Corte di Cassazione ordinanza n. 16905 depositata l’ 11 agosto 2020
accertamento – studi di settore – presunzioni semplici
rilevato che:
dall’esposizione in fatto della sentenza impugnata si evince che: l’Agenzia delle entrate aveva notificato a C.M., titolare dell’omonima ditta esercente attività edilizia, un avviso di accertamento con il quale, relativamente all’anno di imposta 2005, in applicazione degli studi di settore, aveva contestato un maggiore reddito di impresa ai fini Ires e Iva, irrogando le conseguenti sanzioni; avverso il suddetto atto impositivo il contribuente aveva proposto ricorso dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Roma che lo aveva rigettato; avverso la pronuncia del giudice di primo grado il contribuente aveva proposto appello;
la Commissione tributaria regionale del Lazio ha rigettato l’appello, in particolare ha ritenuto che: l’accertamento era legittimo in quanto basato non solo sullo scostamento dallo studio di settore, ma su ulteriori elementi diretti alla verifica dell’effettiva capacità del contribuente ed altri elementi presuntivi, anche tenuto conto del fatto che non erano stati prodotti il libro giornale ed i libri Iva, con conseguente sussistenza di gravi incongruenze desunte dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, dai dati dichiarati dal medesimo contribuente nonché dalla circostanza che lo stesso si era avvalso di prestazioni di lavoro dipendente per un importo elevato;
avverso la suddetta pronuncia ha proposto ricorso il contribuente a sei motivi di censura, cui ha resistito l’Agenzia delle entrate depositando controricorso;
considerato che:
con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 4), cod. proc. civ., per violazione e falsa applicazione dell’art. 112, cod. proc. civ., per non avere pronunciato sulla questione relativa alla nullità dell’avviso di accertamento per violazione del principio di buona fede in sede di contraddittorio e per difetto di motivazione del medesimo atto impositivo sulle ragioni del non accoglimento delle argomentazioni difensive, prospettate in sede di contraddittorio preventivo, relative alla circostanza che la ditta individuale aveva avuto un unico committente, al fine di giustificare lo scostamento emerso dall’applicazione dello studio di settore;
con il secondo motivo si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 4), cod. proc. civ., per violazione dell’art. 132, comma primo, n. 4), cod. proc. civ., dell’art. 118, disp. att., cod. proc. civ., e dell’art. 36, comma secondo, n. 4), decreto legislativo n. 546/1992, per non avere motivato sulle questioni già indicate con il primo motivo di ricorso;
i motivi, che possono essere esaminati unitariamente, in quanto attengono alla medesima questione relativa alla mancata pronuncia sulle questioni relative alla violazione del principio di buona fede e del difetto di motivazione dell’avviso di accertamento, sono fondati; si evince dal ricorso che parte ricorrente, nel rispetto del principio di specificità, sin dal primo grado di giudizio (vd. pag. 21 e 23 del ricorso) aveva prospettato le questioni in esame con i propri atti difensivi e le stesse erano state riproposte in appello (vd. pag. 21 e 24 del ricorso);
su di esse il giudice del gravame non si è pronunciato in quanto, pur avendo dato atto della proposizione, già in primo grado, della questione della carenza di motivazione dell’atto e della riproposizione anche in secondo grado (propone appello [il] contribuente insistendo sui motivi già svolti, nessun successivo passaggio motivazionale della decisione in esame è ad essa riconducibile;
invero, la motivazione del giudice del gravame è unicamente incentrata sulla questione della idoneità probatoria degli elementi presuntivi dedotti dall’amministrazione finanziaria a fondamento della propria pretesa e, correlativamente, sulla non rilevanza delle ragioni di contestazioni addotte dal contribuente, ma nessun passaggio motivazionale affronta la questione in esame;
si tratta, tuttavia, di un profilo rilevante, in quanto, secondo la giurisprudenza di questa Corte, la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli standards in sè considerati, meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività, ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente. In tale fase, infatti, quest’ultimo ha la facoltà di contestare l’applicazione dei parametri provando le circostanze concrete che giustificano lo scostamento della propria posizione reddituale, con ciò costringendo l’ufficio, ove non ritenga attendibili le allegazioni di parte, ad integrare la motivazione dell’atto impositivo indicando le ragioni del suo convincimento (Cass. civ., 20 settembre 2017, n. 21754);
ne consegue che deve essere ravvisato il vizio di omessa pronuncia sulla questione, con conseguente accoglimento dei motivi di ricorso in esame;
l’accoglimento del primo e secondo motivo ha valore assorbente degli altri motivi di ricorso, in particolare: del terzo, con il quale si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3), cod. proc. civ., per violazione e falsa applicazione dell’art. 39, d.P.R. n. 600/1973, dell’art. 54, d.P.R. n. 63371972, dell’art. 62-sexies, decreto legge n. 331/1993, e dell’art. 10, legge n. 146/1998, per aver ritenuto che gli studi di settore costituiscono prove idonee a fondare l’accertamento, sollevando l’ufficio dall’onere di provare in giudizio l’esistenza di una maggiore materia imponibile sottratta a tassazione, operando alla stregua di presunzioni legali, mentre gli stessi, invero, costitiuscono un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità precisione e concordanza nasce procedimentalmente in esito al contraddittorio; del quarto, con il quale si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 5), cod. proc. civ., per omesso esame di un fatto decisivo ed oggetto di discussione tra le parti, in particolare la circostanza che lo studio di settore era stata rielaborato dall’ufficio in maniera erronea ed applicato ad un periodo di imposta nel quale l’attività imprenditoriale era stata svolta in condizioni di non normale operatività; del quinto, con il quale si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 4), cod. proc. civ., per violazione dell’art. 132, comma primo, n. 4) cod. proc. civ., dell’art. 118, disp. att., cod. proc. civ., e dell’art. 36, comma secondo, n. 4), decreto legislativo n. 546/1992, per avere reso una motivazione apparente sulle questioni di cui al quarto motivo; del sesto, con il quale si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 5), cod. proc. civ., per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, in particolare la circostanza che, diversamente da quanto affermato dal giudice del gravame, il contribuente aveva prodotto il libro giornale e i libri iva; in conclusione, sono fondati il primo e secondo motivo, assorbiti i restanti, con conseguente accoglimento del ricorso per i motivi accolti e cassazione della sentenza con rinvio alla Commissione tributaria regionale anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte: accoglie il primo e secondo motivo, assorbiti i restanti, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale del Lazio, in diversa composizione, anche per la la liquidazione delle spese di lite del presente giudizio.
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