Corte di Cassazione sentenza n. 17498 depositata il 31 maggio 2022
consolidato fiscale – natura ed effetti della comunicazione dell’opzione
Rilevato che:
Il 26 maggio 2009 l’Agenzia delle Entrate notificò ad A.G. s.p.a. un avviso di accertamento per IRES ed altre imposte relative all’anno 2006 con il quale contestava a detta società che – pur avendo compilato il quadro GN relativo alla determinazione del reddito complessivo ai fini del consolidamento, in qualità di consolidata, indicando il reddito di impresa da imputare alla consolidante aveva omesso di presentare la comunicazione prevista dall’art. 119, comma 1, lett. d), d.P.R. 22/12/1986, n. 917 (di seguito, t.u.i.r.); pertanto, l’adesione al regime del consolidamento doveva ritenersi priva di efficacia.
Respinta dalla C.T.P. l’impugnazione dell’avviso, la sentenza fu integralmente riformata dalla C.T.R., che accolse l’appello proposto dalla società contribuente.
Secondo i giudici d’appello, l’omesso invio della comunicazione di cui all’art. 119 t. u.i.r. non rendeva inefficace l’operatività del consolidato, poiché, contrariamente a quanto accadeva con riferimento ad altre fattispecie, la norma in questione non poneva la comunicazione come condizione per l’applicazione del detto regime.
Si trattava, invece, di adempimento avente natura meramente formale, come traspariva dalla disposizione di cui all’art. 2 del d.l. marzo 2012, n. 16, che prevede al riguardo, nei casi (analoghi al presente) in cui il contribuente possieda requisiti sostanziali, il versamento di una sanzione.
L’Agenzia delle Entrate ha impugnato detta sentenza con ricorso per cassazione affidato a due motivi; l’intimata ha depositato controricorso, illustrato da successiva memoria, con il quale, fra l’altro, ha chiesto alla Corte di sollevare questione di legittimità dell’art. 119 t.u.i.r. in relazione agli artt. 3, 23, 53, 76, 77 e 97 Cost.
Considerato che:
il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 119 t.u.i.r., 2 d.l. n. 16/2012 e 2 d.P.R. 10/11/1997, n. 442;
secondo la ricorrente, la sentenza d’appello ha errato nell’attribuire mero rilievo formale alla comunicazione, che l’art. 119 t.u.i.r., alla lett. d), prevede invece fra le condizioni cui è subordinata l’efficacia dell’opzione per la tassazione di gruppo, disponendo espressamente che l’avvenuto esercizio congiunto dell’opzione «deve» essere comunicato nel termine indicato; la delicatezza e la complessità di siffatto meccanismo, destinato ad operare in ambiti contraddistinti da notevole rilievo fiscale, rende infatti necessario che il collegamento fra le imprese contribuenti sia esplicitato in modo inequivocabile, escludendo il ricorso a comportamenti concludenti, contrariamente a quanto previsto dall’art. 2 del d.P.R. n. 442/1997; né, infine, giova il richiamo al d.l. n. 16/2012, che fa salvo il rispetto delle condizioni sostanziali nei regimi particolari di imposta purché la violazione formale non sia stata contestata, come invece è accaduto nel caso di specie;
il secondo motivo denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 67 del d.P.R. 29/09/1973, n. 600;
la ricorrente censura la sentenza impugnata anche nella parte in cui essa finisce per porre a carico dell’Ufficio l’ipotesi di doppia imposizione, che si verifichi laddove l’opzione della controllata sia ritenuta inefficace per mancata comunicazione, evidenziando che tale evenienza costituisce, al più, valida ragione perché la controllante agisca per il rimborso di quanto versato in eccesso;
la prima censura è fondata;
circa il regime fiscale consolidato e le modalità di comunicazione della relativa opzione, questa Corte ha recentemente affermato (cfr. Cass. n. 244/2021; Cass. n. 5647/2020) che in base al tenore letterale dell’art. 119 t.u.i.r. e dell’art. 5, comma 2, del d.m. 09/06/2004 – a mente del quale l’operazione si considera perfezionata se comunicata dalla controllata all’Agenzia delle entrate entro il termine previsto dal ridetto art. 119, comma 1, lettera d) – è dato ritenere che l’invio della comunicazione con la quale si esercita l’opzione per il regime della tassazione di gruppo costituisca condizione essenziale per l’ammissione ai relativi benefici, proprio perché diretta ad esprimere la scelta sul regime di tassazione da adottare;
inoltre, poiché tale lo scopo di tale comunicazione è l’espressione della volontà di assumere un regime impositivo in deroga a quello ordinario, ove la stessa non sia effettuata nei termini e con le modalità previste, l’effetto costitutivo del diverso regime fiscale non può configurarsi né tra le parti, né nei confronti dell’amministrazione finanziaria; trattandosi, infatti, di regime che comporta benefici per il contribuente, esso è consentito soltanto nei casi previsti ed alle condizioni stabilite dal legislatore, sicché non può trovare applicazione l’art. 1 del d.P.R. n. 442/1997 che, nell’attribuire rilevanza ai comportamenti concludenti del contribuente, si riferisce soltanto ai regimi di determinazione delle imposte o ai regimi contabili, e non con riguardo alle modalità di pagamento delle imposte (v., in tal senso, anche Cass. n. 31061/2018);
in coerenza con tale impostazione, si deve allora ritenere che la comunicazione in questione, pertanto, non ha carattere meramente formale (ciò che ne consentirebbe il superamento a mezzo di un comportamento concludente), bensì sostanziale; dimodoché alla stessa deve attribuirsi natura di condizione per l’operatività della fattispecie, insieme alle altre previste dalla disciplina di riferimento;
a tale ultimo riguardo, peraltro, le richiamate decisioni hanno evidenziato che proprio la sequenza procedimentale cadenzata dall’art. 119 t.u.i.r. attraverso il verificarsi di una serie determinata di condizioni, cui è subordinata l’efficacia dell’opzione, è “chiaramente espressione di un regime speciale di tassazione dei gruppi societari che richiede una manifestazione di volontà all’adesione univoca e tempestiva […] in quanto ne scaturiscono benefici fiscali per le società del gruppo che vi aderiscono” (v. Cass. n. 244/2021);
quanto, infine, alla questione di legittimità costituzionale dell’art. 119 t. u.i.r., che la controricorrente ha sollecitato a questa Corte, si deve osservare che:
– non sussiste alcun contrasto fra la norma in parola e i principi contenuti nella legge delega (l. 07/04/2003, n. 80) e segnatamente a quelli indicati ai punti a), c), f), i), m) della delega (vedi pag. 4 del ricorso), in quanto il meccanismo tracciato dagli artt. 119 e 129 t.u.i.r. e 5, comma 2, d.m. 09/06/2004 determina l’applicazione di un regime fiscale alternativo in base ad una volontà che il contribuente deve esprimere in forma tipizzata per esigenze di ordinato svolgimento dell’azione di finanza, senza alcun obbligo sovrabbondante rispetto ai richiamati parametri;
– ancora, non sussiste l’affermato contrasto con gli 3, 23 e 53 Cost.; al riguardo, infatti, occorre ribadire il principio, più volte affermato dalla giurisprudenza costituzionale (per tutte v. Corte costituzionale, sentenza n. 375 del 2002), secondo il quale la polisistemicità dell’ordinamento tributario e l’esigenza di garantire un regolare funzionamento degli uffici tributari consentono al legislatore di adattare in modo differenziato ai vari tributi istituti comuni; tra tali ultimi, ben può rientrare l’apposizione di condizioni per l’efficacia di un determinato regime impositivo;
– infine, la rimarcata conformità della previsione alla creazione di una sequenza procedimentale preordinata all’efficacia dell’opzione per il regime impositivo derogatorio esclude ogni possibile profilo di contrasto con l’art. 97 Cost.;
in conclusione, la sentenza impugnata va cassata in accoglimento del primo motivo di ricorso, con assorbimento del restante;
non occorrendo ulteriori accertamenti, la causa può essere decisa nel merito con rigetto dell’originaria pretesa della contribuente;
le spese della fase di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo, mentre quelle della fase di merito possono essere integralmente compensate; non trova applicazione l’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 30/05/2002, n. 115.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il restante; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso originario della contribuente e condanna la controricorrente al pagamento, in favore della ricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.600,00, oltre a spese prenotate a debito. Compensa quelle di merito
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