Corte di Cassazione sentenza n. 16980 depositata il 25 maggio 2022
accertamento bancario – irritualità nell’acquisizione di elementi rilevanti ai fini dell’accertamento – contenzioso tributario – vizio di omessa pronuncia – c.d. doppia conforme
Rilevato che:
1. DFT, ricorre, con cinque motivi, avverso la sentenza con la quale la C.t.r. dell’Abruzzo ha respinto l’appello dal medesimo proposto contro la sentenza della C.t.p. di Chieti che aveva rigettato il ricorso avverso l’avviso di accertamento (n. TAZ010401930/2012) con cui erano stati recuperati a tassazione, per l’anno 2009, maggiori redditi di capitale per euro 67.919,00, oltre sanzioni ed interessi.
2. L’Agenzia delle Entrate, con un unico motivo, ricorre in via incidentale avverso la medesima sentenza assumendo il rigetto dell’appello incidentale.
3. In particolare la t.r., disattese le eccezioni preliminari sollevate dal contribuente, ha rigettato l’appello, stante la validità delle indagini e delle risultanze cui era pervenuto l’Ufficio. La sentenza, invece, non contiene riferimento alcuno all’appello incidentale che l’Amministrazione, totalmente vittoriosa in primo grado, assume in ricorso di aver spiegato.
Considerato che:
1. Il ricorrente, in premessa, censura la sentenza impugnata, in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, cod. proc. civ., per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. per aver omesso di esaminare i motivi di appello e, in particolare: a) per aver omesso la trattazione delle eccezioni preliminari, limitandosi semplicemente ad elencarle e a ritenerle infondate e meramente strumentali senza fornire alcuna motivazione a riguardo; b) per aver trattato solamente i motivi di merito, concludendo per la legittimità dell’operato dell’ufficio, sebbene fossero stati resi tutti i chiarimenti possibili.
Per l’effetto, articola cinque motivi di ricorso, illustrandone, tuttavia, solo quattro.
1.1 Con il primo motivo di ricorso (sub.A) la violazione dell’art. 12, legge 27 luglio 2000, 212.
1.2 Con il secondo motivo di ricorso (sub. b nelle premesse e sub. D nel corpo dell’atto) denuncia la mancata esibizione da parte dell’Ufficio dell’autorizzazione emessa dalla Direzione Regionale delle Entrate di L’Aquila.
1.3 Con il terzo motivo di ricorso (sub. C) denuncia l’illegittimità dell’avviso di accertamento in quanto basato su presunzioni sfornite dei caratteri di gravità, precisione e
1.4 Con il quarto motivo di ricorso (indicato sub d nelle premesse e sub. E nel corpo dell’atto) il ricorrente denuncia violazione dell’art. 44, d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917.
1.5 Con il quinto motivo (indicato e nelle premesse e successivamente non sviluppato) il ricorrente denuncia, nel merito, la mancanza dei presupposti per l’emissione dell’avviso di accertamento.
2. Con l’unico motivo di ricorso incidentale l’Agenzia delle Entrate censura, in relazione all’art. 360, primo comma, 5, cod. proc. civ., la sentenza impugnata assumendo il rigetto dell’appello incidentale spiegato.
3. I primi due motivi del ricorso principale, da trattarsi congiuntamente in quanto connessi, sono infondati.
3.1 Il ricorrente, in primo luogo, censura la sentenza impugnata, per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. nella parte in cui, senza fornire alcuna motivazione, ha ritenuto non fondate e strumentali le eccezioni preliminari, proposte in primo e secondo grado, con le quali aveva contestato la violazione dell’art. 12, comma 7, legge 212 del 2000 e la mancata esibizione da parte dell’Ufficio dell’autorizzazione emessa dalla Direzione Regionale delle Entrate.
3.2 La censura va disattesa.
Il vizio di omessa pronuncia, che si traduce in violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., e che rientra tra i motivi di cui all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., implica la completa omissione del provvedimento indispensabile per la soluzione del caso concreto. Ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione (Cass. 03/04/2019, n. 9262, Cass. 13/10/17, n. 24155, Cass. 04/10/2011, n. 20311).
Nel caso di specie, invece, le questioni proposte dal contribuente sono state espressamente rigettate nella sentenza impugnata, come rilevato dallo stesso ricorrente (Cass. 30/01/2020, n. 2153).
3.2 La decisione di rigetto di entrambe le questioni preliminari sollevate dal contribuente non incorre, nemmeno nelle dedotte violazioni di legge.
3.3 Non sussiste la violazione dell’art. 12, comma 7, legge 212 del 2000, denunciata in ragione dell’omessa redazione del verbale di chiusura delle operazioni da parte dell’organo di controllo e per non essere stato concesso il termine di sessanta giorni al contribuente per le controdeduzioni.
Occorre premettere che, nella vicenda in giudizio, l’accertamento non è stato preceduto da un accesso, ispezione o verifica, ma si è tradotto in un accertamento fondato sulle indagini bancarie e sugli atti di diretta acquisizione da parte dell’Ufficio. Ciò comporta, quanto alle imposte dirette, l’infondatezza dell’esigenza di un previo contraddittorio, trattandosi di accertamento induttivo in cui non è previsto tale obbligo generalizzato.
3.4 Alcuna violazione di legge è ravvisabile nella mancata esibizione da parte dell’Ufficio dell’autorizzazione emessa dalla Direzione Regionale delle Entrate di L’Aquila per le indagini bancarie.
L’art. 32, primo comma, n. 7, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, attribuisce agli uffici finanziari il potere di richiedere – previa autorizzazione del direttore centrale dell’Agenzia delle entrate o del direttore regionale della stessa, ovvero, per il Corpo della guardia di finanza, del comandante regionale – anche alle banche, dati, notizie e documenti relativi a qualsiasi rapporto intrattenuto od operazione effettuata; analoga disposizione è prevista dall’art. 51, secondo comma, del d.P.R. n. 633 del 1972, con riferimento alle attribuzioni e poteri degli uffici dell’imposte sul valore aggiunto.
Secondo l’orientamento di questa Corte la disposizione in commento subordina la legittimità delle indagini bancarie e delle relative risultanze all’esistenza dell’autorizzazione e non anche alla relativa esibizione all’interessato; inoltre, eventuali illegittimità, nell’ambito del procedimento amministrativo di accertamento, diventano censurabili davanti al giudice tributario a condizione che, traducendosi in un concreto pregiudizio per il contribuente, vengano ad inficiare il risultato finale del procedimento e, quindi, l’accertamento medesimo (Cass. 27/07/2021, n. 21493; Cass. 20/10/2020, n. 22754, Cass. 26/09/2014, n. 20420).
Tale orientamento risulta maggiormente coerente non solo con la sequenza procedimentale prevista dalla disposizione in parola, che subordina la presentazione della richiesta al parere del dirigente, ma soprattutto con l’interesse del privato alla legittimità del provvedimento amministrativo, così come richiede, in via generale, l’art. 21-octies, legge 7 agosto 1990, n. 241.
Va considerato, altresì, che, in materia tributaria, non qualsiasi irritualità nell’acquisizione di elementi rilevanti ai fini dell’accertamento comporta, di per sé, l’inutilizzabilità degli stessi, in mancanza di una specifica previsione in tal senso, esclusi i casi in cui viene in discussione la tutela di diritti fondamentali di rango costituzionale, come l’inviolabilità della libertà personale o del domicilio ( Cass. 28/05/2018 n. 13353, Cass. 16/12/2011, n. 27149).
Ciò posto, il ricorrente non ha nemmeno allegato quale sarebbe stato il pregiudizio subito; è evidente, infatti, che quest’ultimo non può esaurirsi nel mancato rilascio dell’autorizzazione da parte del dirigente, pena la svalutazione del requisito cui, secondo l’interpretazione della normativa cui si aderisce, è subordinata l’inutilizzabilità delle indagini bancarie compiute in assenza di rituale autorizzazione, né può ritenersi che il pregiudizio si possa fondare nell’azione di recupero dei tributi dovuti ed omessi (Cass. n. 22754/2020).
4. Il terzo motivo è in parte infondato ed in parte inammissibile.
4.1 Il ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha concluso per la legittimità dell’avviso di accertamento, sebbene fondato su presunzioni prive dei caratteri di gravità e precisione e sebbene le giustificazioni rese fossero state ritenute non adeguate con espressioni tautologiche e stereotipate.
4.2 La sentenza ha motivato il rigetto dell’appello individuando la fonte legislativa degli accertamenti bancari nell’art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973 e precisando che opera in materia di indagini bancarie una presunzione iuris tantum a favore dell’Amministrazione che, pertanto, non è onerata della prova dell’effettiva inerenza al presupposto impositivo delle movimentazioni bancarie; che grava, viceversa, sul contribuente l’onere di dare giustificazione di ogni operazione contestata. Così statuendo, ha implicitamente escluso che detta prova fosse stata fornita.
4.3 Ciò posto, quanto alla censura relativa al non corretto uso della prova presuntiva, la sentenza ha fatto corretta applicazione dell’art. 32 del P.R. n. 600 del 1973.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, in materia di accertamenti bancari la norma in questione pone una presunzione legale in favore dell’erario che, in quanto tale, non necessita dei requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dall’art. 2729 cod. civ. per le presunzioni semplici; detta presunzione può essere superata dal contribuente fornendo una prova, non generica, bensì analitica, idonea a dimostrare che gli elementi desumibili dalle movimentazioni bancarie non sono riferibili ad operazioni imponibili. (Cass. 09/03/2021, n. 6405, Cass. 30/06/2020, n. 13112, Cass. 03/05/2018, n. 10480).
4.4 Quanto alla censura relativa al mancato esame delle giustificazioni rese, il motivo è inammissibile per violazione dell’art. 366, primo comma, 4, cod. proc. civ.
Solo ove il contribuente abbia assolto all’onere probatorio sul medesimo gravante, vi è l’obbligo del giudice di merito di verificare in modo rigoroso l’efficacia dimostrativa delle prove fornite a giustificazione di ogni singola movimentazione accertata e di dare espressamente conto delle risultanze di questa verifica (Cass. n. 13112/2020).
Il contribuente, tuttavia, non ha riportato in ricorso, per le parti rilevanti, gli atti difensivi dei gradi di merito, né ha fatto alcuno specifico richiamo ai medesimi, onde permettere a questa Corte di valutare la fondatezza della censura proposta con riferimento agli elementi addotti per ciascuna delle operazioni extraconto sottese all’accertamento. Invero, nemmeno si dice in ricorso se e come il giudice d’appello sia stato investito delle questioni prospettate.
5. Il quarto motivo è anch’esso infondato.
5.1 Il ricorrente deduce la violazione dell’art. 44 d.P.R. 22 dicembre 1986, 917, in quanto il maggior reddito recuperato a tassazione non sarebbe riconducibile ad alcuna delle categorie ivi contemplate. Espone, inoltre, una serie di circostanze di fatto in ragione delle quali doveva comunque escludersi che vi fosse stata percezione di un reddito.
5.2 La sentenza di appello ha confermato integralmente la sentenza di primo grado che, come riportato nello svolgimento del processo, a propria volta, aveva riscontrato la mancata produzione di documenti contabili per gli importi provenienti dalle società partecipate. Di qui, pertanto, la corretta, se pure implicita, riconduzione dei maggiori redditi accertati al disposto di cui all’art. 44 cit. relativo ai redditi di partecipate. Questi ultimi, infatti, come ritenuto da questa Corte possono essere suddivisi in due grandi categorie: quelli che hanno ad oggetto un rapporto di finanziamento, derivante da un impiego del capitale, che viene dato temporaneamente in godimento a terzi; quelli che hanno ad oggetto un rapporto di partecipazione, derivante da un capitale conferito in una società o ente a cui il soggetto conferente partecipa in qualità di socio, possedendone i titoli (azioni e quote o simili) (Cass. 29/01/2021, n. 2082).
5.3 Quanto all’ulteriore censura con la quale il ricorrente riporta circostanze di fatto in ragione delle quali dovrebbe escludersi la percezione di qualsiasi reddito, il motivo è inammissibile in quanto, il ricorrente, pur contestando formalmente il vizio di violazione di legge, in realtà chiede una nuova valutazione degli elementi di fatto, già congruamente valutati dal giudice d’appello, non consentita in questa sede.
6. I motivi proposti non possono essere presi in esame anche in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. come riformulato dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 134.
6.1 La norma disciplina un vizio specifico denunciabile per cassazione e afferente all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, in quanto, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia (Cass. U. 07/04/2014, n. 8053, Cass. 06/05/2020, n. 8487, Cass. 08/10/2014, n. 21257, Cass. 20/11/2015, n. 23828, Cass. 13/08/2018, n. 20721, Cass. 12/10/2017, n. 23940). Ne consegue che, nel rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., il ricorrente deve indicare il fatto storico il cui esame sia stato omesso, il dato, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il come e il quando tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua decisività.
6.2 Per altro verso, nell’ipotesi di c.d. doppia conforme, prevista dall’art. 348-ter, quinto comma, proc. civ., il ricorrente in cassazione – per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (per tutte, Cass. 18/12/2014, n. 26860, Cass. 1/05/2018, n. 11439, Cass. 22/12/2016, n. 26774, Cass. 06/08/2019, n. 20994).
6.3 Detti elementi sono del tutto omessi in ricorso.
7. Il quinto motivo del ricorso principale, oggetto di mera enunciazione, è inammissibile.
L’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si traducano in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa à errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere (Cass. 21/07/2020, n. 15517).
Il ricorrente, con il motivo in esame, si è limitato a denunciare, null’altro aggiungendo, la mancanza dei presupposti per l’emissione dell’avviso di accertamento, sollecitando, pertanto, un nuovo giudizio di merito sull’atto impositivo.
8. Il ricorso incidentale, è inammissibile.
L’Agenzia delle Entrate, assumendo di aver spiegato appello incidentale avverso la sentenza di primo grado, censura la sentenza impugnata nella parte in cui avrebbe escluso dal recupero a tassazione l’importo di euro 200.000,00.
La sentenza, tuttavia, diversamente da quanto prospettato in ricorso, né rigetta l’appello incidentale, né vi fa cenno alcuno.
Invero, l’Ufficio nemmeno indica l’atto con il quale sarebbe stato proposto appello incidentale avverso la sentenza di primo grado che, per altro, rigettava integralmente la pretese del contribuente.
9. In conclusione, il ricorso principale è infondato e va rigettato mentre il ricorso incidentale è inammissibile.
10. Le spese del giudizio di legittimità restano compensate in ragione della reciproca soccombenza.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del solo ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis del citato art. 13, se dovuto. Non risulta, dovuto, invece, dalla parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa
dall’Avvocatura generale dello Stato, alla quale non si applica la detta norma e, comunque, stante l’inefficacia del ricorso incidentale.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso principale e dichiara inammissibile il ricorso incidentale.
Dichiara interamente compensate le spese del giudizio di legittimità. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del solo ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis del citato art. 13, se dovuto.
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