Corte di Cassazione sentenza n. 17476 depositata il 31 maggio 2022

ricorso in cassazione – differenza fra l’omessa pronuncia ed omessa motivazione – accertamento parziale

FATTIDICAUSA

Con la sentenza impugnata la CTR Sicilia (rigettava l’appello proposto da L.A. e L.V. avverso la sentenza n. 9/6/11 della Commissione tributaria provinciale di Trapani che ne aveva respinto il ricorso contro gli avvisi di accertamento per II. DD. ed IVA 2006.

La CTR osservava in particolare che meritava piena conferma la sentenza appellata sia in punto legittimit21 degli accertamenti parziali impugnati anche per il profilo motivazionale sia in punto assolvimento dell’onere probatorio da parte dell’Ente impositore, risultandone le pretese creditorie fondate sulla sostanziale assenza di attività imprenditoriale effettiva da parte della, cessata, D. snc di L.A. & C. Avverso tale decisione hanno proposto ricorso per cassazione contribuenti deducendo dodici motivi poi illustrati con una memoria.

Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo -ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.- i ricorrenti lamentano la violazione della normativa in materia di accertamento parziale, non avendo la CTR siciliana accolto la loro eccezione al riguardo, in quanto gli atti irr positivi impugnati derivavano da verifiche operate dalla stessa agenzia fiscale emittente e non da altri organi dell’amministrazione finanziaria.

La censura è infondata.

Va ribadito che «L’accertamento parziale dell’IVA e delle imposte dirette può essere legittimamente adott2to anche su iniziativa propria dell’ufficio titolare del potere di accertamento totale, in quanto rappresenta uno strumento diretto a pe:·seguire finalità di sollecita emersione della materia imponibile, ove le attività istruttorie diano contezza della sussistenza di attendibili posizioni debitorie e non richiedano, in ragione della loro oggettiva consistenza, l’esercizio di valutazioni ulteriori rispetto al mero recepimento del contenuto della segnalazione, a prescindere dal fatto che quest’ultima provenga da un soggetto estraneo all’amministrazione o eia fonti ad essa interne» (Sez. 5, Sentenza n. 27323 del 23/12/2014, Rv. 633725 – 01).

Non  è  dunque  ravvisabile  alcuna  violazione  della  normativa evocata da parte del giudice tributario di appello, essendo irrilevante al fine dell’adozione della tipologia accertativa de qua che la fonte istruttoria provenga dalla medesima agenzia fiscale che emette l’atto impositivo.

Con il secondo motivo -ex art. 36(, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.- i ricorrenti si dolgono della violazione dell’art. 12, comma 2, legge 212/2000, poiché la CTR non ha accolto la loro eccezione inerente la mancata motivazione della verifica.                                                                                                 

La censura è infondata.                                                                                       

Anche a voler prescindere dal fatto che, come sottolineato dalla e controricorrente, le ragioni della verifica fiscale sono state esternate ai contribuenti, in ogni caso va dato seguito all’orientamento di questa Corte secondo il quale «In tema di accertamento, ove non siano state indicate al contribuente, in sede di verifica, le specifiche ragioni per le quali la stessa é iniziata, motivando gli accessi con generici riferimenti agli indirizzi di programma annuali ovvero al settore economico di particolare interesse, non si configura la nullità dell’atto impositivo per violazione dell’art. 12, comma 2, della l. n. 212 del 2000, atteso che, non essendo tale sanzione espressamente prevista dalla legge, è onere del contribuente dedurre e dimostrare il concreto pregiudizio derivato alla sua difesa dalla denunciata violazione» (Sez. 5 – , Ordinanza n. 28692 del 09/11/2018, Rv. 651273 – 01), non avendo i ricorrenti indicato in alcun modo quale pregiudizio sarebbe derivato dall’omissione in questione.

Con il terzo motivo -ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.- i ricorrenti denunciano la violazione clell’art. 42, dPR 600/1973 e dell’art. 56, dPR 633/1972, poiché la CTR ha respinto la loro eccezione, reiterata con l’appello, di invalidità degli avvisi di accertamento impugnati per vizio motivazionale.

La censura è inammissibile e comunque infondata.

Anzitutto va dato seguito al principio di diritto secondo il quale «In base al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, sancito dall’art. 366 cod. proc. civ., qualora il ricorrente censuri la sentenza di una commissione tributaria ‘regionale sotto il profilo della congruità del giudizio espresso in ordine alla motivazione di un avviso di accertamento – il quale non è atto processuale, bensì amministrativo, la cui motivazione, comprensiva dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche che lo giustificano, costituisce imprescindibile requisito di legittimità dell’atto stesso – è necessario, a pena di inammissibilità, che il ricorso riporti testualmente i passi della motivazione di detto atto che si assumono erroneamente interpretati o pretermessi dal giudice di merito, al fine di consentire alla Corte di cassazione di esprimere il suo giudizio sulla suddetta congruità esclusivamente in base al ricorso medesimo» (Sez. 5, Sentenza n. 8312 dé 04/04/2013, Rv. 625996 – 01).

Tale   condizione    di    ammissibilità del mezzo non è stata concretizzata dai ricorrenti nella sua formulazione non essendo affatto riportata per estratto nei punti rilevanti la motivazione degli atti impositivi impugnati.

In ogni caso va ribadito anche che «In tema di imposte sui redditi, la mancata indicazione, nell’avviso di accertamento, della norma asseritamente violata non è, di pE r sè, causa di nullità dell’atto per inosservanza dell’obbligo di motivazione, ove lo stesso indichi i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che permettano al contribuente di esercitare il proprio diritto difensivo» (Sez. 5 – , Sentenza n. 9499 del 12/04/2017, Rv. 643920 – 01), trattandosi di principio di diritto evidentemente e:;tensibile anche alla disciplina dell’IVA ed altrettanto evidentemente riquardante anche le norme procedimentali applicate.

Con il quarto motivo -ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.- i ricorrenti si dolgono della violazione degli artt. 37 bis, dPR 600/1973, 2697, cod. civ., poiché la CTR non ha accolto le proprie allegazioni difensive, anche in punto onere della prova, relativamente alla natura abusiva delle condotte contestate con gli avvisi di accertamento impugnati.

La censura è inammissibile.

L’articolazione del mezzo difetta del requisito della specificità (autosufficienza) in quanto, come già sopra si è rilevato, non riporta la motivazione degli avvisi di accertamento impugnati nemmeno per estratto e quindi la Corte non è nelle condizioni di poter valutare se ed in quali esatti termini con gli stessi si sia fatta applicazione della disposizione antielusiva evocata e del correlativo onere probatorio, anche secondo il principio generale codicistivo pure evocato.

Dalla sentenza impugnata tuttavia non risulta che questo sia il reale contenuto degli atti impositivi stessi, piuttosto trattandosi di riprese inerenti la deduzione di costi e detrazione dell’IVA correlativa.

Il che induce un’ulteriore ragione di inammissibilità della censura secondo i principi di diritto che «La proposizione, con il ricorso per cassazione, di censure prive di specifiche attinenze al “decisum” della sentenza impugnata è assimilabile alla mancata enunciazione dei motivi richiesti dall’art. 366 n.4) c.p.c., con conseguente inammissibilità del ricorso, rilevabile anche d’ufficio» (Cass., n. 20910/2017) e che «La proposizione, mediante il ricorso per cassazione, di censure prive di specifica attinenza al “decisum” della sentenza impugnata comporta l’inammissibilità del ricorso per mancanza di motivi che possono rientrare nel paradigma normativo di cui all’art. 366, comma primo, n. 4 cod. proc. civ.. Il ricorso per cassazione, infatti, deve contenere, a pena di inammissibilità, i motivi per i quali si richiede la cassazione, aventi carattere di specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata, il che comporta l’esatta individuazione del capo di pronunzia impugnata e l’esposizione di ragioni che illustrino in modo intelligibile ed esauriente le dedotte violazioni di norme o principi di diritte, ovvero le carenze della motivazione, restando estranea al giudizio di cassazione qualsiasi doglianza che riguardi pronunzie diverse da quelle impugnate» (Cass., n. 17125/2017).

Con il quinto motivo -ex art. 360, pr’mo comma, n. 3, cod. proc. civ.- i ricorrenti deducono la violazione dell’art. 2697, cod. civ., non avendo la CTR correttamente valutato la deducibilità dei costi in contestazione e della correlativa IVA.

La censura è inammissibile.

Va infatti ribadito che «La violazione del precetto di cui all’art. 2697 e.e. si configura nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era gravata in applicazione di detta norma, non arche quando, a seguito di una incongrua  valutazione  delle  acquisizioni  istruttorie,  abbia  ritenuto erroneamente che la parte onerata avess,2 assolto tale onere, poichè in questo caso vi è un erroneo apprezzar1ento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo pe  il vizio di cui all’art. 360, n. 5, c.p.c.» (Cass., n. 17313 del 19/08/2020, Rv. 658541 – 01).

Il mezzo non critica la sentenza impugnata secondo la corretta declinazione della violazione di legge denunciata, quale derivante da tale, consolidato, arresto giurisprudenziale, quanto piuttosto esprime dissenso in ordine alle valutazioni probatorie del giudice tributario di appello, così ponendosi del tutto al di fuori del perimetro del sindacato sugli errores juris di competenza di questa Corte.

Con il sesto motivo -ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.- i ricorrenti lamentano la violazione  dell’art.  4, comma  5, dPR 633/1972, poiché la CTR non ha accorto la loro eccezione di invalidità degli   atti impositivi impugnati con riguardo all’applicazione della disciplina delle “società di comodo”.

Con il settimo motivo -ex art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.- i ricorrenti denunciano la nullità de:la sentenza impugnata per violazione dell’art. 112, cod. proc. civ., poiché la CTR non si è pronunciata né ha motivato in ordine all2 questione di cui al motivo precedente.

Le censure, da esaminarsi congiuntamente per connessione, sono inammissibili.

Anche tali mezzi sono infatti inficiati dal difetto di specificità (autosufficienza) per omessa trascrizione cella motivazione degli avvisi di accertamento impugnati, così non consentendosi alla Corte la valutazione dell’esatto contenuto della contestazioni dell’agenzia fiscale, in rapporto alla disposizione legislativa evocata.

In ogni caso va ribadito che «In tema di ricorso per cassazione avverso sentenza resa dalla Commissione tributaria regionale in grado di appello, poiché l’unico oggetto del giudizio di legittimità è costituito dalla sentenza impugnata, è inammissibile il motivo di ricorso con cui si denuncino direttamente vizi dell’avviso di accertamento» (Sez. 5, Sentenza n. 6134 del 13/03/2009, Rv. 607319 – 01).

Quanto specificamente al vizio di attività denunciato, va anche dato seguito al principio di diritto che <<La differenza fra l’omessa pronuncia ai sensi dell’art. 112 cod. proc. civ. e l’omessa motivazione su un punto decisivo della controversia ci cui al n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ. consiste nel fatto che, nel primo caso, l’omesso esame concerne direttamente una domanda od un’eccezione introdotta in causa, autonomamente apprezzabile, ritualmente ed inequivocabilmente formulata, mentre nel secondo, l’omessa trattazione riguarda una circostanza di fatti che, ove valutata, avrebbe comportato una diversa decisione» (Cass. n. 25714 del 04/12/2014, Rv. 633682 – 01) ed è evidente che la censura in esame non rispetta in alcun modo il canone esposto con tale arresto giurisprudenziale.                                                                                                 

Con l’ottavo motivo -ex art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.- i ricorrenti si dolgono della illegittimità degli atti impositivi impugnati per violazione dell’art. 37, comma 3, dPR 600/1973 e della violazione dell’art. 112, cod. proc. civ., poiché la CTR non si è pronunciata sulla detta loro eccezione.

La censura è inammissibile.

Non resta che ribadire quanto già sopra rilevato sul difetto di specificità (autosufficienza) per mancata trascrizione delle motivazione di detti avvisi di accertamento e peraltro anche sull’oggetto del giudizio di cassazione, che non è mai costituito dagli stessi bensì dalla sentenza impugnata.

Con il nono motivo -ex art. 360., prim0 comma, n. 3, cod. proc. civ.- i ricorrenti denunciano l’illegittimità d gli atti impositivi impugnati per la parte relativa alle sanzioni.

Con il decimo motivo -ex art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.- i ricorrenti lamentano l’omessa pronuncia sull’eccezione di cui al motivo che precede.

Le censure, da esaminarsi congiuntamente per connessione, sono inammissibili.

Va, come sopra, affermata l’aspecificità dei mezzi sia per la mancata riproduzione dei correlativi testi dell’atto impositivo impugnato sia rispetto ad una sentenza impugnata nella quale non è affatto trattata la questione della natura elusiva/abusiva delle condotte oggetto delle riprese fiscali.

Con l’undicesimo e con il dodicesime motivo -ex art. 360, primo comma, n. 3-4, cod. proc. civ.- i ricorrenti denunciano la violazione dell’art. 8, comma 1, dPR 917/1986, nel testo applicabile temporalmente, e l’omessa  pronuncia  in ordine alla correlativa eccezione, poiché la CTR non ha accolto e comunque non si è espressa in ordine alle sua allegazioni difensive relative alla effettiva operatività della sciolta D. snc.

Le censure, da esaminarsi congiuntamente per connessione, sono inammissibili.

Anche in relazione a tali mezzi si profila un radicale difetto di specificità, non essendo gli stessi pertine1t:i all’effettiva ratio decidendi della sentenza impugnata.

Il giudice tributario di appello infatti si è limitato ad accertare -in fatto e perciò insindacabilmente in questa, sede- la sostanziale assenza di attività di impresa da parte della disciolta D. snc, quindi l’inapplicabilità della normativa fiscale su la determinazione del reddito di impresa e di quella IVA.

Su tale presupposto si basano -essenzialmente ed esclusivamente- le statuizioni della sentenza impugnata, sicchè le denunciate violazione di legge ed omissione di pronuncia risultano ultronee in rapporto al decisum reale e perciò inammissibili.

In conclusione il ricorso va rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 5.600 oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.