Corte di Cassazione sentenza n. 16102 depositata il 19 maggio 2022
dies a quo per il calcolo degli interessi di mora sui rimborsi
Fatti di causa
Emerge dalla narrativa della sentenza nonché dalla concorde ricostruzione dei fatti contenuta negli atti che in relazione al 2009 la s.p.a. E.A. Italia maturò un credito iva di euro 12.000.000,00, che richiese a rimborso. L’Agenzia delle entrate invitò la contribuente dapprima a presentare la documentazione giustificativa del credito (in data 10 agosto 2011), ottenendola il successivo 29 settembre, poi a prestare una delle garanzie previste dall’art. 38-bis del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (il 28 ottobre 2011), ottenendola il successivo 8 maggio 2012, e, infine, a definire i carichi pendenti o, in alternativa, a fornire idonea garanzia fideiussoria per l’importo corrispondente ai carichi (in data 3 luglio 2012), richiesta, quest’ultima, che rimase senza riscontro. Successivamente, in esito alla riduzione dei carichi pendenti, che aveva comportato in favore della società una differenza a credito, capiente della somma oggetto della richiesta di rimborso, l’Agenzia riconobbe il rimborso richiesto, ma liquidò, a titolo di interessi, quelli maturati a far data dal 16 agosto 2010 fino al giorno prima della data della disposizione di pagamento dell’l1 marzo 2013, con esclusione dei tre periodi di sospensione rispettivamente dei 51 giorni decorsi tra la notificazione della richiesta di documentazione giustificativa e la consegna relativa, dei 194 giorni intercorsi tra la richiesta di garanzia e la prestazione di essa, e dei 251 giorni trascorsi tra la notificazione della richiesta di definizione dei carichi pendenti e la liquidazione del rimborso.
La contribuente presentò un’istanza per ottenere la differenza, ma l’Agenzia rispose con un diniego, che la società impugnò, ottenendone l’annullamento dalla Commissione tributaria provinciale di Milano.
Quella regionale della Lombardia ha rigettato l’appello dell’Agenzia osservando, per un verso, che il fermo amministrativo non è applicabile alla materia dei rimborsi dell’iva, che l’art. 38-bis del d.P.R. n. 633/72 non fa alcun cenno alla sospensione degli interessi, e che comunque la richiesta di presentazione della documentazione concernente la definizione dei carichi pendenti non è equiparabile alla richiesta di documenti da quella norma contemplata.
Contro questa sentenza propone ricorso l’Agenzia delle entrate per ottenerne la cassazione, che affida a due motivi, e illustra con memoria, cui la società replica con controricorso, parimenti illustrato con memoria.
Ragioni della decisione
1.- Col primo motivo di ricorso, proposto ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., l’Agenzia lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 38-bis, comma 1, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 e 69 del r.d. n. 2440/1923 e 2697 e.e., là dove il giudice d’appello ha trascurato che il fermo amministrativo può essere legittimamente emesso in costanza di procedura di rimborso, che la relativa emissione non richiede particolari regole procedurali o di forma, di modo che può corrispondere, come nel caso in esame è avvenuto, alla richiesta di definizione dei carichi pendenti, e che per conseguenza non si configura il diritto ai maggiori interessi pretesi.
Si discute nella sostanza della legittimità del mancato computo degli interessi nel periodo intercorso tra la notificazione della richiesta di definizione dei carichi pendenti e l’erogazione del rimborso, poiché la contribuente non contesta la legittimità della sospensione per 248 giorni, ossia per il periodo intercorso tra la notificazione delle richieste di documentazione e la data di presentazione di essa.
Il motivo è infondato per ragioni concorrenti.
2.- Anzitutto, la stessa Agenzia riferisce di aver ottenuto, prima della richiesta di definizione dei carichi pendenti, la polizza fideiussoria prevista dall’art. 38-bis del d.P.R. n. 633/72.
Va quindi applicato il principio di diritto affermato dalle sezioni unite di questa Corte (con sentenza n. 2320/20), secondo cui, in caso di richiesta di rimborso di un credito iva, l’amministrazione finanziaria, che abbia chiesto e ottenuto dal contribuente la garanzia prevista dalla legge, non può fare uso, durante il periodo di vigenza di detta garanzia, degli strumenti cautelari, rispetto a essa alternativi. Ciò perché all’amministrazione non è consentito di cautelarsi due volte in relazione al medesimo credito; di modo che, se sia stata rilasciata una garanzia fideiussoria, e durante il periodo di efficacia di essa, è inibito il ricorso ai rimedi cautelari di sospensione.
3.- La censura è altresì infondata perché è di per sé irrilevante, ai fini dell’esigibilità degli interessi, che nel caso in esame l’Agenzia vanti ragioni di controcredito. E ciò perché la stessa Agenzia riconosce di non aver notificato un formale provvedimento di fermo, ma di aver richiesto la definizione dei carichi pendenti, a suo avviso equivalente al fermo. Tale richiesta, invece, non può fare le veci del fermo, proprio perché si tratta di una richiesta, e non già della manifestazione motivata della decisione di sospensione. Per conseguenza, mancando una formale decisione, la sospensione resta affidata a un’eccezione.
Questa Corte esclude, tuttavia, che una mera eccezione di sospensione possa paralizzare il rimborso: occorre, appunto, un formale provvedimento di sospensione motivato anche in relazione al fumus boni iuris della vantata ragione di credito da parte dell’Amministrazione, e portato a legale conoscenza dell’interessato per garantirgli ogni tutela giurisdizionale (in termini, Cass. n. 23601/11). Anche la giurisprudenza unionale, d’altronde, sottolinea che l’adozione di misure cautelari volte a garantire l’efficace riscossione dell’iva richiede la configurabilità di un controllo giurisdizionale effettivo, per consentire il controllo della proporzionalità del pregiudizio arrecato al diritto di detrazione dell’iva che abbia comportato l’eccedenza richiesta a rimborso (Corte giust., cause riunite C-286/94, C-340/95, C-401/95 e C- 47/96, Garage Molenheide BVBA, punto 55).
4.- Perdipiù i controcrediti vantati sono risultati insussistenti,
di modo che è residuato soltanto il ritardo irragionevole nella corresponsione del rimborso (la Corte di giustizia con la sentenza in causa C-107/10, Enel Maritsa Iztok 3, ha ritenuto irragionevole un periodo di quasi otto mesi), che non è stato compensato dal riconoscimento degli interessi per il periodo in contestazione.
Trova quindi applicazione il principio di diritto unionale in base al quale un regime di calcolo degli interessi dovuti dall’erario che non assuma come dies a quo il giorno in cui l’eccedenza dell’iva avrebbe dovuto essere normalmente rimborsata ai sensi della direttiva iva risulta, in linea di principio, contrario alle esigenze dettate dall’art. 183 della direttiva iva (Corte giust. causa C- 431/12, SC Rafinaria Steaua Romana SA).
5.- Il motivo va quindi respinto; il che comporta l’assorbimento del secondo, che ripropone la medesima censura sotto le spoglie del vizio di motivazione.
5.1.- Ne segue il rigetto del ricorso.
Le spese vanno, tuttavia, compensate, in considerazione della relativa novità della questione.
Per questi motivi
rigetta il ricorso e compensa le spese.
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