Corte di Cassazione sentenza n. 16443 depositata il 19 giugno 2019
Detrazione per l’acquisto di beni per operazioni esenti – Non sussiste
Rilevato che:
– Con sentenza n. 2860/4/17 depositata in data 24 ottobre 2017 la Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna (in seguito, la CTR) respingeva l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate avverso la sentenza n. 8216/21/16 della Commissione tributaria provinciale di Milano (in seguito, la CTP) che aveva accolto il ricorso proposto da S.L.L., del dott. L.P. e della dott.ssa L.M.G., studio esercente attività medica (in seguito, il contribuente), avente ad oggetto un diniego di rimborso IVA 2007;
– La CTR condivideva la decisione dei giudici di prime cure ritenendo che, nel merito, non spettasse la detraibilità IVA sugli acquisti di beni strumentali a prestazioni sanitarie con finalità di cura alla persona esente dall’imposta;
– Avverso tale decisione, ha proposto ricorso per cassazione il contribuente deducendo due motivi. L’Agenzia delle entrate si è costituita depositando controricorso.
Considerato che:
– Con il primo motivo – senza individuazione del pertinente paradigma ex art. 360, primo comma, cod. proc. civ. – il contribuente lamenta la violazione degli artt. 19, comma 5, e 19 bis del d.P.R. n. 633/1972, con riferimento ad operazioni esenti IVA;
– La doglianza, può essere considerata ammissibile, in quanto è individuabile il paradigma censurato nell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., ed è infondata. Va ribadito che «Con ordinanza (adottata perché la soluzione delle questioni sottoposte al suo esame non da adito ad alcun ragionevole dubbio) resa il 6 luglio 2006 nelle cause riunite C-18/05 e C-155/05 – aventi ad oggetto domande di pronuncia pregiudiziale proposte …, ai sensi dell’art. 234 CE, dalla Commissione Tributaria Provinciale di Napoli (C-18/05) e dalla Commissione Tributaria Regionale di Firenze (C-155/05) -, invero, la Corte di Giustizia CE ha (testualmente) statuito che la prima parte dell’art. 13, parte B, lett. c), della sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE (in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra d’affari – Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme) dev’essere interpretata nel senso che l’esenzione da essa prevista – specificamente invocata dalla società e riconosciuta dal giudice a quo nella sentenza impugnata – “si applica unicamente alla rivendita di beni preliminarmente acquistati da un soggetto passivo per le esigenze di un’attività esentata in forza del detto articolo, in quanto l’imposta sul valore aggiunto versata in occasione dell’acquisto iniziale dei detti beni non abbia formato oggetto di un diritto a detrazione”. In conseguenza e per effetto di tale vincolante interpretazione delle afferenti norme comunitarie, direttamente applicabili nell’ordinamento nazionale, la sentenza impugnata deve essere cassata per avere la stessa erroneamente affermato la spettanza alla società intimata del chiesto rimborso dell’imposta sul valore aggiunto dalla stessa corrisposto per la cessione dei beni, e/o per la prestazione di servizi non soggette a quell’imposta e la causa (siccome non bisognevole di nessun ulteriore accertamento fattuale), ai sensi dell’art. 384 c.p.c., deve essere decisa nel merito da questa Corte con il rigetto (in conformità, peraltro, a precedenti statuizioni sulla medesima questione: cfr. Cass. un.: 31 luglio 2008 n. 20752 in controversia in cui “la Commissione Tributaria Regionale … confermava il diritto della Casa di cura … ad ottenere il rimborso delle somma versate a titolo di IVA sugli acquisti necessari per l’esercizio di attività esenti da IVA”; 30 luglio 2008 n. 20595 in controversia avente ad oggetto il silenzio rifiuto formatosi sull'”istanza” con cui una società esercente “attività di ricovero e di cura ospedaliera” aveva chiesto il “rimborso della somma … versata … a titolo di IVA per l’acquisto di beni indispensabili per l’esercizio della sua attività”) della domanda di primo grado della società stessa.» (Cass. Sez. U, Sentenza n. 4813 del 27/2/2009; conformi, tra le altre, Cass. Sez. U, Sentenza n. 4814 del 27/2/2009 Sez. 5, Ordinanza n. 11507 del 11/05/2018 – Rv. 648025-01).
Va poi ribadito che «In tema di IVA, la prima parte dell’art. 13, parte B, lett. c), della VI direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, n. 77/388/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative all’imposta sulla cifra d’affari – Sistema comune di imposta sul valore aggiunto va interpretato, secondo la Corte Europea (Ord. del 6 luglio 2006, cause riunite C-18/05 e C-155/05), nel senso che l’esenzione da essa prevista si applica unicamente alla rivendita di beni preliminarmente acquistati da un soggetto passivo per le esigenze di un’attività esentata in forza del detto articolo, in quanto l’imposta sul valore aggiunto versata in occasione dell’acquisto iniziale di detti beni non abbia formato oggetto di un diritto a detrazione.» (Cass. Sez. U, Sentenza n. 20752 del 31/07/2008 – Rv. 604643-01);
– La sentenza dei giudici di merito si è pienamente attenuta a tale consolidata interpretazione, non solo della Cassazione, ma anche della Corte di Giustizia UE, statuendo che gli acquisti di beni e servizi per operazioni esenti concorrono alla formazione del volume di affari ma non consentono la detrazione IVA;
– Con il secondo motivo – ex art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. – il contribuente lamenta la carenza ed illogicità di motivazione in merito alla richiesta di remissione della controversia alla Corte Costituzionale e alla Corte di Giustizia, per valutare «la disparità di trattamento delle operazioni, delle aliquote e degli operatori italiani rispetto agli altri operatori dei paesi comunitari»;
– Il motivo è inammissibile. Va ribadito che «Nella nuova formulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., il sindacato di legittimità sulla motivazione è ridotto al “minimo costituzionale”, restando riservata al giudice del merito la valutazione dei fatti e l’apprezzamento delle risultanze istruttorie, ma la Corte di cassazione può verificare l’estrinseca correttezza del giudizio di fatto sotto il profilo della manifesta implausibilità del percorso che lega la verosimiglianza delle premesse alla probabilità delle conseguenze e, pertanto, può sindacare la manifesta fallacia o non verità delle premesse o l’intrinseca incongruità o contraddittorietà degli argomenti, onde ritenere inficiato il procedimento inferenziale ed il risultato cui esso è pervenuto, per escludere la corretta applicazione della norma entro cui è stata sussunta la fattispecie» (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 16502 del 05/07/2017 – Rv. 644818-01);
– Nel caso di specie, si è in presenza di una richiesta indebita di rivalutazione della statuizione di merito operata dalla CTR, con motivazione congrua, circa la manifesta infondatezza della dedotta questione di legittimità costituzionale, oltre che di non attualità dell’interesse ad un’interpretazione pregiudiziale della Corte di Giustizia, in presenza di giurisprudenza consolidata, sottratta alla sindacabilità del nuovo n. 5 dell’art. 360, primo comma, cod. proc. civ., in quanto ben al di sopra del minimo costituzionale;
– Da quanto precede discende il rigetto del ricorso, e il regolamento delle spese di lite, liquidate come da dispositivo, segue la soccombenza.
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente a rifondere le spese di lite alla controricorrente, liquidate in Euro 2.300,00 per compensi, oltre Spese prenotate a debito.
La Corte dà atto che, ai sensi dell’art. 1 comma 17 della legge 24.12.2012 n. 228 (legge di stabilità 2013), per effetto del presente provvedimento sussistono i presupposti per il versamento dell’ulteriore contributo unificato di cui all’art. 13 comma 1-bis D.P.R. n. 115/2002, testo unico spese di giustizia.
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