Corte di Cassazione sentenza n. 16882 depositata l’ 11 agosto 2020
legittimo affidamento – sanzioni
Fatti di causa
L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Veneto sezione di Mestre n. 2107/19/14 depositata il 15.12 2014.
Giova riecordare che La AUSL Treviso aveva corrisposto a titolo di IRES per l’anno 2006, ritenendo di dover applicare per la determinazione dei tributo l’aliquota ordinaria del 33% anche sui redditi da fabbricati, relativa ad immobili strumentali all’attività istituzionale.
Successivamente, presupponendo d’aver errato nel non aver applicato l’aliquota ridotta della metà, chiedeva in data 19 luglio 2010, in base all’art.6 comma 1 lettera d) del DPR n.600/73, all’Agenzia delle Entrate il rimborso della somma che considerava indebitamente versata.
La Direzione di Treviso dell’Agenzia delle Entrate, in data 11/11/2011, comunicava, dapprima/ l’accoglimento dell’istanza, ma, in data 18 gennaio 2012, “revocava” l’iniziale provvedimento in base ad una diversa interpretazione della normativa.
L’Azienda Sanitaria impugnava il successivo diniego. La CTP di Treviso respingeva il ricorso, mentre il successivo appello alla CTR per il Veneto trovava accoglimento, con la decisione impugnata in questa sede.
Il ricorso dell’Agenzia delle Entrate è basato su tre motivi
Resiste l’Azienda Sanitaria trevigiana con controricorso e con memoria ex art. 378 cpc.
Ragioni della decisione
In primo luogo, l’Amministrazione finanziaria assume che abbia errato il giudice regionale nel ritenere, come si desume dalla motivazione, che oggetto dell’appello fosse soltanto l’esame della legittimità del provvedimento di revoca, dal momento che te decisione di primo grado era incentrata anche su aspetti diversi, posto che essa, da un lato, aveva escluso la violazione del principio di affidamento, dall’altro, aveva esaminato, nel merito, le richiesta dell’Azienda Sanitaria di riconoscimento del diritto alla restituzione di parte dell’ imposta versata e l’appello aveva riguardato anche tali aspetti.
La tesi della ricorrente, nel dolersi dell’errato ambito della decisione del giudice regionale, appare fondata. Infatti, che l’oggetto del giudizio d’appello fosse più ampio di quello, riduttivamente inteso dalla commissione territoriale, emerge dall’esame del ricorso di primo grado e dal contenuto della pronuncia del giudice di prossimità, riportati per autosufficienza negli scritti difensivi dell’A.F.
Il gravame dell’Azienda sanitaria aveva, infatti, censurato la sentenza di prime cure nel suo complesso (pag.4, capo 3 del controricorso della AUSL), con riferimento, cioè, a tutti i profili già esaminati dal primo giudice e segnatamente sottoposti, con l’impugnazione, anche alla cognizione del giudice d’appello.
E’ del pari corretta la critica dell’Agenzia delle Entrate alla decisione della CTR in merito alla violazione in essa ravvisata del principio di affidamento di cui all’art. 10 delle legge 212 del 2012.
Va, infatti, rilevato che l’ambito di tale principio è testualmente riferito e limitato alle sole sanzioni e agli interessi moratori, che, per effetto della sua applicazione, non vengono irrogate, le prime, o non richiesti, i secondi.
L’Azienda sanitaria aveva lamentato la violazione di tale principio sul presupposto che esso avesse una portata generale e che trovasse applicazione in tutti i rapporti tra il contribuente ed il fisco. In particolare, riteneva di poter vantare l’affidamento sul diritto al rimborso IRES, per essere stata inizialmente accolta l’istanza solo dopo lunga istruttoria da parte della locale direzione dell’Agenzia delle Entrate.
Ciò che induceva il beneficiario a ritenere che la decisione favorevole fosse ormai stabilizzata e non più suscettibile di mutamento. Ciò nondimeno, il richiamo all’art. 10 della citata legge appare improprio posto che, anche nel caso in cui trovi applicazione il principio in parola, esso, in ogni caso, non incide sulla debenza del tributo, ineludibilmente conseguente alla oggettiva sussistenza del suo presupposto.
Ed infatti, la giurisprudenza di questa Corte, che s’intende qui ribadire, ha più volte affermato che: ” Il legittimo affidamento del contribuente comporta, ai sensi dell’art. 10, commi 1 e 2, della legge 27 luglio 2000, n. 212, l’esclusione degli aspetti sanzionatori, risarcitori ed accessori conseguenti all’inadempimento colpevole dell’obbligazione tributaria, ma non incide sulla debenza del tributo, che prescinde del tutto dalle intenzioni manifestate dalle parti del rapporto fiscale, dipendendo esclusivamente dall’obiettiva realizzazione dei presupposti impositivi. (ex multis Sez. 5, Sentenza n. 5934 del 25/03/2015).
La CTR ha mancato di conformarsi a tale principio, incorrendo, ex art. 360 c.1 n.3 c.p.c., nella errata o falsa applicazione dell’art. 10 della legge 212/2000. La circostanza che tale ultima previsione normativa rifletta un principio di derivazione costituzionale, non esclude che esso trovi attuazione nei termini e nei limiti in cui le leggi ordinarie lo disciplinano, limitandone, come disposto dalla norma, il raggio alla sola esclusione di sanzioni e interessi moratori.
Inoltre, la CTR aveva condiviso la censura dell’ Azienda sanitaria, che eccepiva essere stata la revoca fondata su disposizioni contenute in circolari dell’amministrazione finanziaria antecedenti alla data dell’iniziale provvedimento di accoglimento, delle quali quindi l’ufficio già disponeva e non già su disposizioni sopravvenute. Ragion per cui, l’Agenzia delle Entrate non avrebbe potuto adottare, rispetto al provvedimento iniziale, modifiche in peius se non incorrendo nella violazione del principio di affidamento e dell’art. 43 comma 4 del d.P.R. n.600 del 1973 e dell’art. 57 del d.P.R. 633 del 1972, speculare per VIVA. Norme che impediscono l’adozione di nuovi atti impositivi più onerosi per il contribuente, se non in presenza di nuovi e successivi elementi.
La CTR ha errato nell’accogliere tale tesi, incorrendo nella inesatta applicazione del citato art. 43 c.4, stante la oggettiva diversità tra la fattispecie in esame e quella della disposizione citata. Infatti, questa disciplina il potere di accertamento impositivo dell’Amministrazione e lo limita nel tempo e nelle modalità. Nel senso che l’Agenzia delle Entrate, nel caso avanzi una pretesa tributaria sulla base degli elementi di cui dispone nel momento in cui notifica l’atto impositivo, non può, a tutela dell’esigenza di certezza e stabilità del contribuente, far seguire una successiva pretesa impositiva integrativa, più gravosa di quella iniziale, se non in base ad elementi sopravvenuti.
La CTR ha ritenuto di poter applicare tale disciplina anche alle procedure volte al rimborso d’imposta. Ipotesi, invece, non praticabile attesa la evidente diversità tra le due fattispecie (in tal senso, mutatis mutandis, Sez. 5 – , Sentenza n. 16001 del 14/06/2019).
Nel caso in esame, l’Amministrazione non ha avanzato una pretesa tributaria ulteriore e maggiore; non ha posto in essere un “nuovo” atto integrativo di accertamento, ma ha ritenuto infondata l’applicazione dell’agevolazione di cui all’art. 6 co.1 lett a) d.P.R. n.601 del 1973, della quale l’Azienda sanitaria aveva ritenuto di poter beneficiare. L’Ufficio finanziario ha quindi revocato (rectius annullato), l’iniziale provvedimento di accoglimento, ritenendolo illegittimo. In ciò avvalendosi del generale potere di annullamento d’ufficio riconducibile all’art. 21 novies della legge 241 del 1990.
Potere di annullamento peraltro esercitato, nel caso in esame, dopo un tempo da ritenersi “ragionevole”, (nella specie giorni 63), in quanto largamente inferiore a quello di diciotto mesi, indicato, dalla citata disposizione, come limite massimo.
Ciò posto, poiché il thema decidendum del giudizio d’appello impugnato non era limitato alla legittimità della caducazione dell’iniziale accoglimento della domanda di rimborso, ma relativo anche alla sua fondatezza, la Corte ritiene di dover giudicare nel merito su tale profilo, non sussistendo accertamenti di fatto da demandare al giudice territoriale. Ed al riguardo, considera infondata la domanda di rimborso avanzata dall’Azienda sanitaria in data 19 luglio 2010.
Infatti, “l’agevolazione della riduzione alla metà dell’IRPEG sancita, per gli “enti ospedalieri”, dall’art. 6, comma 1, lett. a), del d.P.R. n. 601 del 1973, espressamente inserita tra quelle di carattere soggettivo, è inapplicabile, pure in via di interpretazione estensiva, alle aziende sanitarie locali costituitesi per effetto del d.lgs. n. 502 del 1992, non potendo esse, alla stregua del quadro normativo succedutosi nel tempo, equipararsi ai primi, perché assegnatarie, oltre che dell’assistenza ospedaliera, di attività e funzioni nuove e diverse da quelle già di questi ultimi, i quali, peraltro, hanno mantenuto una loro autonomia, o perché costituiti in “aziende ospedaliere” oppure quali “presidi ospedalieri” nell’ambito delle predette A.S.L.“. (Sez. 5, Sentenza n. 1687 del 29/01/2016)
Il primo motivo, nei vari profili in cui è declinato, è dunque fondato.
Il secondo e il terzo motivo, con l’accoglimento del primo, risultano assorbiti, venuto meno l’interesse ad esaminarli.
Poiché la giurisprudenza di legittimità si è stabilizzata sul trattamento fiscale delle Aziende Sanitarie in epoca successiva al ricorso che ha dato corso alla controversia, le spese possono essere compensate.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso dell’Agenzia delle Entrate e decidendo nel merito respinge il ricorso introduttivo. Spese compensate.
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