Corte di Cassazione sentenza n. 16366 depositata il 30 luglio 2020
plusvalenze – determinazione – quote societarie
FATTI DI CAUSA
Con sentenza dell’11.11.2010 la Commissione tributaria regionale del Piemonte, ha respinto l’appello della I. S.r.l. avverso la sentenza n. 129/01/2008 della Commissione tributaria provinciale di Alessandria in rigetto del ricorso, proposto avverso avviso di accertamento IRPEG 2003.
L’Ufficio finanziario, a seguito di accertamenti contabili, aveva infatti contestato alla suddetta società, alla S.C. S.r.L., alla V. S.r.L., unitamente alla Industrie C. S.r.L., Ix. S.r.L., E.a S.r.l. e a R.G., P.A., Franco, Gian Piero, Enrico e Giovanni C. (tutti soggetti collegati mediante partecipazioni reciproche al capitale sociale delle suddette società, configurando nei fatti un unico gruppo societario) di aver effettuato nel 2003 una serie di scambi di quote societarie mediante atti notarili nei quali si dichiaravano valori del patrimonio sociale derivanti da perizie di stima asseverate dal Tribunale riguardanti il patrimonio immobiliare, le quote di partecipazione e i crediti e debiti iscritti in bilancio; secondo l’Ufficio tali stime sarebbero state parziali e le operazioni intercorse sarebbero state in realtà rivolte a celare plusvalenze con l’intento di realizzare un’evasione fiscale.
Avverso la sentenza della CTR la società contribuente indicata in epigrafe ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi.
L’Agenzia si è costituita con controricorso, deducendo l’infondatezza del ricorso principale.
La causa è stata rimessa la causa sul ruolo con ordinanza del 17.5.2019 ai fini dell’integrazione del contraddittorio nei confronti di S.C. S.r.L., V. S.r.L., R.G., P.A., Franco Battista, Gian Piero, Enrico e Giovanni C., rimasti intimati.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.1. Con il primo motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n.3 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. dell’art. 9, c. 2 e 4, TUIR, per avere la CTR errato nel ritenere legittima la rettifica del corrispettivo delle cessioni di partecipazioni sociali «mediante la costruzione di un “valore normale” ex art. 9 TUIR 22/12/1986, n. 917 mediante scomposizione di tale dato “proporzionalmente alle percentuali possedute (adde delle partecipazioni)” con ridistribuzione del prodotto su tutte le operazioni di trasferimento di partecipazioni tra … 11 soggetti», avendo erroneamente applicato il criterio del «valore normale», previsto dall’art. 9 cit., pur trattandosi di cessione effettuate a titolo oneroso, e non di cessioni in natura, o conferimenti o assegnazioni di beni.
1.2. Con il secondo motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 54. c. 1, lett. a) e co. 2, TUIR, non avendo la CTR applicato la disciplina ivi prevista con riguardo alla cessione delle partecipazioni I., in quanto effettuata a titolo oneroso. 1.3. Con il terzo motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n.3 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 2426 c.c., avendo la CTR utilizzato per valutare le partecipazioni anche le perizie giurate di stima. 1.5. Con il quarto motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 5 L. n. 448/2001, avendo la CTR utilizzato per valutare le partecipazioni anche le perizie giurate di stima pur essendo destinate unicamente a determinare le plusvalenze e le minusvalenze relative a redditi delle persone fisiche e non delle società.
2.1. I motivi di ricorso, da esaminare congiuntamente, sono infondati.
2.2. La concreta fattispecie (secondo quanto si legge sia nella sentenza impugnata che nello stesso ricorso per cassazione) concerne l’assoggettamento a tassazione di una plusvalenza, imputata a maggior reddito ai fini IRPEG, derivante dalla cessione a titolo oneroso di partecipazioni sociali possedute dalla I. S.r.L. nella S.C. S.r.L., realizzata nell’anno 2003.
2.3. Si verte quindi in ipotesi di plusvalenza realizzata ai sensi dell’art. 54, comma 1, lett. a) del TUIR (vigente ratione temporis) e determinata ai sensi del successivo comma 2, secondo cui nelle ipotesi di cessione di beni a titolo oneroso la plusvalenza è costituita dalla differenza fra il corrispettivo o l’indennizzo conseguito, al netto degli oneri accessori di diretta imputazione, e il costo non ammortizzato.
2.4. Come già affermato da questa Corte, secondo principi di diritto valevoli anche nella presente fattispecie (cfr. Cass. n.16948/2019, 17955/2013), va applicato il canone, avente valore generale, stabilito dall’art. 9 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, che non ha mera portata contabile e che impone il riferimento al normale valore di mercato per corrispettivi e altri proventi presi in considerazione dal contribuente, trattandosi di clausola antielusiva, costituente esplicazione del generale divieto di abuso del diritto in materia tributaria, essendo precluso al contribuente di conseguire vantaggi fiscali – come lo spostamento dell’imponibile presso soggetti appartenenti al medesimo gruppo societario – mediante l’uso distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione di legge, di strumenti giuridici idonei ad ottenere vantaggi in difetto di ragioni diverse dalla mera aspettativa di quei benefici.
2.5. Questa Corte, inoltre, ha già chiarito che altro è il criterio stabilito per la determinazione del valore da attribuire alle partecipazioni sociali ai fini del loro concorso (in positivo o in negativo) alla composizione (e, quindi, alla determinazione) del reddito complessivo del loro possessore, altro è sottoporre a tassazione, quale reddito a sé stante, la diversa ricchezza manifestatasi con il trasferimento della titolarità (e di conseguenza anche del possesso) di quelle azioni o titoli (cfr., in particolare, Cass. n.3290/2012).
2.6. Ciò non esclude tuttavia che l’accertamento del suddetto «valore normale» possa essere concretamente valorizzato dal Giudice di merito per sorreggere la presunzione (semplice) che il corrispettivo percepito dalla vendita di una partecipazione societaria sia difforme da quello dichiarato e, invece, conforme al «valore normale», ma si tratta di valutazioni che rientrano nei poteri di accertamento del fatto del Giudice di merito, al quale solo compete l’apprezzamento (non censurabile in sede di legittimità, se non sotto il profilo del vizio di motivazione) circa il ricorso alla prova presuntiva, la ricorrenza dei requisiti di precisione, gravità e concordanza richiesti dalla legge, la scelta dei fatti noti che costituiscono la base della presunzione e il giudizio logico con cui si deduce l’esistenza del fatto ignoto (cfr. Cass. n.11906/2003, 15737/2003, 10847/2007, 8023/2009; ord. n.101/2015).
2.7. Ai sensi dell’art. 9 cit., pertanto, il valore normale è determinato per le azioni, per le quote di società non azionarie e per i titoli o quote di partecipazione al capitale di enti diversi dalle società, in proporzione al valore del patrimonio netto della società o ente ovvero, per le società o enti di nuova costituzione, all’ammontare complessivo dei conferimenti.
2.8. Lo scostamento dal cd. valore normale è suscettibile, dunque, di assumere rilievo quale parametro meramente indiziatici e l’operazione che si pone fuori dai prezzi di mercato costituisce una possibile anomalia, sì da poter giustificare, in assenza di elementi contrari, l’accertamento, con conseguente onere in capo al contribuente di dimostrare che essa non sussiste.
2.9. Il Collegio ritiene, inoltre, opportuno evidenziare che i principi regolatori desunti dall’art. 9 cit. e valorizzati della giurisprudenza di legittimità in svariati contesti, costituiscono espressioni concrete di quel principio substance over form che è enunciato, con modi e in tempi diversi, anche nei principi contabili nazionali (es. OIC 11) e internazionali (es. Framework 2, IASB/1989/35), nonché nelle raccomandazioni dell’OCSE (Base Erosion and Profit Shifting) e dell’UE (sulla cd. pianificazione fiscale aggressiva), laddove si precisa che ai fini di una loro rappresentazione attendibile, in bilancio e verso il fisco, le operazioni e gli altri eventi devono essere «rilevati e rappresentati in conformità alla loro sostanza e realtà economica», e ciò non è, peraltro, inficiato dalla norma di interpretazione autentica contenuta nell’art. 5, comma 2, d.lgs. n. 147/2015, che mira solo ad escludere l’applicazione dell’art. 110 TUIR al “transfer pricing interno”, giammai a limitare la portata logica e giuridica dell’art. 9 cit., nemmeno menzionato nella disposizione interpretativa.
2.10. Nel caso in esame l’Ufficio finanziario ha contestato l’antieconomicità della cessione per avere la contribuente venduto a soggetto alla stessa collegato da rapporti infragruppo societario operando in perdita, ponendo a raffronto, con riguardo al prezzo di cessione delle quote, i valori riportati in bilancio ed il valore, di gran lunga inferiore, indicato nelle perizie giurate di stima redatte ai sensi della L. n. 448/2001.
2.11. Si è in proposito stabilito (con riguardo alla fattispecie di cui all’art. 7 L. n. 448/2001, ma con principio di valenza generale) che – nel caso in cui il contribuente si avvalga della facoltà di rideterminazione del valore sulla base della prescritta perizia giurata di stima – “Ufficio conserva il potere di accertare se lo stesso corrisponda o meno alla realtà, in quanto il richiamo dell’applicabilità a detta perizia dell’art. 64 cod, proc. civ. non attribuisce a questa la forza di atto pubblico, ma ha l’unico scopo di assoggettare il professionista incaricato dal privato alla responsabilità penale del consulente tecnico d’ufficio nominato dal giudice, né, del resto, la consulenza tecnica fa pubblica fede dei giudizi e delle valutazioni in essa contenuti” (Cass. n.9109/2012) ed analogamente, questa Corte (cfr. Cass. ord n. 19465/2016) ha stabilito che, in tema di determinazione della plusvalenza Irpef ex articolo 67 d.P.R. n. 917/1986, la perizia giurata di stima di cui alla I. 448/01 non limita il potere di accertamento dell’amministrazione finanziaria, desumendosi da essa unicamente il valore normale minimo di riferimento – ma non per questo intangibile – ai fini della tassazione sostitutiva.
2.12. Ora, anche nel caso di specie l’Amministrazione finanziaria ha ritenuto di esercitare tale potere, disattendendo la rivalutazione di cui alla perizia giurata di stima sulla base di elementi oggettivi di inattendibilità, desunti dal bilancio di esercizio della stessa società redatto nel medesimo periodo, le cui quote erano state oggetto di cessione, così come rilevati dallo stesso Giudice di merito nella sentenza impugnata.
2.13. Avendo dunque assolto l’Amministrazione finanziaria all’onere di provare l’esistenza di transazioni economiche infragruppo ad un prezzo apparentemente inferiore a quello normale, spettava alla contribuente dimostrare che la transazione era avvenuta in conformità ai valori di mercato normali, prova che, nel caso in esame, come rilevato dalla CTR non è stata fornita, non avendo i contribuenti «evidenziato errori o anomalie volte a contestare il metodo di calcolo utilizzato e i risultati raggiunti».
3. Sulla scorta di quanto sin qui illustrato il ricorso va, pertanto, respinto e la ricorrente, soccombente, va condannata in favore dell’Agenzia controricorrente al pagamento delle spese processuali nella misura liquidata, sulla base del valore della controversia e dell’attività difensiva spiegata, come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore dell’Agenzia delle entrate, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida Euro 7.300,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
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