Corte di Cassazione sentenza n. 15118 depositata il 15 luglio 2019
Lavoro – Rapporto di lavoro – Giorni di permesso – Legge 104/1992 – Determinazione dei giorni di ferie maturati
FATTI DI CAUSA
1. Con sentenza n.2941 pubblicata il 31.5.2017 la Corte d’appello di Roma ha respinto l’appello proposto da AMA – Azienda Municipalizzata Ambiente s.p.a. avverso la sentenza di primo grado che, in accoglimento della domanda dei lavoratori, aveva riconosciuto l’illegittimità della decurtazione dei giorni di permesso fruiti ai sensi dell’art. 33, comma 3, L. n. 104 del 1992 ai fini del computo delle ferie.
2. La decisione impugnata, conformandosi alla giurisprudenza di questa Corte che aveva deciso analoghe controversie (sia pure relative alla questione di computabilità di detti permessi ai fini della tredicesima mensilità e della gratifica natalizia), ha ritenuto che i giorni di permesso di cui all’art. 33 cit. concorressero alla determinazione dei giorni di ferie maturati.
3. Avverso tale sentenza la società AMA s.p.a. ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un unico articolato motivo (con cui è stata dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 33, L. n. 104 del 1992, dell’art. 7, u.c., L. n. 1204 del 1971 nonché dell’art. 12 delle preleggi, dell’art. 2, D.Lgs. n. 216 del 2003 e degli artt. 3 e 41 Cost.).
4. Hanno resistito con controricorso, illustrato da successiva memoria, i lavoratori in epigrafe indicati come controricorrenti.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Osserva il Collegio che prima della data fissata per la pubblica udienza, AMA s.p.a. ha depositato atto di rinuncia al ricorso, notificato alla parte controricorrente.
2. La rinuncia non risulta accettata, ma tale circostanza, non applicandosi al giudizio di cassazione l’art. 306 c.p.c., non rileva ai fini dell’estinzione del processo. La rinunzia al ricorso per cassazione infatti non richiede l’accettazione della controparte per essere produttiva di effetti processuali, (Cass. n. 28675 del 2005) ed inoltre, determinando il passaggio in giudicato della sentenza impugnata, comporta il venir meno dell’interesse a contrastare l’impugnazione (Cass., sez. un., n. 1923 del 1990; n. 4446 del 1986, ord. n. 23840 del 2008, n. 3971 del 2015).
3. Sussistono, pertanto, le condizioni previste dall’art. 390 c.p.c. perché sia dichiarata l’estinzione del processo.
4. Rimane comunque salva la condanna della rinunciante alle spese del giudizio (Cass. n. 4446 del 1986; ord. n. 23840 del 2008) che, nella fattispecie, si ritiene di compensare nella misura del 50% in ragione del comportamento della società AMA s.p.a.; quest’ultima si è conformata ai principi affermati da questa Corte (cfr., oltre a Cass. n. 15435 del 2014, le più recenti Cass. Ord. n. 14187 del 2017; in motivazione n. 2466 del 2018 e n. 14468 del 2018) dando ad essi attuazione attraverso la sottoscrizione dell’accordo aziendale del 31.7.2018, nei confronti di tutti i dipendenti.
5. La declaratoria di estinzione esonera la parte ricorrente dal versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del D.P.R. 30 maggio 2002, nr. 115, art. 13, comma 1 bis (cfr. Cass. n. 3688 del 2016; n. 23175 del 2015).
P.Q.M.
dichiara estinto il processo.
Condanna la AMA s.p.a. al pagamento in favore della parte controricorrente della metà delle spese del giudizio di legittimità liquidata in euro 2.500,00 per compensi professionali, in euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge, compensando l’altra metà, con distrazione in favore dell’avv.to A.D.M..
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