Corte di Cassazione sentenza n. 16833 depositata il 24 maggio 2022
principio di non contestazione – contraddittorietà della motivazione
– Rilevato che:
1. Con istanza in data 21 settembre 2000 la P.L. s.p.a. (successivamente divenuta, a seguito di mutamento della denominazione sociale, Banca P.L. p.a.) chiedeva il rimborso della ritenuta d’acconto operata, nella misura di lire 200.000.000 (€ 103.291,38), pari al 10% sui dividendi (ammontanti a lire 2.000.000.000) versati ai suoi due soci, a seguito di delibera di distribuzione del 9 maggio 2000.
L’istanza di rimborso era motivata sul presupposto del nuovo art. 27 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, così come modificato dall’art. 12 del d.lgs. 12 novembre 1997, n. 461, a decorrere dal 1° luglio 1998.
Sull’istanza di rimborso in questione l’Amministrazione Finanziaria faceva formare il silenzio-rifiuto ex art. 21, comma 2, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546.
2. Avverso tale silenzio-rifiuto la Banca P.L. p.a. proponeva ricorso alla Commissione tributaria provinciale di Reggio Emilia la quale, con sentenza n. 183/4/2011 del 14 giugno 2011, lo rigettava integralmente.
3. Interposto gravame dalla società contribuente, la Commissione tributaria regionale dell’Emilia-Romagna, con sentenza 1770/11/2016, depositata il 28 giugno 2016, accoglieva parzialmente l’appello, annullava il provvedimento di silenzio-rifiuto e condannava l’Agenzia delle Entrate alla rifusione delle spese di lite.
4. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate, sulla base di due motivi.
Resiste con controricorso la Banca P.L. s.p.a.
5. La discussione del ricorso è stata quindi fissata per la camera di consiglio del 20 aprile 2022, ai sensi degli artt. 375, secondo comma, e 380-bis.1 cod. proc. civ., come introdotti dal d.l. 31 agosto 2016, n. 168, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 ottobre 2016, 197.
– Considerato che:
6. Con il primo motivo di ricorso l’Agenzia delle Entrate eccepisce la nullità della sentenza per violazione dell’art. 115 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, 4) stesso codice, in quanto, contrariamente a quanto sostenuto nella sentenza impugnata, l’Ufficio non aveva contestato, nel giudizio di merito, soltanto la “tardiva e irrituale produzione documentale”, ma aveva invece contestato la sussistenza dei presupposti circa la sussistenza del diritto al rimborso vantato dalla società, sui quali, invece, la C.T.R. aveva omesso di indagare, considerando, evidentemente, come non contestate circostanze che invece erano state oggetto di contestazione.
Con il secondo motivo di ricorso l’Ufficio deduce, invece, la nullità della sentenza per contraddittorietà nella motivazione in violazione dell’art. 132, secondo comma, num. 4), cod. proc. civ., e degli artt. 1, comma 2, e 36, comma 2, n. 4), d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 4), cod. proc. civ., in quanto i giudici di secondo grado, in un primo momento, avrebbero affermato (in punto di fatto) che l’Ufficio aveva contestato la mancanza di prova della corretta presentazione dell’istanza e, successivamente, avrebbero negato (in punto di diritto) che l’Ufficio l’avesse contestata.
7. Entrambi i motivi sono infondati.
7.1 Ed invero, con riferimento al primo motivo di ricorso, deve osservarsi che il principio di non contestazione assume rilevanza processuale, quando i fatti addotti da una parte e non contestati dall’altra parte siano rilevanti e pertinenti in merito all’oggetto del contendere.
L’Agenzia delle Entrate, nel motivo in questione, fa riferimento ad una serie di eccezioni formulate nel proprio atto di costituzione in secondo grado, secondo le quali, ai fini del riconoscimento della fondatezza del rimborso, la Banca non avrebbe dimostrato: a) che la
ritenuta non era stata indicata in dichiarazione dalla ricorrente, che l’avrebbe erroneamente versata; b) che la stessa non era stata scomputata dai soci in sede di dichiarazione ed autoliquidazione dell’imposta; c) quali erano i percettori dei dividendi che avevano subito la ritenuta.
Le circostanze in questione sono tuttavia irrilevanti e non pertinenti, ai fini della valutazione della sussistenza delle condizioni per conseguire il rimborso. Infatti, innanzitutto non si comprende dove (Mod. Unico, Mod. 770 o altra non meglio individuata dichiarazione), ed a qual fine la ritenuta effettuata avrebbe dovuto essere effettuata dalla Banca. In secondo luogo, è irrilevante anche la valutazione circa l’eventuale scomputo della ritenuta dalle dichiarazioni dei soci, posto che, trattandosi di elemento attinente alle dichiarazioni fiscali dei soci (e quindi di soggetti terzi), era onere dell’Agenzia verificare se tali ritenute fossero stato scomputate o meno dalle loro dichiarazioni, fermo restando che le ritenute non avrebbero dovuto essere effettuate dalla Banca erogatrice dei dividendi, in base a quanto previsto dall’art. 27 d.P.R. n. 600 del 1973, come modificato dall’art. 12 del d.lgs. n. 461 del 1997.
Anche la terza eccezione è irrilevante, in quanto, fin dal primo grado di giudizio, la banca aveva depositato l’elenco dei soci, e peraltro la stessa Agenzia delle Entrate avrebbe potuto agevolmente acquisire d’ufficio tali informazioni.
Dal canto suo, invece, la Banca ha pienamente assolto al proprio onere probatorio, depositando il mod. F24, dal quale si evince che aveva provveduto erroneamente a versare la ritenuta d’acconto, non più dovuta ex lege. Pertanto è incensurabile la decisione dei giudici di secondo grado che, a fronte della prova di un indebito versamento della ritenuta d’acconto fornita dalla Banca, ha ritenuto illegittimo il silenzio- rifiuto formatosi sull’istanza di rimborso.
7.2 Infondato è anche il secondo motivo di ricorso.
L’ufficio censura la sentenza impugnata sotto il profilo della contraddittorietà della motivazione, che trasmoderebbe in una motivazione inesistente o apparente, e quindi in una nullità della sentenza ex art. 360, primo comma, num. 4), cod. proc. civ.
A dire della ricorrente, infatti, la C.T.R. dapprima avrebbe affermato che l’Ufficio aveva contestato la mancanza di prova della corretta presentazione dell’istanza di rimborso, e successivamente avrebbe negato che l’Ufficio l’avesse contestata.
In particolare, sostiene l’Ufficio che, nella parte relativa allo svolgimento del processo, la C.T.R. espone che: «Si costituiva in giudizio l’Agenzia delle Entrate – Direzione provinciale Emilia con foglio di controdeduzioni datato 21 settembre 2012 con cui chiedeva il rigetto dell’appello….Poneva in evidenza che la società aveva prodotto nel secondo grado di giudizio la raccomandata con la quale era stata inviata l’istanza di rimborso, così adempiendo all’onere probatorio, senza addurre alcuna giustificazione in merito alla tardiva presentazione. Sosteneva inoltre che la società doveva anche provare che i soci beneficiari della ritenuta d’imposta non avessero utilizzato detta ritenuta in dichiarazione». Nella parte in diritto, invece, la C.T.R. afferma che: «…viene contestata dall’Ufficio solamente la tardiva e irrituale produzione documentale, ma non la sua rilevanza probatoria, atteso che l’Ufficio medesimo ha affermato che “la società istante ha prodotto in giudizio la ricevuta della raccomandata con la quale era stata inviata la predetta istanza, adempiendo quindi all’onere probatorio su di essa incombente”».
Deve tuttavia rilevarsi che la prima affermazione non rappresenta la contestazione della rilevanza probatoria della raccomandata di invio dell’istanza di rimborso, bensì la semplice constatazione della produzione della raccomandata. Correttamente, pertanto, i giudici di secondo grado, in punto di diritto, hanno ritenuto che la contestazione da parte dell’Ufficio non ha riguardato la rilevanza probatoria della raccomandata, bensì solo la relativa tardiva e irrituale produzione documentale, comunque consentita dall’art. 58, comma 2, d.lgs. n. 546 del 1992.
8. Il ricorso è quindi infondato e dev’essere rigettato; le spese seguono la regola della soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
Rilevato che risulta soccombente parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, non si applica il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna l’Agenzia delle Entrate alla rifusione, in favore della Banca P.L. s.p.a., delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in € 200,00 per esborsi ed € 5.600,00 per onorari, oltre 15% per rimborso spese generali, C.A.P. ed I.V.A. come per legge.
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