Corte di Cassazione sentenza n. 16103 depositata il 19 maggio 2022
rimborso IVA – termini di decadenza del potere impositivo
Fatti di causa
Come emerge dalla sentenza impugnata e dagli atti, il curatore del fallimento del Consorzio Ares società consortile, al quale è poi subentrato l’assuntore del concordato fallimentare, presentò il modello VR per ottenere il rimborso del credito iva maturato dalla società, con la causale cessazione dell’attività, ma l’Agenzia oppose diniego alla richiesta, anzitutto perché non era stata prodotta la documentazione richiesta a comprova dell’esistenza del credito, e poi perché esistevano carichi pendenti derivanti da cartelle divenute definitive.
Il curatore del fallimento impugnò il diniego, ottenendone il parziale annullamento dalla Commissione tributaria provinciale di Massa Carrara, che ritenne legittima la richiesta di documentazione giustificativa, escluse la rimborsabilità degli importi che non ritenne giustificati, derivanti da riporto di crediti dichiarati a partire dall’anno 1998, e quindi in epoca prefallimentare, e non ammise la compensazione del residuo con crediti vantati dall’amministrazione corrispondenti ai carichi pendenti, che affermò dovessero essere insinuati nel passivo fallimentare.
La Commissione tributaria regionale della Toscana ha poi accolto l’appello dell’Agenzia in riferimento alla richiesta di rimborso del credito in relazione agli anni dal 1998 al 2002, in base alla considerazione che le poste di credito relative a quel periodo non risultavano giustificate.
Contro questa sentenza propone ricorso per ottenerne la cassazione la s.r.l. Superstar, nella qualità di assuntore del concordato fallimentare del Fallimento Consorzio Ares società consortile a r.l., che affida a tre motivi e correda di memoria, cui l’Agenzia delle entrate replica con controricorso. In esito alla pubblica udienza del 15 settembre 2021 sono stati richiesti chiarimenti alla parte ricorrente in ordine alla propria legittimazione processuale; depositata memoria contenente tali chiarimenti, è stata rifissata la pubblica udienza.
Ragioni della decisione
1.- Si condivide la qualificazione, prospettata in memoria dalla parte ricorrente, come errore materiale dell’indicazione, nell’intestazione del ricorso, come parte ricorrente del Fallimento Consorzio Ares Società consortile a r.1., in luogo della Superstar s.r.l., assuntore del concordato fallimentare di quel fallimento, in base alla lettura complessiva dell’atto e, in particolare, in base alle conclusioni di esso, rese giustappunto dalla s.r.l. Superstar in quella qualità.
Di là dalle disquisizioni dottrinali e dalle applicazioni giurisprudenziali del titolo della legittimazione dell’assuntore, se ex art. 110 c.p.c., come successore a titolo universale, o ex art. 111 c.p.c., come successore a titolo particolare del fallimento, nel caso in esame non v’è dubbio che l’assuntore sia munito di legittimazione: si legge difatti in sentenza che la s.r.l. Superstar è subentrata già in appello nella causa pendente, in base al provvedimento di omologazione del concordato fallimentare, presentando appello incidentale e controdeduzioni identici a quelli già proposti dal fallimento.
2.- Con i primi due motivi di ricorso, che vanno esaminati congiuntamente, perché strettamente connessi, la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 57 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, là dove il giudice d’appello non ha considerato precluso l’accertamento dell’Agenzia per l’intervenuto decorso del termine di decadenza stabilito dalla norma invocata (primo motivo), nonché la falsa applicazione dell’art. 22 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 e la violazione dell’art. 2697 e.e., perché il giudice d’appello non ne ha escluso l’applicabilità, che postula che l’attività di accertamento dell’Agenzia sia in atto; laddove nel caso in esame il procedimento di accertamento sarebbe stato avviato quando il termine decennale fissato dall’art. 2220 e.e. per la conservazione delle scritture contabili era ormai inutilmente decorso (secondo motivo).
Il presupposto logico della ricostruzione offerta in ricorso è che la posizione tributaria del contribuente va riguardata complessivamente, perché la dichiarazione contiene le poste attive e quelle passive del rapporto tra contribuente e fisco, senza che sia possibile disgiungerle concettualmente.
Posto, dunque, che la correzione della misura di un credito comporta la correzione e la modificazione anche di quella del debito, secondo la parte ricorrente il termine di decadenza previsto dall’art. 57 del d.P.R. n. 633/72 va applicato comunque, anche qualora, quindi, oggetto della verifica dell’amministrazione sia l’esistenza di un credito di cui s’intende ottenere il rimborso, se esso sia stato di volta in volta riportato nelle dichiarazioni annuali. E poiché l’Agenzia ha esercitato il potere di verifica quando ormai era anche decorso il termine decennale fissato dall’art. 2220 e.e. per la conservazione delle scritture contabili, prosegue la società, non può essere addossato al contribuente il mancato raggiungimento della prova del credito, dovuto all’omessa produzione dei documenti giustificativi.
2.1.- La censura complessivamente proposta è infondata.
Anzitutto erroneo è il presupposto sul quale si regge l’impianto della prospettazione proposta, che è smentito dalla giurisprudenza unionale.
La Corte di giustizia ha difatti chiarito (con la sentenza 14 maggio 2020, causa C-446/18, Agrobet CZ s.r.o.) che, sebbene in base alla combinazione degli artt. 179, paragrafo 1, e 183, paragrafo 1, della direttiva iva l’eccedenza di iva risulta da un’operazione aritmetica eseguita globalmente dal soggetto passivo per l’intero periodo d’imposta, cosicché l’eccedenza può apparire, nella dichiarazione, solo sotto forma di un risultato unico, il carattere globale del calcolo non implica che l’eccedenza costituisca un’unità inscindibile, che non renda possibile distinguere operazioni precise. Al contrario: il diritto alla detrazione dell’iva pagata a monte, che forma la posta detraibile destinata a confluire nell’importo richiesto a rimborso, va inteso in relazione a un’operazione precisa (punti 31-34).
2.2.- Coerentemente, allora, le sezioni unite di questa Corte (con le sentenze coeve 29 luglio 2021, nn. 21765 e 21766, seguite, tra le più recenti, da Cass. 15 marzo 2022, n. 8401 e da Cass. 24 marzo 2022, n. 9559) hanno stabilito che, in tema di rimborso dell’eccedenza detraibile dell’imposta sul valore aggiunto, l’amministrazione finanziaria può contestare il credito esposto dal contribuente nella dichiarazione, che non derivi dalla sottostima dell’imposta dovuta, anche qualora siano scaduti i termini per l’esercizio del suo potere di accertamento o di rettifica dell’imponibile e dell’imposta dovuta, senza che abbia adottato alcun provvedimento.
3.- Non v’è difatti simmetria tra le poste di iva a debito, ossia dell’iva scaturente dalle operazioni di cessione o di prestazione di servizi, e quelle di iva a credito, ossia dell’iva detraibile derivante dalle operazioni di acquisto di beni o di servizi; e, in particolare, contrasterebbe col diritto unionale dar vita a un credito in realtà inesistente sol perché la dichiarazione fiscale che lo esponga non sia stata oggetto di accertamento.
Il contribuente è quindi onerato della prova del fatto costitutivo del credito iva vantato (Cass. 23 gennaio 2019, n. 1822; 18 maggio 2018, n. 12291), che ha ad oggetto l’iva addebitatagli “a monte” da quanti gli abbiano ceduto beni o reso servizi, che sia di importo maggiore di quella da lui addebitata “a valle” a quanti abbiano acquistato i beni da lui ceduti o richiesto i servizi da lui erogati. Rispetto a questo credito, l’amministrazione ha ampi poteri di verifica, quale che sia il tempo passato dal momento in cui i dati (imponibile e imposta) furono dal contribuente indicati in una dichiarazione non oggetto di rettifica.
Quanto, invece, alle fatture da cui scaturisce il debito iva, oltre ai controlli di completezza e a quelli relativi ai conteggi, l’amministrazione finanziaria non può far altro, qualora si tratti di annualità in relazione alle quali sono scaduti i termini per l’accertamento: non può, cioè, assumere che, oltre a quelle fatturate, sono state poste in essere anche altre operazioni, che eliderebbero o ridurrebbero il credito chiesto a rimborso.
3.1.- In definitiva, se il contribuente aveva un debito iva maggiore di quello dichiarato, e l’ufficio non ha esercitato nel termine stabilito dall’art. 57 del d.P.R. n. 633/72 il potere per l’accertamento del maggiore imponibile, non può recuperare la decadenza. Allo stesso tempo, però, se la documentazione, che il contribuente deve esibire in giudizio per ottenere il riconoscimento di quel credito che l’amministrazione gli ha negato, non è tale da dimostrarne l’esistenza, o, a maggiore ragione, se nessuna documentazione è esibita, il credito gli va negato, quale che sia il periodo di tempo trascorso dal momento in cui questo fu esposto in dichiarazione.
Questa ricostruzione contempera in maniera ragionevole i due principi che vengono in rilievo: quello in base al quale il decorso del tempo e il comportamento meramente passivo dell’amministrazione finanziaria non possono integrare un riconoscimento tacito del credito del contribuente e, quindi, non possono ingenerare un affidamento tutelabile, e quello per cui l’amministrazione non può esercitare tardivamente quei poteri che la legge assoggetta a precisi termini di decadenza.
3.2.- Né depongono in senso contrario, come pure si è sottolineato in dottrina, recenti indicazioni della giurisprudenza unionale e costituzionale:
– da un lato, la Corte di giustizia (Corte giust. 27 gennaio 2022, causa C-788/19, Commissione europea Regno di Spagna), là dove ha stabilito che «la fondamentale esigenza di certezza del diritto osta, in linea di principio, a che le autorità pubbliche possano avvalersi indefinitamente dei loro poteri per porre fine ad una situazione illegale», si è pur sempre riferita all’esercizio del potere impositivo (in quel caso volto a contrastare l’evasione e l’elusione fiscali connesse all’occultamento di attivi all’estero), e quindi ancora una volta al debito d’imposta;
– dall’altro, anche la Corte costituzionale (Corte cost. 27 ottobre 2021, 200), nel ribadire che il contribuente non dev’essere assoggettato al potere del fisco per un tempo indeterminato, facendo appunto riferimento, quali tertia comparationis, all’art. 57, comma 2, del d.P.R. n. 633/72, all’art. 43, comma 2, del d.P.R. n. 600/73, all’art. 76, comma 1, del d.P.R. n. 131/86, nonché all’art. 15 del t.u. accise, come da ultimo sostituito dall’art. 4-ter, comma 1, lettera c), del d.l. n. 193/16, si è riferita pur sempre al debito d’imposta e non già al credito vantato dal contribuente.
Ne risulta la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 57 del d.P.R. n. 633/72 prospettata in ricorso.
4.- Le sezioni unite hanno poi ricondotto al piano dell’onere della prova il distinto onere di esibizione e di conservazione della documentazione necessaria alla prova del credito, richiamando i principi già affermati da Cass., sez. un., 25 marzo 2021, n. 8500; di modo che già in tesi è inconferente la prospettazione offerta in ricorso, secondo cui il mancato raggiungimento della prova non sarebbe addebitabile alla contribuente, ma all’amministrazione, «rea di non aver esercitato il potere di verifica in un momento in cui il contribuente poteva (e doveva) avere la disponibilità della documentazione richiesta».
Il problema prospettato col secondo motivo di ricorso concernente la pretesa irragionevolezza di quest’onere, peraltro, è nel caso in esame irrilevante, poiché, pur a fronte della deduzione dell’Agenzia, secondo cui la richiesta di documentazione è stata avanzata alla parte contribuente nel 2007, in relazione a crediti dichiarati a partire dal 1998, entro, quindi, il termine decennale previsto dall’art. 2220 e.e., la parte ricorrente non ha allegato e documentato che, invece, il termine decennale era decorso.
5.- Infondato è, infine, il terzo motivo di ricorso, col quale si denuncia la violazione degli artt. 115 e 345 c.p.c., perché il giudice d’appello avrebbe violato il principio di non contestazione e il divieto di nova in appello.
Va difatti osservato che, a fronte della statuizione del giudice di primo grado, riportata in ricorso, concernente l’omessa contestazione da parte dell’Agenzia della “consistenza” del credito, dalla sentenza impugnata risulta che l’ufficio aveva appellato «ribadendo che il credito vantato non è mai stato dimostrato dal Consorzio, venendo meno al principio dell’onere della prova»: sicché, già in base alla prospettazione della ricorrente, nessuna violazione è configurabile, perché la contestazione della fondatezza del credito, ossia dell’esistenza di esso, si pone su un piano diverso da quella che riguarda l’ammontare, ossia, appunto, la consistenza.
5.1.- D’altronde, nel giudizio tributario promosso per conseguire il rimborso dell’iva, il contribuente assume la veste di attore anche in senso sostanziale, e non violano il divieto di proporre nuove eccezioni in appello, posto dall’ art. 57, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992, che grava anche sull’amministrazione finanziaria, le argomentazioni con le quali, essendo risultata soccombente in primo grado, l’Agenzia nega la sussistenza dei fatti costitutivi del proprio diritto addotti dal contribuente, o la qualificazione ad essi attribuita: queste argomentazioni costituiscono mere difese, come tali non soggette ad alcuna preclusione processuale (in termini, fra varie, Cass. 29 ottobre 2020, n. 23862).
6.- Il ricorso va in conseguenza respinto.
La recente composizione del contrasto insorto nella giurisprudenza di questa Corte comporta, tuttavia, la compensazione delle spese di lite.
Sussistono i presupposti processuali del raddoppio del contributo unificato, se dovuto.
Per questi motivi
rigetta il ricorso e compensa le spese.
Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali del raddoppio del contributo unificato, se dovuto.
Possono essere interessanti anche le seguenti pubblicazioni:
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 14 dicembre 2021, n. 40013 - Il vizio di omessa pronunzia è configurabile solo nel caso di mancato esame, da parte della sentenza impugnata, di questioni di merito, e non anche in caso di mancato esame di eccezioni pregiudiziali…
- CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 29 luglio 2021, n. 21765 - In tema di rimborso dell'eccedenza detraibile di iva, l'amministrazione finanziaria può contestare il credito esposto dal contribuente in dichiarazione, che non derivi dalla sottostima dell'imposta…
- CORTE di CASSAZIONE – Sentenza n. 3858 depositata l' 8 febbraio 2023 - In tema di rimborso d'imposte, l'Amministrazione finanziaria può contestare il credito esposto dal contribuente nella dichiarazione dei redditi anche qualora siano scaduti i termini per…
- Corte di Cassazione sentenza n. 18710 depositata il 10 giugno 2022 - In tema di rimborso d'imposta, la sussistenza del potere dell'amministrazione finanziaria di contestare il credito esposto dal contribuente nella dichiarazione dei redditi anche qualora siano…
- Corte di Cassazione sentenza n. 32911 depositata l' 8 novembre 2022 - L’art. 38, comma 6, d.P.R. n. 602 del 1973 prevede che i rimborsi delle imposte non dovute ai sensi dell’art. 26-quater d.P.R. n. 600 del 1973 sono effettuati entro un anno dalla…
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 12 novembre 2020, n. 25612 - In tema di rimborso d'imposte, l'Amministrazione finanziaria può contestare il credito esposto dal contribuente nella dichiarazione dei redditi anche qualora siano scaduti i termini per l'esercizio…
RICERCA NEL SITO
NEWSLETTER
ARTICOLI RECENTI
- Processo civile: acquisizione ed esame delle prove
La Corte di Cassazione, a Sezioni Unite Civili, chiamate a dirimere in via defi…
- I creditori titolari di un diritto di ipoteca o di
La Corte di Cassazione a Sezioni Unite con la sentenza n. 8557 depositata il 27…
- Contratto di lavoro a tempo determinato: reiterazi
La Corte di Cassazione a Sezioni Unite Civili con la sentenza n. 5542 depositata…
- Reato di omesso versamento IVA: responsabile l
La Corte di Cassazione, terza sezione penale, con la sentenza n. 13319 depositat…
- Lavoro a chiamato o intermittente: le regole, i li
Il lavoro intermittente (c.d. lavoro a chiamata) è disciplinato dal D.Lgs. n. 81…