e continuativa che non fossero riconducibili ad un progetto, programma di lavoro o fase di esso.
3.3. Ha ribadito che per i contratti di collaborazione coordinata e continuativa l’art. 69, anche nel testo vigente prima delle modifiche apportate dalla legge n. 92 del 2012, in mancanza di un progetto specifico, prescrive che il rapporto si converta in uno a tempo indeterminato sin dalla sua costituzione con tutte le conseguenze contributive ed assicurative, senza che sia necessario accertare giudizialmente la natura del rapporto.
3.4. Ha ricordato che in questo senso depone l’articolo 24 della legge 2012 numero 92 che ha interpretato autenticamente l’art. 69 del d.lgs. n. 276 del 2003.
3.5. Ha poi chiarito che la disciplina dettata dall’articolo 25 della legge n. 92 del 2012, si applica ai contratti di collaborazione stipulati successivamente all’entrata in vigore della legge e non interferisce con la disposizione di interpretazione autentica ricordata.
3.6. Ha ritenuto manifestamente infondata la questione di illegittimità costituzionale degli articoli 61-69 del d.Lgs. n. 276 del 2003, già esaminata con esito negativo dalla Corte costituzionale, che aveva ritenuto che le novità introdotte a regime nel d.lgs. n. 276 del 2003 attengono al divieto di contratti di collaborazione che, pur avendo ad oggetto genuine prestazioni di lavoro autonomo, siano tuttavia privi di progetto.
3.7. Ha ritenuto inammissibile, perché tardivamente sollevata, la censura con la quale la società aveva denunciato la violazione dell’articolo 61 comma 3 del d.L.gs. n. 276 del 2003 e dell’art. 2239 c.c.
3.8. Inoltre, ha ritenuto inammissibile il richiamo alla sentenza della Corte costituzionale n. 399 del 2008 con riguardo alla disciplina applicabile al rapporto iniziato prima dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 276 del 2003 perché, ancora una volta, atteneva ad un tema nuovo che non era stato tempestivamente introdotto. In ogni caso ha ritenuto priva di fondamento la censura osservando che nel caso in esame il rapporto di collaborazione era privo di un termine finale. In definitiva, ad avviso del giudice di appello la prosecuzione nell’applicazione della disciplina previgente è limitata ai soli contratti ai quali era stato apposto un termine.
3.9. Ancora, poi, la Corte d’appello ha ritenuto che in mancanza di un documento che ne dimostri l’esistenza non si poteva ritenere sussistente un progetto specifico (che sarebbe consistito nel rendere prestazioni professionali di fisioterapia all’interno della struttura). Nel rammentare che la questione non era stata ritualmente proposta davanti al giudice di primo grado, la Corte di merito ha ricordato che il nuovo tipo contrattuale, introdotto con l’art. 61, richiede che il progetto sia redatto in forma scritta e l’art. 62 prescrive poi una serie di requisiti ulteriori nella specie insussistenti. Conseguentemente ha negato l’ingresso alla prova articolata relativa all’esistenza del progetto che sarebbe stato desumibile, per facta concludentia, dalle modalità concrete di esecuzione delle prestazioni.
3.10. Da ultimo la Corte di merito ha ritenuto che correttamente la sentenza di primo grado aveva accertato l’esistenza di un rapporto reso in regime di collaborazione coordinata e continuativa tenuto conto delle modalità concrete di svolgimento della prestazione lavorativa.
3.11. Quanto all’appello incidentale lo ha accolto ritenendo che, incontestata l’estromissione della F. dal rapporto di lavoro, tra le parti si fosse instaurato un rapporto a tempo indeterminato ancora in corso con obbligo di ripristino da parte della società. Inoltre, ha ritenuto corretta l’applicazione dell’art. 32 comma 5 della legge n. 183 del 2010. Pertanto, in considerazione della durata infra decennale del rapporto ha riconosciuto alla lavoratrice 10 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto percepita maggiorata di interessi legali e rivalutazione monetaria dalla sentenza al saldo.
4. Per la Cassazione della sentenza ha proposto ricorso la T.P. s.p.a. che ha articolato tre motivi. R.F. ha resistito con tempestivo controricorso. Il Procuratore Generale ha concluso per il rigetto del ricorso.
La società ricorrente che ha chiesto la fissazione della decisione della causa in pubblica udienza ha poi depositato memoria illustrativa ai sensi dell’art. 378 c.c. insistendo nelle conclusioni già prese.
Ragioni della decisione
5. Con il primo motivo di ricorso è denunciata la violazione del principio tempus regit actum ai sensi dell’art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 c.p.c.
5.1. La società T.P. deduce che erroneamente la Corte di appello ha ritenuto inammissibile, perché tardiva, la doglianza con la quale si era censurata la sentenza di primo grado che aveva applicato alla fattispecie la disciplina dettata dal d.lgs. 276 del 2003 sebbene il rapporto di lavoro fosse iniziato nella vigenza della disciplina antecedente, ritenendola comunque infondata sul rilievo che la sentenza della Corte Costituzionale n.399 del 2008 che ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 86 del d.lgs. n. 276 del 2003 ha individuato il suo ambito di applicazione nei contratti di collaborazione a termine e non anche per quelli a tempo indeterminato.
5.2. Ad avviso della ricorrente, infatti, la ritenuta inammissibilità si scontra con la necessità che sia il giudice ad individuare la norma applicabile al caso concreto sulla base dei fatti che sono sottoposti alla sua attenzione.
Inoltre, la lettura data sarebbe irragionevole poiché tratterebbe diversamente i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa a termine rispetto a quelli a tempo indeterminato.
5.3. Sostiene invece che per realizzare una applicazione uniforme della disciplina si deve ritenere che anche per i rapporti di collaborazione a tempo indeterminato, iniziati prima dell’intervento della legge n. 276 del 2003 (ndr d.lgs. n. 276 del 2003), si continui ad applicare la disciplina previgente.
6. Con il secondo motivo di ricorso è denunciata la violazione e falsa applicazione degli artt. 416 comma 3 e 115 comma 2 c.p.c. e la violazione e falsa applicazione dell’art. 62 del d.lgs. n. 276 del 2003 e degli artt. 1325 e 2721 e ss. c.c.
6.1. Ad avviso della ricorrente erroneamente era stata ritenuta inammissibile la censura con la quale in appello era stata denunciata l’erroneità della pronuncia di primo grado che aveva escluso l’esistenza di un progetto sebbene i fatti sottostanti fossero stati tutti tempestivamente allegati sin dal primo grado e dunque, d’ufficio, anche in grado di appello, il giudice avrebbe dovuto tenerne conto senza che possa ritenersi maturata alcuna decadenza. Osserva come la mancata contestazione operi sul piano probatorio ma non anche sulla qualificazione giuridica dei fatti che spetta comunque al giudice a prescindere dalle posizioni assunte dalle parti.
6.2. Per altro profilo, poi, evidenzia che ai sensi dell’art. 62 del d.lgs. n. 276 del 2003, nel testo antecedente le modifiche apportate dal d.l. 76 del 2013, la forma scritta del contratto è prescritta solo ad probationem e che l’inammissibilità della prova testimoniale non sarebbe rilevabile di ufficio con la conseguenza che, ove ammessa oltre i limiti predetti, in assenza di una puntuale e tempestiva contestazione, sarebbe comunque utilizzabile.
Ne conseguirebbe, ad avviso della ricorrente, l’acquisibilità della prova dell’esistenza del progetto offerta per facta concludentia e per l’effetto sarebbe esclusa qualsiasi possibilità sanzionatoria prevista per le collaborazioni prive di progetto, salva la prova dell’esistenza della subordinazione.
7. Con il terzo motivo, infine, la società denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 61 e 69 d.lgs. n. 276 del 2003 alla luce dell’art. 1 commi 23-25 della legge n. 92 del 2012 e la violazione e falsa applicazione art. 12 Preleggi e si deduce, in subordine per il caso di mancato accoglimento delle precedenti censure, il carattere innovativo dell’intervento normativo del 2012 che non si pone come interpretazione autentica della precedente disciplina avente effetto retroattivo ma piuttosto come disposizione proiettata al futuro ed applicabile solo ai nuovi contratti stipulati dal 18 luglio 2012 in poi. Diversamente opinando, secondo la ricorrente, la norma si esporrebbe a profili di incostituzionalità per violazione degli artt. 101, 3, 4, 35 e 41 Cost. ed inoltre sarebbe viziata da un eccesso di delega in violazione dell’art. 76 Cost.
8. Il primo motivo di ricorso è fondato mentre il secondo ed il terzo motivo non possono essere accolti.
8.1. Rileva il Collegio che risulta pacificamente accertato che tra le parti sono intercorsi due distinti rapporti. Uno che trae origine da un contratto di collaborazione coordinata e continuativa iniziato il 28.5.2002 e proseguito fino al 22.10.2004 quando era cessato. Un altro contratto di lavoro autonomo dispiegatosi nel periodo dal 23.10.2004 all’ 8.7.2014.
8.2. La Corte ha qualificato entrambi i rapporti come collaborazioni coordinate e continuative e, dall’entrata in vigore del d.lgs. n. 276 del 2003, ha ritenuto che trovasse applicazione la disciplina del contratto di lavoro a progetto. Quindi, esclusa l’esistenza di un progetto, li ha convertiti sin dal primo contratto in un unico rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.
8.3. Ritiene tuttavia il Collegio che, per quanto concerne il rapporto iniziato nella vigenza della legge n. 196 del 1997 e proseguito nella vigenza del d.lgs. n. 276 del 2003, fino al 22 ottobre del 2004, la legittimità del contratto andava verificata alla luce delle disposizioni dettate per le collaborazioni coordinate e continuative dalla legge n. 196 del 1997.
8.4. L’art. 86, comma 1, del d. lgs. n. 276 del 2003 con il quale è stata dettata la disciplina transitoria, con riguardo alle collaborazioni coordinate e continuative che risultavano già stipulate il 24 ottobre 2003, data di entrata in vigore del d. lgs. n. 276 del 2003, nella sua versione originaria applicabile al rapporto (prima delle modifiche apportate con 20 del decreto legislativo 6 ottobre 2004, n. 251) stabiliva che <<Le collaborazioni coordinate e continuative stipulate ai sensi della disciplina vigente, che non possono essere ricondotte a un progetto o a una fase di esso, mantengono efficacia fino alla loro scadenza e, in ogni caso, non oltre un anno dalla data di entrata in vigore del presente provvedimento. Termini diversi, anche superiori all’anno, di efficacia delle collaborazioni coordinate e continuative stipulate ai sensi della disciplina vigente potranno essere stabiliti nell’ambito di accordi sindacali di transizione al nuovo regime di cui al presente decreto, stipulati in sede aziendale con le istanze aziendali dei sindacati comparativamente più rappresentativi sul piano nazionale>>.
Il successivo art. 20 del d. lgs. n. 251 del 2004 ha modificato il secondo periodo del comma 1 dell’art. 86 del d. lgs. n. 276 del 2003, inserendovi una limitazione alla possibilità per i contratti collettivi aziendali di stabilire termini di efficacia delle collaborazioni stipulate ai sensi della disciplina previgente diversi da quello contemplato dal primo periodo dello stesso comma 1 dell’art. 86: è ora previsto, infatti, che i contratti collettivi in questione non possono stabilire un termine di efficacia superiore al 24 ottobre 2005.
8.5. Con la sentenza n. 399 del 2008 la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della disposizione con la quale, in via transitoria, si era prevista l’anticipata cessazione dell’efficacia delle collaborazioni coordinate e continuative già instaurate alla data della sua entrata in vigore, così estendendo il divieto anche ai contratti di lavoro autonomo perfettamente leciti al momento della loro stipulazione.
8.6. Il giudice delle leggi ha ritenuto che alle collaborazioni coordinate e continuative già stipulate alla data di entrata in vigore del d.lgs n. 276 del 2003 non si applicasse la disciplina sopravvenuta, dettata dal d.lgs. n. 276 del 2003, e che dovesse mantenere efficacia fino alla scadenza pattuita dalle parti la preesistente disciplina. Ha osservato infatti che nel nuovo regime per i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa si è stabilito, tra l’altro, che essi debbano essere necessariamente riconducibili ad uno o più progetti specifici o programmi di lavoro o fasi di esso determinati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore (art. 61, comma 1) e che i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa instaurati senza l’individuazione di uno specifico progetto, programma di lavoro o fase di esso ai sensi dell’art. 61, comma 1, sono considerati rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato sin dalla data della loro costituzione (art. 69, comma 1).
8.7. Nel dichiarare l’illegittimità costituzionale della disposizione con la quale in via transitoria si era prevista l’anticipata cessazione dell’efficacia delle collaborazioni coordinate e continuative già instaurate alla data della sua entrata in vigore si era esteso in maniera irragionevole il divieto anche ai contratti di lavoro autonomo perfettamente leciti al momento della loro stipulazione. La Corte costituzionale ha ritenuto che in tal modo si sacrificavano interessi che le parti avevano regolato nel rispetto della disciplina dell’epoca, irragionevolmente e contraddittoriamente con la ratio del decreto, che era quello di “aumentare i tassi di occupazione e di promuovere la qualità e la stabilità del lavoro” (art. 1, comma 1, d.lgs. n. 276 del 2003). Si determinava così un effetto esattamente contrario (perdita del lavoro) a danno di soggetti che, per aver instaurato rapporti di lavoro autonomo prima della sua entrata in vigore nel pieno rispetto della disciplina all’epoca vigente, si trovavano penalizzati senza un motivo plausibile.
8.8. Conseguentemente si è escluso che potesse essere convenzionalmente o per legge limitato l’ambito di applicazione della legge propria del contratto da individuare in quella vigente al momento della sua stipulazione.
8.9. Tanto premesso ritiene il Collegio che nel caso in esame erroneamente la Corte abbia verificato la legittimità del contratto alla luce della disciplina sopravvenuta alla sua stipulazione.
8.10. Va premesso in fatto che il contratto di collaborazione coordinata e continuativa intercorso tra le parti – del quale la lavoratrice ha denunciato l’illegittimità per ottenerne la conversione in un rapporto subordinato a tempo indeterminato – è incontestatamente cessato il 22.10.2004, entro il termine annuale di ultrattività della disciplina previgente fissato dell’art. 86 del d.lgs. n. 276 del 2003 (il 24 ottobre 2004). Resta perciò irrilevante la circostanza che quel contratto fosse o meno assoggettato ad un termine finale. Ad esso già prima dell’intervento della Corte costituzionale avrebbe dovuto applicarsi la disciplina previgente.
8.11. Peraltro, ad avviso del Collegio, coerentemente con l’interpretazione data dalla Corte costituzionale alla disciplina transitoria, anche alle collaborazioni coordinate e continuative per le quali, come nel caso di specie, non sia stato fissato sin dalla sottoscrizione del contratto un termine devono applicarsi le regole vigenti all’atto della stipulazione del contratto. E’ al momento della genesi del contratto che si definisce il regime del rapporto con esso instaurato ed è in tale regime contrattuale che il lavoratore può chiedere che si accerti comunque che il rapporto di lavoro autonomo, pur legittimamente istaurato come collaborazione continuativa e coordinata, si sia diversamente atteggiato come rapporto di lavoro subordinato stante l’inserimento stabile nell’ organizzazione del destinatario della prestazione, l’assoggettamento al suo potere disciplinare ed alle sue direttive, tratto tipico quest’ultimo della subordinazione che è riscontrabile anche quando il potere direttivo del datore di lavoro viene esercitato de die in diem, consistendo, in tal caso, il vincolo della subordinazione, nell’accettazione dell’esercizio del suddetto potere direttivo di ripetuta specificazione della prestazione lavorativa richiesta in adempimento delle obbligazioni assunte dal prestatore stesso (cfr. Cass. 09/04/2014 n. 8364 e poi anche 06/11/2018 n. 29640).
8.12. Erra perciò la Corte nel ritenere che la legittimità del primo dei rapporti (quello che si è protratto dal 28.5.2002 al 22.10.2004 quando è cessato ed è stato sostituito da un diverso rapporto qualificato come lavoro autonomo) debba essere verificata alla luce della disciplina sopravvenuta del contratto di lavoro a progetto e, pertanto, sul punto la sentenza deve essere cassata con rinvio alla Corte di appello che procederà ad un nuovo esame di quel rapporto verificandone la legittimità alla luce dei principi dettati dalla legge n. 196 del 1997 che ad esso continua ad applicarsi.
9. Il secondo ed il terzo motivo di ricorso sono invece infondati.
9.1. Il secondo perché coerentemente con la decisione più sopra assunta non può qui venire in rilievo, qualsiasi ne sia l’interpretazione, l’art. 62 del d.lgs n. 276 del 2003, l’esistenza o meno di un progetto e la sua tempestiva allegazione. La verifica della legittimità del contratto deve essere effettuata secondo i parametri diversi dettati dalla legge ultrattivamente applicabile all’intero rapporto fino alla sua cessazione il 22.10.2004.
9.2. Quanto alle censure riportate nella seconda parte del secondo motivo e nel terzo mezzo di ricorso, ritiene il Collegio che, in disparte i profili di inammissibilità denunciati dalla controricorrente, costituisce orientamento ormai consolidato (cfr. da ultimo Cass. n. 9339 del 2022), quello secondo cui il regime sanzionatorio articolato dal D.lgs. n. 276 del 2003, art. 69 (nella versione antecedente le modifiche apportate dalla L. n. 92 del 2012), pur imponendo in ogni caso l’applicazione della disciplina del rapporto di lavoro subordinato, contempla due distinte e strutturalmente differenti ipotesi, atteso che, al comma 1, sanziona il rapporto di collaborazione coordinata e continuativa instaurato senza l’individuazione di uno specifico progetto, realizzando un caso di c.d. conversione del rapporto ope legis, restando priva di rilievo l’appurata natura autonoma dei rapporti in esito all’istruttoria, mentre al comma 2 disciplina l’ipotesi in cui, pur in presenza di uno specifico progetto, sia giudizialmente accertata, attraverso la valutazione del comportamento delle parti posteriore alla stipulazione del contratto, la trasformazione in un rapporto di lavoro subordinato in corrispondenza alla tipologia negoziale di fatto realizzata tra le parti” (cfr. Cass. n. 12820 del 2016; Cass. n. 17127 del 2016, Cass. n. 12647 del 2019; Cass. n. 17707 del 2020 e, fra le più recenti, n. 27543 del 2020, Cass. n. 28918 del 2021).
9.3. Secondo l’orientamento indicato, l’art. 69, comma 1, del D.lgs. n. 276 del 2003 (“ratione temporis” applicabile, nella versione antecedente le modifiche di cui alla L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 23, lett. f), si interpreta nel senso che, quando un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa sia instaurato senza l’individuazione di uno specifico progetto, programma di lavoro o fase di esso, non si fa luogo ad accertamenti volti a verificare se il rapporto si sia esplicato secondo i canoni dell’autonomia o della subordinazione, ma ad automatica conversione in rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, sin dalla data di costituzione dello stesso.
9.4. Parte ricorrente propone in questa sede questione di incostituzionalità in caso di lettura della disposizione dell’art. 69 non incisa dalla nuova disciplina della legge n. 92/2012.
9.5. Questa Corte, anche di recente (Cass. n. 9339/2022), ha già affrontato i dubbi di costituzionalità palesati dalla società ricorrente pervenendo ad una decisione di manifesta infondatezza: Cass. n. 9471 del 2019 (confermata da Cass. n. 15108 del 2020 e da Cass. n. 27077 del 2020) ha specificamente affrontato gli stessi argomenti posti a base del ricorso ora all’esame, affermando che il regime sanzionatorio previsto dal D.lgs. n. 276 del 2003, art. 69, comma 1, (nel testo ratione temporis applicabile, anteriore alle modifiche apportate dalla L. n. 92 del 2012), in caso di assenza di specifico progetto, programma di lavoro o fase di esso, non contrasta con il principio di “indisponibilità del tipo”, posto a tutela del lavoro subordinato e non invocabile nel caso inverso, né con l’art. 41 Cost., comma 1, in quanto trae origine da una condotta datoriale violativa di prescrizioni di legge ed è coerente con la finalità antielusiva perseguita dal legislatore.
9.6. È stato osservato che “…i dubbi di compatibilità costituzionale prospettati dai ricorrenti trovano adeguata soluzione solo osservandosi che nel caso non vengono sottratti al giudice i poteri di qualificazione del rapporto, ma introdotta una sanzione che consiste nell’applicazione al rapporto delle garanzie del lavoro dipendente. La Corte Costituzionale, con le sentenze 25 marzo 1993, n. 121 e 23 marzo 1994, n. 115, ha escluso che rispettivamente il legislatore o le parti possano imporre presunzioni o qualificazioni contrattuali di autonomia che sottraggono alle indefettibili garanzie del lavoro subordinato una fattispecie che come tale si realizza. Il principio di “indisponibilità del tipo” è stato quindi dettato al fine di evitare sottrazioni di tutele al lavoro subordinato, ed è sorretto da una ragione verosimilmente univoca e non invocabile nel caso inverso. D’altra parte, il nostro ordinamento non è estraneo alla previsione dell’applicazione delle regole del lavoro subordinato come sanzione in caso di violazioni, elusioni, abusi di determinate forme di contratti di lavoro (v. L. n. 1369 del 1960, art. 1, comma 5, L. n. 230 del 1962, art. 1). La previsione non può infine ritenersi in contrasto con l’art. 41 Cost., comma 1, in quanto trae origine da una condotta posta in essere dal datore di lavoro e violativa di prescrizioni di legge, né inadeguata, essendo coerente con il fine del legislatore, di perimetrare il potere di stipulare contratti a progetto per evitare l’elusione delle tutele predisposte per il lavoro subordinato” (sent. cit., in motivazione).
10. Alla luce delle considerazioni esposte deve essere accolto il primo motivo di ricorso mentre vanno rigettati il secondo ed il terzo. La sentenza deve essere cassata in relazione al motivo accolto e rinviata alla Corte di appello di Roma che, in diversa composizione, riesaminerà la legittimità del rapporto tenendo conto, quanto al primo periodo di lavoro, di quanto disposto dalla legge n. 196 del 1997. Alla Corte del rinvio è demandata inoltre la regolazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo di ricorso. Rigetta il secondo ed il terzo motivo.
Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
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