Corte di Cassazione sentenza n. 17492 depositata il 31 maggio 2022
effetto estintivo della società ai fini tributari e contributivi differito di 5 anni – doppia conforme – dichiarazioni rese da un terzo
RILEVATO CHE:
La E. srl in liquidazione e il Trust E. srl in liquidazione hanno proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza n. 7171/2014 della CTR Lombardia che ha respinto l’appello proposto dalla E. srl in liquidazione contro la sentenza della CTP Milano che aveva rigettato il suo ricorso contro gli avvisi di accertamento per gli anni 2005 e 2006 con i quali l’Ufficio aveva ricostruito induttivamente i ricavi della società derivanti da vendite immobiliari.
Nel giudizio d’appello era intervenuto il Trust E. srl in liquidazione, costituito dalla società a fini liquidatori, che aveva aderito alle domande dell’appellante.
I ricorrenti si sono affidati a tre motivi.
Ha resistito con controricorso l’Agenzia delle Entrate.
Per i ricorrenti sono state depositate in data 14.06.2021 memorie con le quali è stato rappresentato che la E. srl in liquidazione era stata ammessa a concordato preventivo con decreto 14.01.2016 del Tribunale di Milano, che il concordato era stato omologato con decreto 21.07.216, che a seguito di declaratoria di esecutività del piano di riparto finale in data 04.05.2020, l’Agenzia delle Entrate aveva ricevuto l’importo di euro 827.686,23.
E’ stato altresì comunicato che la E. srl in liquidazione era stata cancellata dal registro delle imprese in data 20.04.2021 e si è allegato certificate camerale da cui risulta che la domanda di cancellazione è stata presentata in data 30.12.2020, mentre il Trust E. srl in liquidazione è stato estinto con atto a rogito notaio Lorenzo Grossi in data 25.06.2020.
Il difensore, infine, ha comunicato che il socio unico della E. srl in liquidazione non gli aveva confermato il mandato difensivo.
A seguito di ciò, questa Corte con ordinanza 09.07.2021 ha chiesto informazioni all’Agenzia delle Entrate in ordine all’incidenza del concordato sulla pretesa di cui al presente giudizio.
E’ stata depositata nota 30.09.2021 con cui l’Agenzia delle Entrate ha precisato che le pretese oggetto del presente contenzioso erano state inserite nel passivo del concordato e che la proposta di concordato non prevedeva transazione fiscale, confermando di aver ricevuto in sede concordataria la somma di euro 827.686,23.
CONSIDERATO CHE:
1. Preliminarmente va osservato che quanto dichiarato dal difensore dei ricorrenti, in ordine alla sopravvenuta estinzione della società e alla mancata conferma del mandato difensivo da parte dell’unico socio della E. srl, non determina alcuna conseguenza sul presente giudizio.
2. Questa soluzione si impone non solo alla luce dei principi generali, non applicandosi l’interruzione processuale nel giudizio dinanzi alla Corte di Cassazione (dominato dall’impulso d’ufficio, Cass. n. 27143/2017). e valendo il principio di ultrattività dei mandato, ma anche in forza di quanto stabilito dall’art. 28 comma 4 del d.lgs. n. 175 del 2014, entrato in vigore il 13 dicembre 2014.
Secondo questa normativa l’effetto estintivo della società (di persone o di capitali), qualora derivi da una cancellazione dal registro delle imprese disposta su richiesta, come nel presente caso, è differito per cinque anni, decorrenti dalla richiesta di cancellazione, con differimento limitato al settore tributario e contributivo («ai soli fini»), nel senso che l’estinzione intervenuta durante tale periodo non fa venir meno l’«efficacia» degli atti di liquidazione, di accertamento, contenzioso e di riscossione relativi a tributi e contributi, sanzioni e interessi, intendendosi per «atti di (… ) contenzioso» gli atti del processo tributario (Cass. n. 6743 del 2015 non massimata), cioè gli atti processuali afferenti a giudizi concernenti tributi e contributi, sanzioni e interessi (Cass. n. 4536 del 2020)
Si tratta di una «disposizione di natura sostanziale sulla capacità della società cancellata dal registro delle imprese» (Cass. n. 4536 del 2020) che pone una fictio iuris di sopravvivenza della società avente portata generale, nel senso che per la durata di un quinquennio è impedito, nei confronti dell’Erario, il verificarsi degli effetti tipici dell’estinzione della società per sopravvenuta cancellazione della stessa dal registro delle imprese, tra cui la perdita della capacità di stare in giudizio, l’interruzione del processo nei termini di cui agli art. 299 ss. c.p.c. e la successione dei soci ai sensi dell’art. 110 c.p.c. (Cass. sez. U. n. 6070 del 2013, v. anche Cass. n. 2916 del 2018, non massimata).
La generale e sostanziale rilevanza della disposizione determina l’inefficacia, nell’ambito del contenzioso in corso con l’Erario, di ogni atto o fatto derivante dall’estinzione della società.
3. L’esecuzione del concordato preventivo della società, con soddisfacimento anche dei crediti dell’Agenzia delle Entrate, non influisce sul presente giudizio in quanto, secondo quanto risulta dalle informazioni pervenute, il concordato preventivo proposto non prevedeva la transazione fiscale di cui all’art. 182-ter, comma 5, l.f., vigente ratione temporis, con la conseguenza che la chiusura della procedura di concordato ai sensi dell’articolo 181 l.f. non determina la cessazione della materia del contendere nelle liti aventi ad oggetto i tributi (Cfr. Cass. n. 22931e n. 22932 del 2011) e non pregiudica la prosecuzione dei giudizi pendenti tra i creditori e l’impresa in crisi secondo la disciplina generale dei crediti contestati nel concordato preventivo (v. art. 176 l.f.).
4. Passando ai motivi di ricorso, con il primo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360 comma 1 nn.3) e 5) c.p.c. l’incongruità e la carenza di motivazione nonchè la violazione e falsa applicazione di norme di legge (art. 39 comma 1 d) d.P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 54 d.P.R. n. 633 del 1972 e degli art. 2727 – 2729 e.e.), in relazione al ragionamento presuntivo.
Secondo le ricorrenti, non potevano costituire presunzioni gravi, precise e concordanti nè la stipula di contratti di mutuo per importi superiori ai prezzi dichiarati nei rogiti (essendo notorio che, in quegli anni, le somme date a mutuo venivano utilizzati spesso per coprire altre spese) nè la mancata registrazione dei contratti preliminari (che costituisce una mera facoltà) nè la differenza di prezzi tra appartamenti posti nello stesso piano (che potevano essere differenti come finiture e il cui prezzo era il frutto di trattative individuali svolte nell’arco di molti anni, dal 2001 al 2006) nè, infine, le dichiarazioni degli acquirenti (mancanti delle generalità dei dichiaranti, delle operazioni a cui le dichiarazioni si riferivano e rese in forma standardizzata).
Il Giudice d’appello, proseguono le ricorrenti, aveva omesso qualsiasi motivazione in ordine alla gravità, precisione e concordanza delle presunzioni poste a base dell’avviso di accertamento.
4.1 La questione è inammissibile sub 360 comma 1 n. 5 c.p.c., nuova formulazione (applicabile essendo stata la sentenza di appello pubblicata il 23 dicembre 2014). trattandosi di c.d. «doppia conforme», di cui all’art. 348 ter cod. proc. civ. (applicabile ratione temporis poiché il gravame è stato proposto il 29 marzo 2013).
In particolare, la doglianza è inammissibile in quanto contravviene al principio, condiviso dal Collegio, secondo cui nell’ipotesi, come quella che ci occupa, di «doppia conforme» prevista dal quinto comma dell’art. 348 ter cod. proc. civ., applicabile anche nel giudizio di legittimità in materia tributaria, ovvero al ricorso avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale (cfr. Cass., Sez. U., n. 8053 del 2014), il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui al n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ., deve indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. n. 5528 del 2014; n. 26774 del 2016); adempimento che le ricorrenti, nel caso di specie, non hanno svolto, emergendo comunque dal contenuto del ricorso che sono sostanzialmente identiche le questioni di fatto esaminate da entrambe le Commissioni.
4.2 La questione è’ infondata, poi, con riguardo alla violazione o falsa applicazione di legge.
Le doglianze delle ricorrenti non seguono il modello legale di ragionamento inferenziale limitandosi a considerare il singolo elemento, per svalutarne il rilievo indiziario, trascurando che il ragionamento presuntivo, una volta individuati gli elementi che presentano i caratteri della precisione e della gravità, si fonda su una valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi per accertare se siano concordanti tra loro e in grado di fornire una valida prova presuntiva (Cass. n. 18021 del 2009).
Nel caso di specie la CTR ha reputato la legittimità dell’accertamento sulla base proprio di una pluralità di elementi di fatto, puntualmente indicati, ritenendo sussistenti i requisiti di gravità, prec1s1one e concordanza secondo un giudizio di merito non sindacabile in sede di legittimità se logicamente e congruamente motivato (ex plurfmis, Cass., 22/05/2002, n. 7487, 20/04/2007, n. 9402).
Il Giudice d’appello ha fatto riferimento agli elementi riportati negli avvisi impugnati, consistenti non solo nei valori OMI ma anche in «tabelle di analisi dei valori delle compravendite e dei prezzi a mq di immobili simili posti allo stesso piano», a cui si sono aggiunte le dichiarazioni rese dai terzi acquirenti che hanno rivelato «discrepanze significative fra contratto preliminare (non registrato) e contratto definitivo, importi maggiori di mutuo rispetto agli importi dichiarati nel rogito, assenza di opere aggiuntive o extracapitolato, operazioni e pagamenti in contanti».
5. Con il secondo motivo si deduce violazione falsa applicazione degli art. 39, 40, 42 commi 1 e 2 P.R. n, 600 del 1973, art. 85 d.P.R. n. 917 del 1986, art. 56 d.P.R. n. 633 del 1973, art. 7 comma 1 l. n. 212 del 2000, in relazione agli art. 360 comma 1 nn. 3 e 5 e art. 24 Cost., perchè si erano ritenuti legittimi gli avvisi di accertamento che erano invece affetti da nullità assoluta e insanabile (art. 56 d.P.R. n. 633 del 1972 e art. 42 d.P.R. n. 600 del 1973), sollevata sin dal primo grado di giudizio, perchè fondati su dichiarazioni rese da terzi non allegate nè riprodotte nel loro contenuto ma riportate soltanto per stralcio, che, però, non permetteva nè l’individuazione delle parti dichiaranti, nè l’identificazione dell’immobile, nè la quantificazione della somma asseritamente pagata «in nero».
Questo vizio di motivazione, secondo i ricorrenti, non poteva considerarsi sanato dalla parziale e incompleta produzione dei verbali in appello, come contraddittoriamente ritenuto dalla CTR che, da un lato, aveva ritenuto che la mancata allegazione di quelle dichiarazioni agli avvisi non inficiasse la loro validità, come se quelle dichiarazioni fossero irrilevanti, ma, dall’altro, aveva ritenuto che l’avvenuta produzione in appello corroborasse la motivazione.
5.1 Il motivo è infondato.
Nel processo tributario, le dichiarazioni rese da un terzo possono essere inserite, anche per riassunto, nel processo verbale di constatazione e recepite nell’avviso di accertamento; esse hanno valore indiziario e possono assurgere a fonte di prova presuntiva, concorrendo a formare il convincimento del giudice anche se non rese in contraddittorio con il contribuente, senza necessità di ulteriori indagini da parte dell’Ufficio (Cass. n. 9316 del 2020).
Il loro valore probatorio risulta di regola apprezzabile solo nell’ambito di un ragionamento inferenziale che ne faccia materia di ponderazione nel concorso di ulteriori elementi di giudizio, a meno che non diano esse stesse vita, per qualità e quantità di indicazioni significative, ad un quadro circostanziale sussumibile per gravità, precisione e concordanza nello schema della prova presuntiva (Cass. n. 9402 del 2007).
Tanto premesso, non ricorre nullità degli avvisi di accertamento, che avevano riportato la parte essenziale di quelle dichiarazioni, e non sussiste neppure lesione del contraddittorio processuale perchè le dichiarazioni sono state poi prodotte nel giudizio: si veda, in proposito, la sentenza impugnata, ove si osserva che «La CTR ha adottato ordinanza .. a seguito della quale l’Ufficio ha prodotto i verbali di contraddittorio con gli acquirenti» pag. 2; la contribuente, poi, ha potuto spiegare il suo diritto di difesa (come asseverato dalla stessa sentenza, «La produzione di detti verbali ha poi consentito un ampio dispiegamento del contraddittorio», pag. 3).
Quanto alla mancata produzione della documentazione bancaria, dei contratti di mutuo e dei contratti preliminari che sostenevano le dichiarazioni degli acquirenti, la società era in grado di produrre, come già osservato dalla CTR, almeno quei documenti nella sua disponibilità (p. es., preliminari di cui erano parte); per il resto, non vengono mosse contestazioni specifiche contro quelle dichiarazioni che il Giudice d’appello, con valutazione logicamente e congruamente motivata, ha ritenuto idonee a corroborare la presunzione legittimante il ricalcolo dei ricavi in concorso con gli altri elementi enunciati negli avvisi, che la CTR ha ritenuto, comunque, già sufficientemente motivati (v. in particolare pagg. 4 e 5).
6. Con il terzo motivo deducono omessa e/o insufficiente e/o illogica motivazione ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c. in ordine alla congruità dei criteri di ricalcolo del reddito nonchè violazione di legge ai sensi dell’art. 360 comma 1 3 c.p.c. in relazione agli artt. 14, 54 d.P.R. n. 633 del 1972, artt. 9 d.P.R. 917 del 1986, 39 comma 1 d.P.R. n. 600 del 1973, art. 53 Cost. e art. 72 e 73 Direttiva n. 2006/112/CE, per aver ricalcolato i ricavi utilizzando il maggior valore per piano a metro quadro, così ricorrendo ad un valore massimo ipotetico anzichè ricorrere ad un valore medio ipotetico e ricorrendo ad un criterio di calcolo, quale quello di cui all’art. 35 comma 23 bis d.l. n. 223/2006, che non può più considerarsi applicabile a seguito delle abrogazioni introdotte dalla legge n. 88 del 2009.
6.1 Il motivo, quanto al profilo di doglianza ricondotto all’art. 360 n. 5 c.p.c., è inammissibile alla luce di quanto sopra esposto con riferimento alla «doppia conforme» (punto 4.1), ed è infondato quanto alla dedotta violazione di legge.
6.2 La legge n. 88 del 2009 ha ricostituito il quadro normativo precedente al l. n. 223/2006, in base al quale l’esistenza di attività non dichiarate può essere desunta «anche sulla base di presunzioni semplici, purché queste siano gravi, precise e concordanti» (Cass. n. 16957 del 2021). Ne consegue, tra l’altro, che l’accertamento di un maggior reddito derivante dalla cessione di beni immobili non può essere fondato soltanto sulla sussistenza di uno scostamento tra il corrispettivo dichiarato nell’atto di compravendita ed il valore normale del bene quale risulta dalle quotazioni OMI, ma richiede la sussistenza di ulteriori elementi indiziari gravi, precisi e concordanti (Cass. n. 11439 del 2018, Cass. n. 9474 del 2017; Cass. n. 26487 del 2016; Cass. n. 24054 del 2014).
Nell’ambito di questa indagine non è impedita la considerazione del valore del mutuo, che nel caso di specie viene in rilievo non come presunzione legale desunta dall’art. 35 comma 23 bis cit. ma come indizio da considerarsi unitamente agli altri elementi.
7. Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato.
Considerate le particolarità legata alle vicende, anche concorsuali, della E. srl, sussistono i presupposti per la compensazione delle spese.
Deve darsi atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del d.P.R. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte delle ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello da corrispondere per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13 se dovuto.
p.q.m.
rigetta il ricorso; compensa le spese;
ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del d.P.R. 115 del 2002, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello da corrispondere per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13 se dovuto.