CORTE di CASSAZIONE – Sentenza n. 16984 depositata il 14 giugno 2023
Tributi – Avviso di accertamento – IRPEG – Natura “elusiva” dell’operazione di frazionamento dell’esercizio sociale – Risparmio d’imposta – Ragione economica valida per lo sdoppiamento di esercizio – Prova a carico del contribuente – Principio di non contestazione nel processo tributario – Rigetto
Fatti di causa
1. Con l’avviso di accertamento per cui è causa l’Agenzia delle Entrate ha rettificato il reddito della Società ricorrente per il periodo di imposta 1.3.2004 – 30.6.2004, recuperando a tassazione una maggiore IRPEG di Euro 1.048.994,00 con l’applicazione di sanzioni ed interessi. L’accertamento si fonda sulla ritenuta natura “elusiva” dell’operazione di frazionamento dell’esercizio sociale – originariamente previsto per il periodo 1.11.2003-31.10.2004 – in due “sotto periodi” 1.11.2003 – 29.2.2004 e 1.3.2004-30.6.2004, cui la Società avrebbe dato corso per poter beneficiare, ex art. 89 TUIR, della tassazione al 5% del dividendo erogato dalla controllata statunitense L.L.C., in luogo dell’imposizione al 40 % fino ad allora prevista dall’art. 96 TUIR, precedente testo, applicabile ai periodi di imposta decorrenti dal 1 gennaio 2004.
La contribuente, soccombente in primo e secondo grado, propone ricorso per cassazione, affidato a un unico motivo. L’Agenzia si difende a mezzo di controricorso al fine di resistere all’impugnativa. La contribuente ha altresì depositato memoria illustrativa.
Ragioni della decisione
1. Con l’unico motivo la contribuente deduce violazione e falsa applicazione del d.p.r. 29 settembre 1973, n. 600, art. 37bis, del divieto dell’abuso del diritto di cui alla Cost., art. 53 degli artt. 96, 96bis TUIR, vecchia numerazione, e 89 TUIR, in relazione all’art. 360, comma 1, num. 3 c.p.c..
Secondo la stessa erroneamente i giudici d’appello hanno ritenuto che lo sdoppiamento dell’esercizio era stato posto in essere in assenza di ragioni economicamente valide, perché tale ragionamento presupporrebbe che il risparmio d’imposta discenderebbe dall’assenza delle suddette ragioni economiche, laddove occorreva accertare la sussistenza di tutti gli elementi costitutivi del comportamento abusivo, incluso il risparmio d’imposta, che sarebbe richiesto per configurarsi la fattispecie di abuso di cui al d.p.r. n. 600 del 1973, art. 37bis.
E nella specie non sarebbe stato applicabile alla tassazione dei dividendi l’art. 96 TUIR, ma l’art. 96-bis, stessa legge, che prevedeva anch’esso il trattamento fiscale con imposta al 5 %, posto che il comma 2-ter estendeva il regime “madre-figlia” appunto la detassazione al 95 %, anche ai dividendi extracomunitari. Per cui, la quota di partecipazione nella società statunitense in premessa essendo superiore al 25 % ed essendo stata detenuta per oltre un anno, la contribuente non avrebbe avuto alcuna ragione di procedere allo sdoppiamento dell’esercizio per beneficiare della detassazione al 95 % garantita dall’art. 89 TUIR, potendo infatti fruire dell’analogo regime di cui all’art. 96-bis.
2. Il ricorso è infondato. Infatti, la società contribuente si limita ad affermare il ricorso delle condizioni per la detassazione di cui all’art. 96-bis, vecchio testo, tuir, con particolare riferimento alla percentuale di partecipazione, alla durata della partecipazione ed alla nazionalità della partecipata, ma le stesse non appaiono provate.
Nel ricorso non si deduce di aver dimostrato, e come, le suddette circostanze (anzi, si afferma da parte della stessa contribuente che la società sarebbe stata costituita a luglio 2003, mentre la riscossione dei dividendi sarebbe avvenuta entro giugno 2004, cioè meno di un anno dopo), laddove appare evidente che il vizio di violazione di legge presuppone di necessità che non solo la parte affermi, ma anche dimostri il ricorrere dei presupposti applicativi della norma che si assume violata.
In particolare, per effetto della struttura dialettica del processo tributario, che pone le parti in identica posizione, occorre necessariamente che la verifica dei fatti posti a fondamento della domanda (o delle eccezioni) passi attraverso il vaglio di elementi diversi dalla mera affermazione che di essi faccia la parte a proprio vantaggio. In tal caso non si può quindi invocare, come sostiene la contribuente, il principio di non contestazione. Nel processo tributario, impugnatorio di un atto affermativo della pretesa fiscale (similmente a quanto accade nel processo di opposizione all’esecuzione, rispetto all’espropriazione forzata, alla cui base del pari è posto un titolo a fondamento della pretesa creditoria), il principio di non contestazione non implica a carico dell’Amministrazione finanziaria, a fronte dei motivi di impugnazione proposti, un onere di allegazione ulteriore rispetto a quanto contestato (preteso) mediante l’atto impositivo, atto preesistente al processo nei quali i fatti costitutivi sono già stati allegati in modo difforme da quanto dal contribuente ritenuto in sede giudiziale.
Va dunque affermato il seguente principio di diritto
Per effetto della struttura dialettica del processo tributario occorre necessariamente che la verifica dei fatti posti a fondamento della domanda (o delle eccezioni) passi attraverso il vaglio di elementi diversi dalla mera affermazione che di essi faccia la parte a proprio vantaggio. In tal caso non si può quindi invocare il principio di non contestazione. Nel processo tributario, caratterizzato dall’impugnazione di un atto affermativo della pretesa fiscale (similmente a quanto accade nel processo di opposizione all’esecuzione, rispetto all’espropriazione forzata, alla cui base del pari è posto un titolo a fondamento della pretesa creditoria), il principio di non contestazione non implica a carico dell’Amministrazione finanziaria, a fronte dei motivi di impugnazione proposti, un onere di allegazione ulteriore rispetto a quanto contestato (preteso) mediante l’atto impositivo, atto preesistente al processo nei quali i fatti costitutivi sono già stati allegati in modo difforme da quanto dal contribuente ritenuto in sede giudiziale.
Risulta poi nella specie invece pacifica l’effettuazione dello sdoppiamento dell’esercizio, e anche qui non è provata la sussistenza di una ragione economica valida per tale operazione. In proposito va infatti ricordato che la prova della sussistenza di valide ragioni economiche (non importa se prevalenti o meno rispetto alla concorrente finalità di risparmio fiscale) deve essere portata al contribuente (ex plurimis Cass. 30/01/2018, n. 2240). In assenza delle prove suddette, non si può predicare la violazione di legge denunciata da parte del giudice d’appello, ed il ricorso deve essere respinto, con aggravio di spese per la ricorrente soccombente.
Sussistono i presupposti processuali per dichiarare l’obbligo di versare, ai sensi del d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1-quater, nel testo introdotto dalla l. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1 comma 17, un ulteriore importo a titolo di contributo unificato.
P.Q.M.
Respinge il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 10.500,00, oltre spese prenotate a debito.
Dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per dichiarare l’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto.
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