Corte di Cassazione sentenza n. 16656 depositata il 23 maggio 2022
redditometro – presunzioni
Rilevato che:
1. La Commissione tributaria regionale (“C.T.R.”) dell’Emilia- Romagna, con la sentenza indicata in epigrafe, ha rigettato l’appello del contribuente avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Rimini (n. 178/02/09), che aveva rigettato il ricorso di Guglielmo Lucchi contro l’avviso di accertamento, fondato su metodo sintetico (mediante cd. “redditometro”), che rettificava ai fini Irpef, per il 2003, il reddito dichiarato, sulla base degli incrementi patrimoniali (acquisto, nel 2004, di un complesso immobiliare al prezzo dichiarato di euro 703.100,00) e del possesso di beni-indice;
2. la Commissione regionale, innanzitutto, ha accolto l’eccezione dell’ufficio di inammissibilità, ai sensi dell’art. 57 (e non “58” com’è scritto in sentenza), del d.lgs. n. 546 del 1992, in quanto domanda nuova, della richiesta, formulata dal contribuente per la prima volta in appello, di considerare i redditi dal medesimo dichiarati negli anni coperti dal cd. “condono tombale” (ex lege 289 del 2002); inoltre, ha disatteso il motivo di appello riguardante l’omessa pronuncia, da parte del giudice di primo grado, sulla dedotta carenza di motivazione dell’avviso; quanto al merito della causa, ha rimarcato che il contribuente aveva documentato entrate (di cassa) per euro 591.000,00, uscite (di cassa) per euro 263.000,00, e quindi una disponibilità netta di euro 246.000,00 a fronte di un investimento pari a euro 703.000,00, senza documentare gli asseriti redditi accumulati negli anni anteriori al 2000. Infine, per la Commissione regionale, l’applicazione retroattiva del “nuovo redditometro” (art. 22 del d.l. 31 maggio 2010, n. 78), pur consentita, non aveva inciso sull’operato dell’ente impositore che, comunque, anche in base allo ius superveniens, poteva fondare l’accertamento sintetico “[sul]le spese di investimento”;
3. il contribuente ricorre con tre motivi per la cassazione della sentenza di appello e l’Agenzia delle entrate resiste con controricorso;
Considerato che:
1. con il primo motivo di ricorso [«I Violazione e falsa applicazione dell’art. 57 d.lgs. 546/1992, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 p.c.»], si censura la sentenza impugnata che, quando qualifica quale domanda nuova, e perciò inammissibile, l’allegazione da parte dell’appellante del cd. “condono tombale”, trascura che il contribuente, già in fase amministrativa, in risposta al questionario, aveva segnalato di avere usufruito di tale beneficio fiscale per gli anni dal 1997 al 2002;
2. con il secondo motivo [«II Violazione e falsa applicazione dell’art. 38 del d.p.r. 600/1973, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.»], il ricorrente censura la sentenza impugnata che ha ritenuto sufficientemente motivato l’atto impositivo senza considerare che esso non recava un’adeguata replica alle giustificazioni offerte dall’interessato in risposta alla richiesta di chiarimenti proveniente dall’organo di controllo;
3. con il terzo motivo [«III Violazione e falsa applicazione dell’art. 22 del l. 78/2010, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.»], il ricorrente censura la sentenza impugnata che, pur riconoscendo l’applicabilità retroattiva del “nuovo redditometro”, ha omesso di valutare che le spese di investimento, che pure continuano ad essere rilevanti, di per sé non integrano più un elemento probatorio sufficiente a supportare l’accertamento sintetico;
4. il primo motivo è inammissibile;
la critica è generica e non decisiva. Infatti, il contribuente non ha mai allegato in maniera precisa, circostanziata e documentata, né nel giudizio di merito né in sede di legittimità, di avere utilizzato le disponibilità finanziarie relative agli anni dal 1997 al 2002, coperte da condono, come provvista per l’investimento immobiliare del 2004, dal quale l’ufficio ha tratto induttivamente l’esistenza di redditi non dichiarati, in relazione (per quanto adesso rileva) al periodo d’imposta 2003. Al riguardo merita rammentare il consolidato e condiviso indirizzo di legittimità (cfr. Cass. 18/02/2022, n. 5469, in motivazione) per il quale «[L]a disciplina del “redditometro” introduce una presunzione legale relativa imponendo la stessa legge di ritenere conseguente al fatto (certo) della disponibilità di alcuni beni «l’esistenza di una “capacità contributiva”, sicché il giudice tributario, una volta accertata l’effettività fattuale degli specifici “elementi indicatori di capacità contributiva” esposti dall’Ufficio, non ha il potere di privarli del valore presuntivo connesso dal legislatore alla loro disponibilità, ma può soltanto valutare la prova che il contribuente offra in ordine alla provenienza non reddituale (e, quindi, non imponibile perché già sottoposta ad imposta o perché esente) delle somme necessarie per mantenere il possesso di tali beni» (cfr. Cass., 01/09/2016, n. 17487; Cass., 21/10/2015, n. 21335; Cass., 20/01/2016, n. 930). In tal senso è stato soggiunto che, benché l’esistenza dei fattori-indice della capacità contributiva resti individuata nei decreti, sicché l’Amministrazione è esonerata da qualunque ulteriore prova rispetto ad essi, ciò non impedisce al contribuente di dimostrare, attraverso idonea documentazione, che il maggior reddito determinato o determinabile sinteticamente è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggetti a ritenute alla fonte a titolo di imposta e, più in generale, che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore (cfr. Cass., 19/10/2016, n. 21142). […] Sono stati chiariti, altresì, i confini della prova contraria offerta dal contribuente per opporsi alla ricostruzione presuntiva del reddito operata dall’Amministrazione finanziaria, precisando che non è sufficiente dimostrare la mera disponibilità di ulteriori redditi o il semplice transito della disponibilità economica, in quanto, pur non essendo esplicitamente richiesta la prova che detti ulteriori redditi sono stati utilizzati per coprire le spese contestate, si ritiene che il contribuente «sia onerato della prova in merito a circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto o sia potuto accadere» (cfr., Cass. 24/05/2018, n. 12889; Cass. 16/05/2017, n. 12207; Cass. 26/01/2016, n. 1332). In particolare, la prova documentale contraria ammessa per il contribuente non riguarda la sola disponibilità di redditi esenti o di redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, ma anche l’entità di tali redditi e la durata del loro possesso, che costituiscono circostanze sintomatiche del fatto che la spesa contestata sia stata sostenuta proprio con redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta (cfr., Cass. 26/11/2014, n. 25104; Cass. 20/03/2009, n. 6813)». Nel caso concreto, come suaccennato, il ricorrente non ha provato, anzi, prima ancora, non ha nemmeno allegato di avere finanziato la spesa per l’acquisto (nel 2004) del menzionato compendio immobiliare con redditi conseguiti negli anni precedenti e coperti dal condono di cui alla legge n. 289 del 2002;
5. il secondo motivo non è fondato;
per la Corte (cfr. ex multis Cass. 21/11/2018, n. 30039, consolidata da Cass. 05/03/2021, n. 6154), «L’avviso di accertamento soddisfa l’obbligo di motivazione quando pone il contribuente nella condizione di conoscere esattamente la pretesa impositiva, individuata nel “petitum” e nella “causa petendi”, mediante una fedele e chiara ricostruzione degli elementi costitutivi dell’obbligazione tributaria, anche quanto agli elementi di fatto ed istruttori posti a fondamento dell’atto impositivo, in ragione della necessaria trasparenza dell’attività della Pubblica Amministrazione, in vista di un immediato controllo della stessa.». Nella specie, la C.T.R., con una valutazione di fatto ad essa riservata, per usare le parole della sentenza (cfr. pag. 4), ha stabilito che «la motivazione dell’accertamento è completa ed esauriente». A ciò si aggiunga, per completezza, che in caso di accertamento sintetico, secondo la disciplina ratione temporis applicabile (cfr. infra p. 6), l’ordinamento tributario non pone alcun obbligo per il fisco di “un’adeguata replica” agli argomenti difensivi svolti dal contribuente nella risposta al questionario;
6. il terzo motivo non è fondato;
il rilievo in esso contenuto poggia sull’erroneo presupposto che il cd. nuovo redditometro sia applicabile retroattivamente, il che tuttavia è negato dalla giurisprudenza tralatizia di questa sezione tributaria, che il Collegio condivide, secondo cui «La nuova disciplina dell’art. 22, D.L. del 31 maggio 2010, n. 78, conv. con modif. dalla L. 122/2010 (cd. manovra correttiva), che ha modificato la disciplina dell’accertamento sintetico e del redditometro, contenuta nei co. 4 e segg. dell’art. 38, D.P.R. 600/1973, anche mediante la previsione del contraddittorio obbligatorio, dispiega […] la propria efficacia solo a partire dagli accertamenti relativi ai redditi del periodo d’imposta 2009, mentre, per i periodi precedenti ancora accertabili […] per accertamento sintetico e redditometro continuano ad essere applicati sulla base del testo dell’art. 38 antecedente alle modifiche. Ne consegue che la riforma in questione non poteva essere applicata anche agli avvisi di accertamento impugnati» (Cass. 20/07/2018, n. 19371; in termini, Cass. 15/02/2022, n. 4812). Ciò comporta che la sentenza di appello, che pure perviene ad una soluzione della controversia conforme a diritto, debba essere corretta là dove, nella motivazione, aderisce alla tesi dell’appellante circa l’efficacia retroattiva (e, segnatamente, in relazione al periodo di imposta 2003) della nuova disciplina redditometrica;
7. in conclusione, il ricorso deve essere rigettato;
8. le spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza;
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 4.500,00, a titolo di compenso, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis del citato art. 13, se dovuto.
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