Corte di Cassazione sentenza n. 16099 depositata il 19 maggio 2022
rimborso crediti erariali – interessi di mora
Fatti di causa
Emerge dalla narrativa della sentenza che in relazione al periodo d’imposta 2010 la s.p.a. Alpiq Energia Italia chiese nella dichiarazione annuale il rimborso del credito iva di euro 21.300.000,00. L’Agenzia delle entrate invitò la contribuente dapprima a definire i carichi pendenti o, in alternativa, a prestare garanzia fideiussoria e, non avendone avuto riscontro, dispose il fermo amministrativo; poi a produrre documentazione giustificativa, che fu esibita in data 8 maggio 2012 e, in data 28 novembre 2013, a produrre polizza fideiussoria, che fu prestata in data 4 marzo 2014. Ne seguì il 7 maggio 2014 l’avviso di riconoscimento del rimborso iva per l’importo di euro 9.686.104,38, comprensivo di interessi per euro 66.938,85, che scontava i periodi di sospensione per tardività nella presentazione della documentazione giustificativa e per la necessità di verificare i carichi pendenti, nonché per tardività della presentazione della polizza fideiussoria.
La contribuente formulò apposita istanza per ottenere la differenza degli interessi, per il periodo dal 29 dicembre 2011 al 7 maggio 2014, esclusi i 187 giorni decorsi tra la richiesta di documentazione giustificativa e la presentazione di essa, nonché tra la richiesta della fideiussione e l’ottenimento di essa, ma ebbe in riscontro un diniego, che impugnò, ottenendone l’annullamento dalla Commissione tributaria provinciale di Milano.
Quella regionale della Lombardia ha accolto l’appello dell’Agenzia anzitutto affermando l’applicabilità del fermo amministrativo previsto dall’art. 69, comma 6, del r.d. n. 2440/1923 anche in caso di rimborso dell’iva e poi escludendo che l’Agenzia potesse essere considerata in mora posto che il ritardato pagamento era stato determinato dall’omesso riscontro della società della richiesta dell’Agenzia di produzione della definizione dei carichi pendenti.
Contro questa sentenza propone ricorso la contribuente per ottenerne la cassazione, che affida a tre motivi, che illustra con memoria, cui l’Agenzia non replica con controricorso, ma deposita memoria.
Ragioni della decisione
1.- Il primo motivo di ricorso, col quale la società denuncia la violazione o falsa applicazione dell’art. 69, comma 6, del r.d. n. 2440/1923, nonché dell’art. 38-bis, comma 3, del d.P.R. n. 633/72, là dove il giudice d’appello ha ritenuto applicabile ai rimborsi iva l’istituto del fermo amministrativo, è infondato.
Si è difatti esclusa l’autosufficienza del microcosmo normativo
dell’iva, sicché l’amministrazione finanziaria, anche in tema di iva si può ben valere del generale potere di sospensione del pagamento previsto dall’art. 69 del r.d. n. 2440/23 a salvaguardia della compensazione legale del credito che il fisco abbia o pretenda di avere con quello del contribuente suo creditore; e ciò perché si tratta di uno strumento posto a presidio della certezza dei rapporti patrimoniali tra i cittadini e lo Stato (Cass., sez. un., n. 2320/20).
Il motivo va quindi respinto.
2.- Fondato è, invece, il secondo motivo di ricorso, col quale la contribuente denuncia la violazione o falsa applicazione dell’art. 38-bis, comma 1, settimo periodo, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, dell’art. 183, par. 1, della direttiva iva, come recepito dall’art. 30, comma 2, del d.P.R. n. 633/72, dei principi unionali di neutralità e proporzionalità, nonché del principio di collaborazione e buona fede stabilito dall’art. 10, comma 1, della I. 27 luglio 2000, n. 212, là dove il giudice d’appello non ha tenuto conto, nel giudizio sull’addebitabilità della mora, della sorte dei carichi pendenti in forza dei quali il fermo è stato disposto.
Il tema oggetto di discussione concerne gli effetti del fermo amministrativo sul decorso degli interessi sulla somma da rimborsare, maturati nel periodo della sospensione derivante dall’adozione della misura.
2.1.- A norma dell’art. 183 della direttiva iva, «Qualora, per un periodo d’imposta, l’importo delle detrazioni superi quello dell'[imposta sul valore aggiunto (IVA)] dovuta, gli Stati membri possono far riportare l’eccedenza al periodo successivo, o procedere al rimborso secondo modalità da essi stabilite. Tuttavia, gli Stati membri possono rifiutare il rimborso o il riporto se l’eccedenza è insignificante». Il rimborso è dunque parte integrante del sistema dell’iva, ed è volto a esonerare interamente l’imprenditore dal peso economico dell’imposta dovuta o assolta nell’ambito di tutte le sue attività economiche.
Gli Stati membri dispongono di un certo margine di discrezionalità nella determinazione delle modalità di applicazione dell’art. 183. Occorre, tuttavia, che non sia leso il principio della neutralità fiscale; si deve quindi consentire al soggetto passivo di recuperare la totalità del credito risultante dall’eccedenza cui egli ha diritto, di modo che il rimborso va eseguito entro un termine ragionevole e, comunque, il sistema di rimborso adottato non deve esporre il soggetto passivo a riscllio finanziario alcuno (Corte giust. causa C-107/10, Enel Maritsa Iztok 3, punto 33; causa C-487/20, Philips Ora tie SRL, punto 25).
Per conseguenza, qualora il rimborso dell’eccedenza di iva non avvenga entro un termine ragionevole, il soggetto passivo ha diritto agli interessi di mora, perché altrimenti la sua situazione risulterebbe pregiudicata, in violazione del suddetto principio di neutralità: sebbene l’art. 183 della direttiva iva non preveda l’obbligo di corresponsione di interessi sull’eccedenza di iva da rimborsare, né specifichi il dies a quo ai fini della determinazione relativa, il principio in questione comunque comporta che le perdite finanziarie generate da un rimborso eseguito oltre un termine ragionevole siano compensate dal pagamento di interessi di mora (Corte giust. causa C-387/16, Nidera, punto 25; causa C-446/18, Agrobet CZ, punto 40; causa C-844/19, es, punto 40).
3.- Per escludere la corresponsione degli interessi occorre per conseguenza stabilire che il rimborso sia stato eseguito entro un termine ragionevole (Cass. n. 28333/18), oppure che non sia configurabile la mora del debitore, ossia dell’amministrazione, per mancanza di certezza del debito (sul punto, fra varie, Cass. nn. 28257 e 28258/13). Non rilevano le cause del ritardo nel rimborso, né le perdite effettivamente subite dall’avente diritto al rimborso (Corte giust. in causa C-387/16, cit.).
3.1.- Nel caso in esame è indubbio che il rimborso non sia avvenuto entro un termine ragionevole.
Il diritto interno ragguaglia in generale a novanta giorni il termine entro il quale si deve procedere al rimborso, in base all’art. 38-bis, comma 1, ultimo nucleo normativo, del d.P.R. n. 633/72, secondo cui «Sulle somme rimborsate si applicano gli interessi in ragione del 9 per cento annuo, con decorrenza dal novantesimo giorno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione, non computando il periodo intercorrente tra la data di notifica della richiesta di documenti e la data della loro consegna, quando superi quindici giorni. Con provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate sono definite le ulteriori modalità ed i termini per l’esecuzione dei rimborsi previsti dal presente articolo dalla scadenza del termine di presentazione».
4.- Indubbiamente si deve consentire lo svolgimento di una verifica fiscale che accerti la sussistenza dei presupposti del rimborso sotto il versante dell’esistenza di controcrediti che non consentano di procedervi, sebbene ciò comporti la proroga del termine per ottenere il rimborso e la conseguente dilazione della corresponsione di interessi (Corte giust. in causa C-107/10, cit.).
4.1.- Una tale proroga non può, tuttavia, essere irragionevole a propria volta; il che accadrebbe se essa, in una situazione in cui emerga la correttezza dell’importo del rimborso d’imposta dichiarato nella dichiarazione fiscale, vada oltre quanto è necessario per la proficua conclusione del procedimento di verifica (è stato ritenuto adeguato il termine normale di 45 giorni, e irragionevole il periodo di quasi otto mesi in concreto in quel caso trascorso: Corte giust., causa C-107/10, cit., punto 51 e dispositivo), e sia esclusa la compensazione garantita dagli interessi: in tal modo si produrrebbe l’effetto di privare il soggetto passivo dei fondi corrispondenti all’eccedenza dell’iva.
Non riesce a elidere il pregiudizio subito dal titolare del credito oggetto della richiesta di rimborso la possibilità che gli è riconosciuta di abbreviare i termini per ottenere il rimborso fornendo una cauzione o anche una garanzia come la fideiussione.
E ciò perché l’obbligo di costituzione della cauzione o della garanzia, che di norma è prestata a titolo oneroso, produce, in realtà, unicamente l’effetto di sostituire l’onere finanziario relativo all’immobilizzazione dei fondi corrispondenti all’eccedenza dell’iva per la durata del procedimento di verifica con quello corrispondente all’immobilizzazione dell’importo della cauzione o al costo della garanzia (Corte giust. in causa C-107/10, cit., punto 60).
5.- Su un piano diverso si colloca la contestazione del credito esposto dal contribuente nella dichiarazione, che l’amministrazione può svolgere, se il credito non derivi dalla sottostima dell’imposta dovuta, anche qualora siano scaduti i termini per l’esercizio del proprio potere di accertamento o di rettifica dell’imponibile e dell’imposta dovuta, senza che abbia adottato alcun provvedimento (come stabilito da Cass., sez. un., nn. 21765 e 21766/21).
5.1.- L’importo dell’imposta dovuta, e quello dell’imposta detraibile costituiscono difatti poste di un’operazione aritmetica compiuta globalmente dal soggetto passivo per l’intero periodo d’imposta, ma conservano la loro autonomia, sicché possono risultare controverse, perché contestate, anche soltanto in parte (Corte giust. in causa C-446/18, cit.).
Il contribuente è quindi onerato della prova del fatto costitutivo del credito iva vantato (Cass. n. 12291/18 e n. 1822/19), che ha ad oggetto l’iva addebitatagli “a monte” da quanti gli abbiano ceduto beni o reso servizi, che sia di importo maggiore di quella da lui addebitata “a valle” a quanti abbiano acquistato i beni da lui ceduti o richiesto i servizi da lui erogati.
Contrasterebbe difatti col diritto unionale, in base al quale il funzionamento normale del sistema comune dell’iva presuppone l’esatta riscossione dell’imposta, dar vita a un credito in realtà inesistente sol perché la dichiarazione fiscale che lo esponga non sia stata oggetto di accertamento. Sicché il soggetto passivo che non collabori con l’amministrazione fiscale nel fornire la prova del credito e ostacoli in tal modo lo svolgimento della procedura di verifica, causando il ritardo del rimborso dell’eccedenza di iva, non può chiedere il versamento di interessi dovuti al suddetto ritardo (Corte giust., causa C-254/16, Glencore Agriculture Hungary Kft., punto 26; sulla medesima falsariga, vedi Cass. n. 14930/11, nonché nn. 28257 e 28258/13, cit.).
Difatti la contribuente non dubita della legittimità della sospensione del corso degli interessi nell’arco temporale intercorso tra la richiesta della documentazione giustificativa del credito e la data in cui la documentazione è stata fornita.
6.- Nel caso in esame, per un verso il rimborso non è stato eseguito entro un termine ragionevole, posto che, a fronte della maturazione del credito, risalente all’anno d’imposta 2010, in relazione al quale gli interessi sono divenuti esigibili a far data dal successivo 29 dicembre, il rimborso è stato erogato in data 7 maggio 2014 (esclusi i periodi di sospensione in ordine ai quali non v’è contestazione da parte della contribuente, sopra specificati). Per altro verso, al cospetto dell’irragionevolezza del ritardo, non sono state addotte ragioni idonee a escludere la mora dell’amministrazione.
Secondo il giudice d’appello, non c’era mora perché gli interessi non erano esigibili prima del venir meno della sospensione dovuta a fermo amministrativo scaturente dalla sussistenza di carichi pendenti: l’esistenza di queste ragioni di credito sarebbe di per sé idonea a dilazionare il dies a quo di esigibilità del credito per interessi.
Questa prospettazione non è persuasiva avuto riguardo al sistema del diritto interno e rischia di entrare in frizione col diritto unionale.
7.- Di là dal fermo, e indipendentemente da esso (vedi Cass. n. 21082/19), è in generale affidata alle regole del processo, davanti al giudice cui domanda ed eccezione sono state proposte, l’applicazione della disciplina sostanziale della compensazione (Cass., sez. un., n. 7945/03; n. 34930/21). E, sempre sul piano generale, se è controversa, nel giudizio concernente il credito principale, o in altro giudizio già pendente, l’esistenza del controcredito opposto in compensazione, il giudice non può pronunciare la compensazione, né legale né giudiziale: la compensazione giudiziale presuppone difatti l’accertamento del controcredito da parte del giudice dinanzi al quale la medesima compensazione è fatta valere, mentre non può fondarsi su un credito la cui esistenza dipenda dall’esito di un separato giudizio in corso e prima che il relativo accertamento sia divenuto definitivo (Cass., sez. un., n. 23225/16; ne fa applicazione, da ultimo, Cass. n. 118/22).
7.1.- Quanto al rimborso del credito iva, la sospensione disposta col fermo è pur sempre funzionale alla compensazione con i controcrediti vantati: sicché il fermo è sì impugnabile per vizi propri, ma il giudizio non può avere per oggetto il solo vizio di legittimità del provvedimento sospensivo, essendo invece necessario che il contribuente alleghi anche i fatti costitutivi del proprio diritto di credito, che spiegano l’effettiva incidenza della sospensione del rimborso sulla sua posizione giuridica soggettiva, e che l’amministrazione convenuta dimostri le ragioni ostative al rimborso. Il giudice tributario deve dunque accertare la sussistenza del credito vantato dal contribuente, dopo aver esaminato i vizi di legittimità del provvedimento di sospensione (tra le più recenti, Cass. n. 22952/18; n. 15977/21).
8.- Il fermo ha difatti natura cautelare e intrinsecamente provvisoria (Cass., sez. un., n. 2320/20, cit.); e, per conservare gli effetti di una misura cautelare, la parte che ne profitta ha l’onere di far accertare l’esistenza della situazione soggettiva cautelata.
Se, dunque, non si accerti che il credito vantato e invocato per paralizzare il rimborso è suscettibile di dar luogo a compensazione con il credito fatto valere dalla controparte, gli effetti del fermo, che, si è visto, pur sempre sul piano della compensazione sono destinati a esplicarsi, si devono ritenere definitivamente elisi sin dall’origine (Cass. n. 13808/04; coerente, proprio quanto al rimborso dell’iva, n. 7952/04).
8.1.- La natura cautelare del fermo conforma difatti gli effetti derivanti dalla caducazione della misura: l’inefficacia della misura cautelare propaga la propria incidenza, a ritroso, sino al momento della sua attuazione (Cass., sez. un., n. 12103/12, punto 8).
E ciò vale anche se il provvedimento di fermo non sia stato impugnato, poiché la tutela cautelare non può generare l’effetto dichiarativo o la costituzione giudiziale di un diritto, né può comportare la cristallizzazione della situazione oggetto di cautela, proprio per l’intrinseca provvisorietà della misura.
9.- Nel caso in esame, peraltro, il giudice d’appello mostra di non dubitare del fatto che, come riportato nella narrativa della sentenza, «i carichi pendenti in ragione dei quali era stata avanzata richiesta di definizione erano stati riconosciuti illegittimi dalla medesima ORE».
L’insussistenza dei diritti cautelati dal fermo si è riverberata sulla cautela, caducandola, poiché è stata elisa perfino la mera probabilità di esistenza del diritto di credito a presidio del quale essa era posta, di modo che si è reso necessario l’adeguamento della situazione di fatto a quella di diritto (Cass., sez. un., n. 758/17, relativa agli effetti dell’annullamento dell’avviso di accertamento, anche non definitivo, sull’iscrizione nei ruoli straordinari): adeguamento che, nella sostanza, corrisponde al ripristino della situazione antecedente previsto dall’art. 669-novies, comma 2, c.p.c., che è incompatibile con la stabilità degli effetti nel periodo in cui il fermo è stato vigente.
9.1.- Del principio è stata fatta applicazione pure con riguardo alla caducazione dell’avviso in base al quale sia stato. disposta, la sospensione ex art. 23 del d.lgs. n. 472/97 (Cass. n. 2320/20, cit., a maggior ragione applicabile al fermo, che, riferendosi a mere “ragioni di credito” vantate dall’amministrazione, ne estende la strumentalità alla compensabilità di un credito la cui stessa esistenza può essere attualmente incerta).
10.- La soluzione che esclude la stabilità degli effetti del fermo, poi caducato dall’accertamento dell’insussistenza dei crediti da esso cautelati, comporta inevitabilmente l’esclusione che il corso degli interessi possa essere sospeso nel periodo di vigenza della misura: si consentirebbe altrimenti una stabilità dell’efficacia del fermo che, invece, è travolta (Cass. n. 13808/04, cit.).
10.1.- Trova quindi piena applicazione il principio di diritto unionale in base al quale un regime di calcolo degli interessi dovuti dall’erario che non assuma come dies a quo il giorno in cui l’eccedenza dell’iva avrebbe dovuto essere normalmente rimborsata risulta, in linea di principio, contrario alle esigenze
dettate dall’art. 183 della direttiva. D’altronde, ha aggiunto la Corte di giustizia (Corte giust. causa C-431/12, se Rafinaria Steaua Romana SA), dal punto di vista del soggetto passivo, non esistono differenze rilevanti tra un rimborso tardivo dovuto a un trattamento amministrativo della domanda eccedente i termini e un rimborso tardivo avvenuto a seguito di atti amministrativi che escludono illegittimamente il rimborso e che sono successivamente annullati con decisione giudiziale.
Il che a maggior ragione vale quando il rimborso sia avvenuto tardivamente per effetto di misure cautelari venute meno per l’accertata insussistenza dei crediti cautelati.
Le statuizioni di questa Corte (rese, in particolare, con la sentenza n. 17828/21) secondo cui gli interessi sono dovuti solo se e in quanto il provvedimento di sospensione sia illegittimo, vanno quindi riferite al caso in cui il provvedimento di fermo sia legittimo proprio perché sono sussistenti le ragioni di credito che esso è volto a tutelare.
11.- Nel caso in esame, per conseguenza, a fronte dell’insussistenza dei controcrediti vantati, è residuato soltanto il ritardo irragionevole nella corresponsione del rimborso, che non è stato compensato dal riconoscimento degli interessi.
Il motivo va quindi accolto e l’accoglimento comporta l’assorbimento del terzo motivo, col quale si denuncia la violazione dell’art. 115 c.p.c., là dove il giudice d’appello non ha posto a fondamento della decisione il fatto pacifico dell’annullamento o comunque dell’abbandono dei crediti in questione.
12.- In accoglimento del ricorso, la sentenza impugnata è cassata e, non sussistendo necessità di ulteriori accertamenti in fatto, il giudizio va deciso nel merito, con l’accoglimento del ricorso originariamente proposto, in applicazione del seguente principio di diritto:
“In tema di rimborso dell’eccedenza detraibile dell’iva, qualora l’amministrazione si sia valsa del fermo amministrativo ex art. 69 del R.D. 18 novembre 19i.3, n. 2440, l’accertata insussistenza dei controcrediti a cautela dei quali il fermo era stato disposto comporta che il credito richiesto a rimborso anche nel periodo di vigenza del fermo produce interessi, con decorrenza dal momento in cui essi sono diventati esigibili, anche se il fermo non sia stato impugnato“.
Vanno, tuttavia, compensate le spese dell’intero processo, in considerazione dei profili di relativa novità delle questioni trattate.
Per questi motivi
rigetta il primo motivo di ricorso, accoglie il secondo, assorbito il terzo, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso originariamente proposto. Compensa le spese dell’intero processo.
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