Corte di Cassazione ordinanza n. 15597 depositata il 22 luglio 2020
sanzioni tributarie – incertezza interpretativa – limite alla compensazione del credito IVA – natura di circolari e risoluzioni – comunictato stampa
FATTI DI CAUSA
Rilevato che:
1. l’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale di Torino n. 58/36/12, depositata il 15 giugno 2012, che ha confermato la sentenza di primo grado, con cui era stato accolto l’originario ricorso della società contribuente, T. s.r.l., avverso un atto di contestazione in materia di IVA, relativo all’anno 2006;
2. il ricorso è affidato a tre motivi;
3. la contribuente non si è costituita, benché regolarmente intimata.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Considerato che:
1. con il primo motivo di ricorso, parte ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 25 del d. lgs. 9 luglio 1997, n. 241, come modificato dall’art. 34, comma 1, della l. 23 dicembre 2000, n. 388;
2. con il secondo motivo di ricorso, parte ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 6 del d. lgs. n. 472 del 1997, dell’art. 10 della l. 27 luglio 2000, n. 212 e dell’art. 8 del d. lgs. n. 546 del 1992;
3. con il terzo motivo di ricorso, parte ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., la nullità della sentenza e del procedimento per violazione e falsa applicazione dell’art. 16, commi 3, 4, 5, 25 del d. lgs. n. 472 del 1997;
4. i primi due motivi, tra loro strettamente connessi, vanno esaminati congiuntamente;
5. essi ruotano intorno all’interpretazione dell’art. 25, comma 2, del d. lgs. n. 241 del 1997, norma che stabilisce il limite massimo dei crediti d’imposta e dei contributi che possono essere compensati per ciascun periodo d’imposta;
6. la sentenza impugnata ha ritenuto che nella valutazione del superamento del limite stabilito – e dunque sia ai fini del recupero del credito sia ai fini dell’irrogazione delle conseguenti sanzioni – nel computo dei crediti compensabili non debbano essere calcolati i crediti trimestrali derivanti dalle liquidazioni periodiche IVA;
7. si tratta di una affermazione errata, in quanto una simile esclusione non è ricavabile né dalla norma generale in materia di compensabilità dei crediti verso l’Amministrazione finanziaria (art. 17 del d. lgs. n. 241 del 1997), né dalle norme in materia di IVA che l’art. 17 richiama, né infine dalle disposizioni che si sono succedute nel fissare il limite massimo dei crediti compensabili (art. 25 del d. lgs. n. 241 del 1997, come integrato dall’art. 34 della l. n. 388 del 2000);
8. come più volte di recente chiarito da questa S.C., in tema di IVA, l’art. 34 della l. n. 388 del 2000, nel testo applicabile “ratione temporis”, sancendo che, a decorrere dall’1° gennaio 2001, il limite massimo dei crediti d’imposta e dei contributi compensabili ai sensi dell’art. 17 del d.lgs. n. 241 del 1997, per i soggetti intestatari di conto fiscale, è fissato in lire 1 miliardo (euro 516.546,90) per ciascun anno solare, ha inteso introdurre, per ogni periodo d’imposta, al fine di non squilibrare eccessivamente le previsioni di gettito fiscale annuale, un limite invalicabile alla possibilità del contribuente di porre in compensazione crediti fiscali e debito IVA, che non può essere superato neanche in sede di liquidazioni periodiche (Cass. 26/09/2018, n. 22962, Cass. 29/3/2017, n. 8101);
9. tale indirizzo fa leva anche sull’interpretazione della Corte di Giustizia Ue, la quale, nella sentenza del 16 marzo 2017, in C- 211/2016, ha negato che la normativa nazionale italiana che limita la compensazione di taluni debiti tributari con crediti d’iva a un importo massimo determinato, per ogni periodo d’imposta, sia contraria all’art. 183, comma 1, della dir. 2006/112/Ce del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’iva, come modificata dalla direttiva 2010/45/Ue del Consiglio, del 13 luglio 2010, a condizione che l’ordinamento giuridico nazionale preveda comunque la possibilità per il soggetto passivo di recuperare tutto il credito d’iva entro un termine ragionevole;
10. la sentenza impugnata, escludendo il diritto dell’Amministrazione al ripristino del credito utilizzato in eccedenza, ha pertanto violato le suddette disposizioni;
11. non osta a tale conclusione il fatto che la CTR si sia essenzialmente basata sulla Risoluzione dell’Agenzia delle entrate 218/E/2003, la quale prevedeva: “non concorrono alla determinazione di questo limite i crediti d’imposta derivanti da agevolazioni o incentivi fiscali, per i quali esiste una copertura di legge, i crediti trimestrali derivanti dalle liquidazioni periodiche IVA, i crediti compensati con debiti della stessa imposta”;
12. tale Risoluzione, ancorché idonea, come tra breve si dirà, a creare una situazione di incertezza interpretativa rilevante e dunque a ingenerare nei contribuenti un affidamento tutelabile, non può comunque incidere sull’adempimento dell’obbligazione tributaria;
13. come infatti chiarito più volte dalla giurisprudenza di legittimità, le circolari ministeriali in materia tributaria non costituiscono fonte di diritti e obblighi, sicché, ove il contribuente si sia conformato a un’interpretazione erronea fornita dall’Amministrazione finanziaria, non è esonerato dall’adempimento dell’obbligazione tributaria (Cass.11/7/2019, n. 18618, Cass. 9/1/2019, n. 371, Cass. 18/5/2016, n. 10195);
14. il primo motivo di ricorso è pertanto fondato;
15. il secondo motivo è invece infondato;
16. come anticipato, la citata Risoluzione 218/E/2003 si profila effettivamente idonea a generare una situazione di incertezza interpretativa rilevante e dunque a ingenerare nei contribuenti un affidamento tutelabile, contenendo la seguente netta affermazione:”non concorrono alla determinazione di questo limite … i crediti trimestrali derivanti dalle liquidazioni periodiche IVA”;
17. del resto, tale situazione di incertezza è stata riconosciuta nel ricorso per cassazione dalla stessa Agenzia, la quale non solo non ha negato che la Risoluzione contenesse la frase sopra riportata, ma ha ammesso che esso aveva fatto emergere perplessità tra gli addetti ai lavori;
18. la sentenza impugnata deve dunque dirsi corretta nella parte in cui ha riconosciuto la buona fede del contribuente limitatamente all’irrogazione delle sanzioni e all’applicazione degli interessi, ravvisando la causa di non punibilità prevista dall’art. 6, comma 2, del d. lgs. n. 472 del 1998 e comunque conformandosi al principio generale contenuto nell’art. 10, comma 2, della l. n. 212 del 2000, secondo cui “non sono irrogate sanzioni né richiesti interessi moratori al contribuente, qualora egli si sia conformato a indicazioni contenute in atti dell’amministrazione finanziaria, ancorché successivamente modificate dall’amministrazione medesima, o qualora il suo comportamento risulti posto in essere a seguito di fatti direttamente conseguenti a ritardi, omissioni od errori dell’amministrazione stessa” (v. proprio con riferimento all’affidamento ingenerato dalla Risoluzione n. 281/E/2003, Cass. 9/1/2019, nn. 370 e 371);
19. il Collegio non ritiene che tali conclusioni possano essere inficiate dal fatto, evidenziato in ricorso, che l’Amministrazione avrebbe fugato le perplessità causate dalla citata Risoluzione del 2003 attraverso un comunicato stampa del 2004, nel quale sarebbe stata confermata l’esistenza in assoluto del limite annuale per le compensazioni;
20. anche a voler trascurare il fatto che l’Agenzia non ha riportato il contenuto esatto di tale comunicato stampa, così violando il canone dell’autosufficienza del ricorso per cassazione, va ribadito quanto di recente affermato da questa Corte proprio con riferimento alla Risoluzione n. 281/E/2003 e al successivo comunicato stampa (v. le più volte citate Cass. 9/1/2019, nn. 370 e 371);
21. da un lato, va ricordato che, secondo la giurisprudenza eurounitaria, la tutela dell’affidamento del contribuente, che si trovi in una situazione dalla quale risulti che l’amministrazione comunitaria gli ha dato aspettative fondate, implica che “la revoca di un atto amministrativo favorevole è generalmente soggetto a condizioni molto rigorose; sicché – pur se è innegabile che ogni istituzione comunitaria, la quale accerta che un atto da essa emanato è viziato da illegittimità, ha il diritto di revocarlo entro un termine ragionevole con effetto retroattivo – tale diritto può essere limitato dalla necessità di rispettare il legittimo affidamento del destinatario dell’atto, che può aver fatto affidamento sulla legittimità dello stesso, allorquando nessun interesse di ordine pubblico prevale sull’interesse del destinatario a conservare una situazione che egli poteva considerare stabile e nulla attesta che il destinatario abbia provocato l’atto mediante indicazioni false o incomplete” (Cass. 9/1/2019, nn. 370 e 371);
22. sul versante del diritto interno, “va poi considerato quanto chiarito da questa Corte con riferimento proprio alla collocazione di un provvedimento atipico (o meglio di un non provvedimento) nei rapporti Fisco-Contribuente quale è il comunicato stampa; esso invero non si colloca, nella gerarchia delle fonti, in alcun gradino logico, e certamente è quindi sottordinato … rispetto alle risoluzioni Ministeriali e alle circolari, non ammettendosi in materia tributaria invero neppure alcuna rilevanza agli usi, anche a voler in tal ultima categoria collocare il comunicato stampa” (Cass. 9/1/2019, nn. 370 e 371);
23. in ogni caso, a ulteriore dimostrazione dell’esistenza di un legittimo e incolpevole affidamento da parte della società contribuente rispetto a un avviso relativo all’anno d’imposta 2006, va rilevato (ancora con Cass. 9/1/2019, nn. 370 e 371) che i citati orientamenti della Corte di giustizia e di questa Corte, che hanno ritenuto legittimi i limiti alla compensazione dei crediti, si sono consolidati in tempi recenti, ben dopo l’insorgere della presente lite e l’adozione degli atti dell’Agenzia delle entrate sopra menzionati (Corte giust. 16 marzo 2017, causa C-211/2016, Cass. 26/09/2018, n. 22962, Cass.29/3/2017, n. 8101, Cass. 31/1/2014, n. 2215);
24. rispetto all’irrogazione delle sanzioni e all’applicazione degli interessi, la sentenza impugnata deve dunque dirsi corretta, con conseguente rigetto del relativo motivo;
25. il terzo motivo è inammissibile, poiché la questione della improcedibilità del ricorso tributario originario ex art. 16, comma 5, del d. lgs. n. 472 del 1997, è stata posta per la prima volta con il ricorso per cassazione, come riconosce la stessa Agenzia ricorrente;
26. né vale a escludere l’inammissibilità il fatto che l’improcedibilità, al pari di altri vizi processuali, sia rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del processo;
27. il principio generale di conversione delle nullità in motivi di impugnazione implica che, ove l’eventuale nullità derivante da un vizio procedimentale del giudizio di primo grado non sia stata dedotta come mezzo di gravame avverso la sentenza che abbia deciso sulla domanda, si forma un giudicato interno implicito preclusivo della proposizione della questione per la prima volta in sede di legittimità (v. tra le altre Cass. 4/10/2018, n. 24156);
28. l’accoglimento del primo motivo giustifica la cassazione della sentenza impugnata e il rinvio, in relazione al motivo accolto, alla Commissione tributaria regionale del Piemonte, in diversa composizione, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, dichiarando infondato il secondo e inammissibile il terzo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Commissione tributaria del Piemonte in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di
legittimità.
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