Corte di Cassazione sentenza n. 17480 depositata il 31 maggio 2022

analitico-induttiva – fatti storici – contenzioso tributario

FATTI DI CAUSA

1. Le società contribuenti EREDI F.G. DI LAURA E G.F. SAS e i singoli soci F.L., G.F.e G.M. hanno separatamente impugnato alcuni avvisi di accertamento, relativi ai periodi di imposta 2004 e 2005 con i quali si accertavano maggiori redditi a carico della società contribuente derivanti dall’accertamento di un maggior valore di cessione di quattordici unità immobiliari, a seguito di lavori di ristrutturazione di un fabbricato sito in Cattolica, Via C., con recupero di IRAP e IVA e conseguente accertamento, per trasparenza, dei maggiori redditi e della maggiore IRPEF in capo ai soci.

2. Gli avvisi facevano seguito a un PVC in data 14 maggio 2007 (innescato da un esposto di uno degli acquirenti degli immobili) e alle risultanze di un successivo questionario, in virtù dei quali si accertava la corresponsione di ricavi non dichiarati per uno degli immobili compravenduti da uno degli acquirenti, Donati Franco, corresponsione avvenuta nei confronti di F.G., de cuius e già socio della società contribuente, nonché titolare di una impresa individuale omonima, circostanze risultanti da dichiarazioni del menzionato acquirente e da documentazione contrattuale e bancaria, accertandosi, inoltre, l’incoerenza del prezzo di cessione rispetto ai valori di mercato; l’Ufficio, deducendo che gli altri tredici immobili compravenduti avessero analoghe caratteristiche, procedeva, inoltre, a rideterminare anche i relativi valori di cessione.

3. Le società contribuenti e soci hanno dedotto, nel merito, l’inconferenza degli elementi presuntivi addotti, adducendo a prova contraria, tra l’altro, che gli immobili in oggetto erano stati oggetto di sottoscrizione di convenzione urbanistica con il Comune di Cattolica, in base alla quale agli immobili a costruirsi erano stati imposti prezzi, di massimi compravendita.

4. La CTP di Rimini ha accolto parzialmente il ricorso in relazione alle tredici compravendite ulteriori rispetto a quella dalla quale aveva tratto origine la verifica.

5. La CTR dell’Emilia-Romagna, con sentenza in data 17 aprile 2014, ha accolto l’appello principale dell’Ufficio e ha rigettato l’appello incidentale dei contribuenti. Ha ritenuto il giudice di appello che gli indizi addotti dall’Ufficio – costituiti dai valori OMI, da quelli desumibili dalle riviste specializzate e dalla documentazione risultante da uno degli immobili – avente caratteristiche strutturali simili agli immobili delle ulteriori compravendite – appaiono dotati di adeguata pregnanza indiziaria ai fini della prova presuntiva del pagamento di un corrispettivo maggiore di quello Ha, poi, ritenuto il giudice di appello che la convenzione sottoscritta dalla società contribuente con il Comune di Cattolica relativa ai valori di cessione non fosse vincolante nei confronti di terzi.

6. Propongono ricorso per cassazione i contribuenti, affidato a quattordici motivi, ulteriormente illustrati da memoria; l’Ufficio si è costituito ai soli fini della partecipazione all’udienza di discussione.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1 Con il primo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., nullità della sentenza per omessa pronuncia in violazione dell’art. 112, proc. civ., nella parte in cui la sentenza impugnata ha omesso di pronunciarsi sull’eccezione di inammissibilità dell’appello. Parte ricorrente deduce di avere contestato in appello (trascrivendolo in parte qua) l’inammissibilità dell’appello per avere l’Ufficio contestato il difetto di motivazione della sentenza, senza indicare e spiegare quali fossero i punti non sufficientemente motivati, circostanza in ordine alla quale la CTR non si sarebbe pronunciata, ripercorrendo gli argomenti svolti negli atti impositivi.

1.2 Con il secondo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, proc. civ., nullità della sentenza ex art. 132 cod. proc. civ. per omessa o apparente motivazione in relazione alla circostanza di cui al superiore motivo.

1.3 Con il terzo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione dell’art. 53 d. lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, nella parte in cui la CTR non ha rilevato l’inammissibilità dell’appello per non avere lo stesso censurato specificamente la sentenza impugnata, essendosi l’Ufficio appellante limitato a riproporre le argomentazioni svolte in primo grado, senza alcuna specifica critica nei confronti della sentenza impugnata.

1.4 Con il quarto motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, consistente nel fatto storico che l’assegno bancario intestato a «me medesimo» emesso dall’acquirente D.F. fosse stato emesso dal terzo Elisa Grechi. Deduce parte ricorrente come la sentenza impugnata abbia omesso di considerare tale circostanza, evidenziandosi come l’assegno non sarebbe stato incassato né dal traente, né dal supposto beneficiario (F.G.), bensì dal menzionato terzo.

1.5 Con il quinto motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, 5, cod. proc. civ., omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, consistente nel fatto storico che l’acquirente D.F. fosse in contenzioso con gli eredi della società contribuente ricorrente in relazione agli importi dichiarati dall’acquirente come versati «in nero» per l’acquisto dell’immobile, circostanza che indurrebbe a minare la credibilità delle dichiarazioni del medesimo, in quanto lo stesso si troverebbe in «conflitto di interessi» con la società contribuente.

1.6 Con il sesto motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, consistente nel fatto storico del rigetto in sede giurisdizionale ordinaria delle pretese azionate dall’acquirente Donati. Parte ricorrente evidenzia come la circostanza dedotta dall’acquirente (il versamento di corrispettivi non dichiarati), posta dall’Ufficio a fondamento degli atti impositivi e valorizzata dal giudice di appello sarebbe stata smentita dal giudice ordinario (Tribunale di Rimini), che ha rigettato le pretese dell’acquirente.

1.7 Con il settimo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, consistente nel fatto storico che il reddito dell’impresa contribuente fosse risultato congruo in relazione agli studi di settore per gli esercizi oggetto di accertamento (2004 e 2005), dovendosi ritenere rilevante tale elemento, posto che la congruità dei ricavi sarebbe elemento rilevante ai fini della decisione.

1.8 Con l’ottavo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, consistente nel fatto storico che l’Ufficio non avrebbe rinvenuto alcun incremento patrimoniale sospetto, né alcun movimento bancario tale da confermare la pretesa.

1.9 Con il nono motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, 5, cod. proc. civ. omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, consistente nel fatto storico che gli altri acquirenti non avrebbero confermato di avere pagato un prezzo maggiore di quello dichiarato negli atti notarili di trasferimento, osservandosi come gli altri acquirenti avrebbero potuto trarre un profitto dal confermare di aver pagato più di quanto dichiarato nei rogiti di acquisto.

1.10 Con il decimo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, 3, cod. proc. civ., violazione dell’art. 39, primo comma, lett. d) d.P.R. n. 600/1973, nella parte in cui il giudice di appello ha confermato l’avviso di accertamento in relazione al maggior risultato economico facendo riferimento alla valutazione complessiva degli elementi presuntivi. Osserva parte ricorrente come il giudice del merito non possa, in sede di accertamento analitico-induttivo, limitarsi a ritenere inattendibili le scritture contabili nel suo complesso, ma debba contestare specificamente le singole poste della contabilità, richiamandosi a una non recentissima giurisprudenza di questa Corte.

1.11 Con l’undicesimo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 8 I. 28 gennaio 1977, 10, trasfuso nell’art. 18 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, nella parte in cui il giudice di appello ha ritenuto che la convenzione tra la venditrice e il Comune di Cattolica volta a calmierare i prezzi di vendita non fosse vincolante per i terzi estranei alla convenzione. Osserva parte ricorrente come la convenzione in oggetto vietava la vendita degli appartamenti a un prezzo a metro quadro superiore ad € 1.525,00 e che tale norma di cui al citato art. 8 l. n. 10/1977, analogamente alla successiva disposizione di cui all’art. 18 d.P.R. n. 380/2001, prevede la nullità delle pattuizioni stipulate in violazione dei prezzi di cessione, nullità che vincolerebbe entrambe le parti del contratto di cessione e non solo parte venditrice.

1.12 Con il dodicesimo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, consistente nel fatto storico secondo cui la società contribuente avrebbe stipulato, tramite il de cuius F.G., la suddetta convenzione con il Comune di Cattolica, la quale prevedeva un tetto massimo a metro quadro per il corrispettivo di cessione degli immobili.

1.13 Con il tredicesimo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., violazione degli artt. 2727 cod. civ., 39 e 42, primo comma, lett. d) d.P.R. n. 600/1973, per avere la CTR confermato la pretesa impositiva nonostante la stessa fosse fondata su una doppia presunzione in relazione agli immobili diversi da quello ceduto all’acquirente Donati, posto che per tali immobili la prova del corrispettivo sarebbe dedotta deduttivamente a sua volta da una circostanza indiziaria, quali le dichiarazioni del Donati e la documentazione relativa, in violazione del principio di doppia

1.14 Con il quattordicesimo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione dell’art. 2697 cod. civ., nella parte in cui il giudice di appello ha assunto che il valore di mercato degli immobili oggetto di accertamento fosse maggiore di quanto dichiarato nei rogiti senza adeguata prova, ritenendo privi di pregnanza indiziaria gli elementi addotti dall’Ufficio.

2. Il primo e il secondo motivo del ricorso principale, i quali possono essere esaminati congiuntamente, sono infondati. Non ricorre, difatti, il vizio di omessa pronuncia quando la decisione adottata, in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte, comporti necessariamente il rigetto di quest’ultima, non occorrendo una specifica argomentazione in proposito; nel qual caso è sufficiente quella motivazione che fornisca una spiegazione logica ed adeguata della decisione adottata, evidenziando le prove ritenute idonee a suffragarla, ovvero la carenza di esse, senza che sia necessaria l’analitica confutazione delle tesi non accolte o la disamina degli elementi di giudizio non ritenuti significativi (Cass., Sez. V, 2 aprile 2020, n. 7662). Nella specie la CTR, entrando nel merito dell’appello, ha implicitamente rigettato le questioni preliminari, tra cui quella relativa alla inammissibilità dell’appello, così risultando – in virtù dell’implicito rigetto della preliminare eccezione – comprensibile il generico riferimento al rigetto di tutte le ulteriori eccezioni contenuto in calce alla motivazione.

3. Il terzo motivo è infondato. Per quanto l’art. 53, comma 1, d. lgs. n. 546/1992 prevede che l’impugnazione debba contenere «motivi specifici», ossia una critica della sentenza impugnata, la mancanza o l’assoluta incertezza dei motivi specifici dell’impugnazione tali da determinare l’inammissibilità dell’appello non sono ravvisabili qualora il gravame, benché formulato in modo sintetico, contenga una motivazione interpretabile in modo inequivoco, potendo gli elementi di specificità dei motivi ricavarsi, anche per implicito, dall’intero atto di impugnazione considerato nel suo complesso (Cass., Sez. V, 21 luglio 2020, n. 15519). Le stesse parti ricorrenti trascrivono il proprio atto di controdeduzioni in appello (pag. 45 ricorso), il quale riporta per relationem la circostanza che l’appello dell’Ufficio contenesse due distinti motivi, consistenti nell’insufficienza della motivazione della sentenza di primo grado in ordine alla violazione dell’art. 39, primo comma, lett. d) d.P.R. n. 600/1973 e dell’erronea valutazione della prova contraria, circostanze idonee a evidenziare le doglianze proposte dall’Ufficio appellante avverso la sentenza di primo grado.

4. I motivi dal quarto al nono (sui quali parte ricorrente torna diffusamente in memoria), quali possono essere esaminati congiuntamente, sono infondati. Come condivisibilmente osservato dal Pubblico Ministero, i fatti storici denunciati da parte ricorrente – salve le successive considerazioni – pur essendo stati dedotti sin dal primo grado di giudizio (come risulta dalla narrativa del ricorso), non vedono adeguatamente illustrato il giudizio di decisività, inteso come percorso logico-argomentativo secondo il quale la considerazione dei fatti non oggetto di esame da parte del giudice del merito avrebbe potuto comportare, secondo parametri di elevata probabilità logica, un esito diverso della controversia (Cass., Sez. II, 29 ottobre 2018, n. 27415; Cass., Sez. Lav., 21 ottobre 2019, n. 26794). In relazione ai menzionati fatti – l’incasso dell’assegno a «me medesimo» non da parte del traente, bensì da parte del terzo G. (che terzo non è, in quanto comproprietaria dell’immobile come risulta dalla sentenza impugnata), il contenzioso tra l’acquirente e il de cuius F.G., l’inesistenza di ulteriori analoghe dichiarazioni da parte degli altri acquirenti, nonché l’insussistenza di elementi di riscontro dagli studi di settore (e dai conti correnti bancari della società contribuente)-tale giudizio di decisività fa difetto.

5. Né, del resto, parrebbe lecito considerare quali fatti storici circostanze negative (l’inesistenza di riscontri dagli studi di settore e dagli accertamenti patrimoniali e bancari), peraltro del tutto coerenti con la prospettata erogazione di corrispettivi non contabilizzati, né tracciati, così come non può essere dedotto come fatto storico l’esito del giudizio civile intentato dall’acquirente nei confronti del venditore, anche in considerazione della autonomia del giudizio tributario rispetto a quello penale, come rispetto a quello civile (Cass., Sez. V, 27 settembre 2011, n. 19786; Cass., Sez. VI, 28 giugno 2017, n. 16262).

6. Il decimo motivo è infondato. L’accertamento con metodologia analitico-induttiva procede dall’esame di una contabilità formalmente regolare, dalla quale possa comunque trarsi il giudizio di sostanziale o complessiva inattendibilità, sulla base di elementi che consentano di accertare, in via presuntiva, maggiori ricavi (Cass., Sez. V, 11 aprile 2018, n. 8923). Non è, pertanto, la gravità delle irregolarità a denotare il corretto ricorso o meno alla metodologia analitica-induttiva, bensì la gravità dei  numerosi  elementi  indiziari,  riscontrati  dall’Ufficio  e valorizzati dal giudice di appello, dai quali trarre la complessiva inattendibilità dei dati contabili (Cass., Sez. V, 12 dicembre 2018, n. 32129; Cass., Sez. V, 13 luglio 2018, n. 18695), elementi che si sarebbero anche potuti identificare in un unico grave elemento indiziario (Cass., Sez. V, 14 ottobre 2020, n. 22184).

7. Né può sostenersi, come deduce parte ricorrente, che l’Ufficio si sarebbe dovuto confrontare punto per punto con le singole risultanze contabili. Una volta raggiunto il giudizio di sostanziale inattendibilità della contabilità, in quanto fondato su elementi dotati di idonea pregnanza indiziaria, l’Ufficio non è onerato a contrastare l’attendibilità di ogni specifica voce delle scritture contabili, anche formalmente corrette, risultando il provvedimento di rettifica del reddito di per sé legittimo, ove fondato anche in assenza dell’analitico riscontro della congruenza e della verosimiglianza dei singoli cespiti di reddito dichiarati dal contribuente (Cass., Sez. V, 26 novembre 2007, n. 24532; Cass., Sez. V, 5 novembre 2014, n. 23550; Cass., Sez. V, 28 settembre 2021, n. 26299).

8. L’undicesimo e il dodicesimo motivo, i quali possono essere esaminati congiuntamente, sono inammissibili, in quanto non colgono pienamente la ratio decidendi. Le parti contribuenti hanno dedotto che il de cuius F.G. ebbe a stipulare in data 2 luglio 2002 con il Comune di Cattolica una Convenzione relativa a intervento di edilizia abitativa convenzionata, in forza del quale l’autorizzazione all’edificazione concessa dal Comune era accompagnata dall’impegno del F. a vendere gli appartamenti a un prezzo non superiore ad € 1.524,00/mq a termini dell’art. 8 l. n. 10/1977, il che avrebbe escluso l’applicazione inter partes del maggior valore di mercato. Dispone, al riguardo, l’art. 8 l. n. 10/1977 (sostanzialmente trasfuso nell’art. 18 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380) che le convenzioni possono determinare i prezzi di cessione degli alloggi sulla base del costo delle aree, del costo di costruzione e delle opere di urbanizzazione, compresi oneri, in esito al quale le eventuali pattuizioni stipulate in violazione dei prezzi di cessione sono nulle per la parte eccedente (art. 8, quinto comma, I. u.t cit.). Disposizione analoga è, poi, contenuta, con decorrenza dal 30 giugno 2003, nell’art. 18, comma 5 d.P.R. n. 380/2001. Effettivamente, come da questa Corte stabilito, l’obbligo di contenere i prezzi di cessione di immobili, costruiti sulla base di concessione edilizia rilasciata a contributo ridotto, nei limiti della convenzione-tipo approvata dalla Regione ai sensi dell’art. 7 l. n. 10/1977, per quanto non gravi sull’acquirente che intenda rivendere l’immobile, grava sul costruttore titolare della concessione e, inevitabilmente, sulla controparte negoziale (Cass., Sez. II, 4 aprile 2011, n. 7630; Cass., Sez. II, 2 ottobre 2000, n. 13006). Tale convenzione ha, pertanto, efficacia vincolante per le parti contrattuali e ha una sia pure limitata efficacia in relazione ai terzi della vicenda circolatoria, peraltro in misura più ridotta rispetto ad altre convenzioni urbanistiche, come quelle di cui all’art. 35 l. 22 ottobre 1971, n. 865 (Cass., Sez. U., 16 settembre 2015, n. 18135).

9. Tuttavia, la sentenza impugnata non ha considerato (e non avrebbe potuto considerare) tra i soggetti vincolati all’osservanza della suddetta convenzione anche l’Amministrazione finanziaria quale terzo della vicenda circolatoria pregiudicato dall’operatività della convenzione, trattandosi di terzo creditore, al quale non possono essere opposte le diverse convenzioni stipulate dalle parti, prescindendosi dai vincoli imposti alle parti ai fini della circolazione del bene e dalle conseguenze che civilisticamente possono derivare alle parti dalla loro violazione. La posizione dell’Amministrazione finanziaria non può che prescindere dal dato negoziale, espresso o tacito che sia, in quanto volto a ricostruire l’effettività dell’operazione, nutrendosi degli elementi indiziari addotti (e ove tali ritenuti dal giudice del merito), indipendentemente dalla validità o meno delle clausole contrattuali. La posizione di «terzo», considerata dal giudice di appello ai fini dell’inopponibilità della convenzione di cui agli artt. 7, 8 l. n. 10/1977, deve ritenersi pertanto ascritta al terzo creditore, soggetto diverso dalla controparte contrattuale, al quale la convenzione non è La sentenza impugnata non si è sottratta all’applicazione dei suddetti principi.

10. Il tredicesimo e il quattordicesimo motivo, i quali possono essere esaminati congiuntamente, sono inammissibili. I ricorrenti intendono proporre – sotto la censura della violazione di legge, veicolata da una censura di divieto di doppia presunzione in relazione agli immobili diversi da quello ceduto agli acquirenti D./G. e (in generale) dal non corretto utilizzo delle regole di riparto dell’onere della prova – la revisione del ragionamento decisorio in ordine all’accertamento in fatto. In disparte dalla inammissibilità della prima censura, sotto il profilo della doppia presunzione (in considerazione del fatto che il valore di mercato determinato in base alle altre tredici compravendite non è stata desunta dagli elementi indiziari relativi alla compravendita D./G., ma dal fatto che tutti gli immobili avevano le medesime caratteristiche strutturali ed erano inserite nello stesso contesto abitativo), i ricorrenti mirano alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (Cass., Sez. VI, 4 luglio 2017, n. 8758; Cass., Sez. I, 5 febbraio 2019, n. 3340; Cass., Sez. I, 14 gennaio 2019, n. 640; Cass., Sez. I, 13 ottobre 2017, n. 24155; Cass., Sez. V, Sez. 5, 4 aprile 2013, n. 8315).

11. Il ricorso va, pertanto, rigettato, con raddoppio del contributo unificato. Nulla per le spese in assenza di difese scritte da parte dell’Ufficio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; dà atto che sussistono i presupposti processuali, a carico di parte ricorrente, ai sensi dell’art. 13 comma 1- quater d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall’art. 1, comma 17 della I. 24 dicembre 2012, n. 228, per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.