CORTE di CASSAZIONE – Sentenza n. 17993 depositata il 22 giugno 2023
Licenziamento illegittimo – Permessi ex Legge n. 104/1992 – Variazione del luogo dell’assistenza – Presunto abuso del diritto – Accertamento – Sproporzione sanzione – Reintegrazione nel posto di lavoro – Pagamento indennità risarcitoria
Fatti di causa
1. La Corte di appello di Potenza in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Matera, nel resto confermata, ha ordinato la reintegrazione di G.D. nel posto di lavoro in precedenza occupato ed ha condannato P.I. s.p.a. al pagamento di una indennità risarcitoria quantificata in dodici mensilità di retribuzione oltre al versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali.
1.1. Il giudice di secondo grado ha confermato la sentenza nella parte in cui aveva ritenuto insussistente il fatto addebitato al lavoratore e posto a base del licenziamento ritenuto illegittimo il licenziamento intimato da Poste per avere il D., nei giorni 10, 11 e 13 marzo 2017 in cui si era assentato usufruendo di permessi ai sensi della legge n. 104 del 1992 concessi per prestare assistenza all’anziana madre, atteso a sue esigenze personali.
1.2. La Corte territoriale ha accertato che la circostanza allegata dal lavoratore (di aver assistito la madre nel proprio domicilio dove l’aveva portata il giorno precedente alla fruizione dei permessi) non era risultata smentita dalle prove raccolte dalle quali era emerso, compatibilmente con le allegazioni del lavoratore, che nei giorni di permesso questi non si era sostanzialmente allontanato dalla sua abitazione se non per effettuare acquisti di prima necessità e per accompagnare la moglie presso l’abitazione della figlia facendo subito rientro a casa dove era risultato trattenersi per tutto il periodo di “controllo statico”.
1.3. Una volta accertata l’insussistenza del fatto addebitato al lavoratore, la Corte di merito ha conseguentemente applicato la tutela prevista dall’art. 18 comma 4 della legge n.300 del 1970.
2. P.I. s.p.a. ha proposto tempestivo ricorso per la cassazione della sentenza che ha affidato a quattro motivi. G.D. ha resistito con tempestivo controricorso. Il Procuratore generale ha formulato conclusioni scritte chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile.
Ragioni della decisione
3. Con il primo motivo di ricorso è denunciata la violazione falsa applicazione dell’art. 33 della legge n. 104 del 1992 e si deduce che il licenziamento era stato irrogato per avere in lavoratore violato la citata norma ed abusato del diritto fruendo indebitamente dei permessi. La ricorrente nel rammentare che l’art. 33 della legge n. 104 del 1992 presuppone che il lavoratore presenti all’INPS una domanda che deve contenere specifiche dichiarazioni circa la concreta esistenza dei presupposti richiesti dalla norma e deve indicare tra l’altro i dati anagrafici del beneficiario ed il luogo di residenza dove viene prestata l’assistenza.
3.1. Osserva che si tratta di dati autocertificati dal lavoratore che sono posti a base dell’erogazione del beneficio e che questi, perciò, resta vincolato alla sua dichiarazione ed i dati dichiarati devono permanere al momento della fruizione, oltre ad essere veridici, ponendo così sia il datore di lavoro che l’Inps nella condizione di poterli verificare.
3.2. Rileva che, così come la mancata comunicazione dei dati comporta la non accettazione della domanda, alla mancata comunicazione della variazione dei dati autocertificati entro 30 giorni dalla variazione consegue l’illegittima fruizione del beneficio. Pertanto, nella specie, il lavoratore che aveva utilizzato i permessi senza comunicare la variazione di residenza della beneficiaria era incorso nella violazione contestatagli atteso che i controlli erano stati eseguiti dal datore di lavoro proprio all’indirizzo dichiarato, dove il lavoratore era risultato assente, e in tale contesto non aveva rilievo il fatto che l’assistenza fosse stata comunque prestata in quanto la condotta sanzionata con il licenziamento era integrata dal fatto che il lavoratore aveva prestato assistenza alla madre ma non nel luogo indicato nella domanda e non aveva comunicato all’INPS la variazione di residenza.
4. Con il secondo motivo di ricorso è denunciata la violazione e falsa applicazione degli articoli 2104 2105 2106 2119 c.c. in combinato disposto con l’articolo 54 comma 6 lett. k) del c.c.n.l. di P.I. s.p.a. del 14.4.2011.
4.1. Deduce la ricorrente che, in aperto contrasto con le norme richiamate, la Corte di appello avrebbe ritenuto che la mancata comunicazione all’Inps e al datore di lavoro della variazione di residenza del beneficiario dell’assistenza non integrasse una giusta causa di licenziamento.
4.2. Rammenta che l’articolo 54 comma 6 lett. K) citato prevede il licenziamento per fatti o atti dolosi anche nei confronti di terzi compiuti in connessione con il rapporto di lavoro di gravità tale da non consentire la prosecuzione del rapporto stesso.
4.3. Sostiene che il ricorrente, il quale aveva trascurato di comunicare al datore di lavoro l’indirizzo dove avrebbe prestato assistenza al beneficiario dell’assistenza, aveva volontariamente violato la normativa che disciplina la fruizione dei benefici previsti dalla legge n. 104 del 1992 oltre che il codice etico della società che impone ai dipendenti di improntare il proprio comportamento a principi di onestà, correttezza e trasparenza. In tal modo sarebbe incorso in una violazione punibile, per la sua gravità, con il licenziamento in quanto la condotta tenuta si porrebbe in insanabile contrasto con la funzione stessa dell’attività lavorativa e con gli obblighi di buona fede che incombono sul lavoratore.
5. Con il terzo motivo di ricorso si deduce l’inesistenza della motivazione e l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che era stato oggetto di discussione tra le parti ai sensi dell’art. 360 primo comma n. 5 c.p.c.
5.1. Ad avviso della società ricorrente la Corte territoriale erroneamente avrebbe ritenuto che al lavoratore fosse stata contestata solo la mancata assistenza alla madre e non invece, anche, la violazione dell’articolo 33 della legge n. 104 del 1992, per non aver prestato assistenza alla beneficiaria nei giorni di permesso e nel luogo indicato.
5.2. Deduce che la mancata comunicazione del mutamento del luogo in cui viene prestata l’assistenza è un fatto storico che era stato introdotto nel giudizio e che aveva portata decisiva poiché attiene agli obblighi connessi al corretto godimento del permesso.
6. Con il quarto motivo di ricorso è denunciata la violazione e falsa applicazione dell’articolo 18 commi 4 e 5 della legge n. 300 del 1970, nel testo modificato dalla legge 92 del 2012 e ratione temporis applicabile alla fattispecie.
6.1. In estrema sintesi la ricorrente sostiene che il fatto contestato al lavoratore non era inesistente. Questo semmai era connotato da una minore gravità e dunque poteva essere sanzionato solo con la tutela indennitaria forte, ex art. 18 comma 5, e non come ritenuto dal giudice di appello con la reintegrazione nel posto di lavoro ai sensi del comma 4 della citata norma.
7. Il ricorso non può essere accolto.
7.1. Occorre premettere che dagli atti risulta che al lavoratore è stato contestato di aver utilizzato i permessi per finalità diverse dall’assistenza alla madre per la quale era stato autorizzato a beneficiare della legge n. 104 del 1992.
7.2. Tale fatto è stato escluso dalla Corte di Appello che ha ritenuto provata la presenza della madre del lavoratore al domicilio dello stesso e la concreta presenza a casa del lavoratore durante la giornata, con brevissimi intervalli connessi a necessità impellenti e limitate nel tempo.
7.3. La questione della rilevanza disciplinare della mancata comunicazione della variazione del luogo dell’assistenza non risulta essere stata affatto trattata dalla Corte di merito che si è limitata ad accertare che non vi erano elementi per ritenere che non fosse vera l’allegata modifica temporanea del luogo di assistenza e che, del pari, una volta ritenuta accertata la presenza dell’invalida nel domicilio del lavoratore, questi era ivi rimasto allontanandosene solo per soddisfare esigenze indifferibili sicché non poteva dirsi che si fosse sottratto agli obblighi di assistenza.
7.4. È il Tribunale che, in sede di opposizione, ha confermo l’illegittimità del recesso ed applicato la tutela indennitaria in luogo della reintegra disposta in sede sommaria, sul rilievo che rispetto alla condotta accertata la sanzione del licenziamento era sproporzionata sicché il licenziamento era comunque illegittimo. Nell’individuare la tutela applicabile, quindi, ha ritenuto che il fatto accertato non fosse riconducibile alla fattispecie prevista dall’art. 54 n.VI lett. c) del c.c.n.l., punita con sanzione conservativa, e conseguentemente ha ritenuto di dover disporre la risoluzione del rapporto di lavoro e condannare la società al pagamento dell’indennità risarcitoria ai sensi del quinto comma dell’art. 18 novellato.
7.5. Su questa statuizione interviene la Corte di Appello che, da un canto è stata sollecitata, con il reclamo incidentale, a verificare l’esistenza di una giusta causa di licenziamento, e l’ha esclusa. Dall’altra è stata investita dell’applicabilità alla fattispecie della tutela reintegratoria c.d. debole dal lavoratore, reclamante in via principale, ed ha accolto la richiesta ritenendo che la condotta contestata e poi accertata fosse del tutto priva di rilevanza disciplinare e, per conseguenza ha applicato la tutela maggiore prevista dal quarto comma dell’art. 18.
7.6. Nel pervenire a tale convincimento il giudice di appello ha verificato che al lavoratore era stato contestato, in maniera molto dettagliata, che nei giorni di permesso non aveva prestato assistenza all’invalida e che invece non risultava affatto che gli fosse stato contestato, neppure implicitamente, di non aver comunicato la variazione del luogo di assistenza.
7.7. Va rilevato al riguardo che, l’art. 33 della legge n. 104 del 1992 sul quale si fonda l’addebito disciplinare non prevede affatto che il lavoratore debba comunicare il luogo in cui sarà effettuata l’assistenza.
8. Osserva allora il Collegio che, se non v’è dubbio che la mancata comunicazione della modifica pur temporanea del luogo in cui si trova l’invalido ed è prestata l’assistenza costituisce condotta che viola la correttezza nell’esecuzione della prestazione e nell’adempimento degli obblighi di contorno, tuttavia si tratta di condotta che avrebbe potuto e dovuto essere specificatamente contestata al lavoratore anche per consentirgli di apprestare specifiche difese al riguardo.
8.1. Solo in esito ad una rituale contestazione la condotta avrebbe potuto essere valutata nella sua possibile gravità oltre che nella eventuale riconducibilità ad un comportamento abusivo in violazione dei doveri di correttezza e buona fede nell’esecuzione del rapporto.
8.2. Posto allora che vi è stato un accertamento di fatto che ha escluso in concreto che il lavoratore avesse utilizzato i permessi per finalità diverse dall’assistere la madre (unica condotta ritualmente contestata), ritiene il Collegio che le conclusioni alle quali è pervenuta la Corte di merito non possano che essere condivise in diritto.
8.3. Ed infatti può costituire giusta causa di licenziamento l’utilizzo, da parte del lavoratore che fruisca di permessi ex lege n. 104 del 1992, in attività diverse dall’assistenza al familiare disabile, con violazione della finalità per la quale il beneficio è concesso (Cass. n. 4984 del 2014; Cass. n. 8784 del 2015; Cass. n. 5574 del 2016; Cass. n. 9749 del 2016; ancora di recente: Cass. n. 23891 del 2018 e Cass. n. 8310 del 2019) e, in coerenza con la ratio del beneficio, l’assenza dal lavoro per la fruizione del permesso deve porsi in relazione diretta con l’esigenza per il cui soddisfacimento il diritto stesso è riconosciuto, ossia l’assistenza al disabile.
8.4. Certo la norma non consente al lavoratore di utilizzare il permesso per esigenze diverse da quelle proprie della funzione cui è preordinata atteso che il beneficio comporta un sacrificio organizzativo per il datore di lavoro, giustificabile solo in presenza di esigenze riconosciute dal legislatore (e dalla coscienza sociale) come meritevoli di superiore tutela. Pertanto, ove il nesso causale tra assenza dal lavoro ed assistenza al disabile manchi del tutto non può riconoscersi un uso del diritto coerente con la sua funzione e dunque si è in presenza di un uso improprio ovvero di un abuso del diritto (cfr. Cass. n. 17968 del 2016). In altra prospettiva la condotta può essere ricondotta ad una grave violazione dei doveri di correttezza e buona fede sia nei confronti del datore di lavoro (che sopporta modifiche organizzative per esigenze di ordine generale) che dell’ente assicurativo (anche ove non si volesse seguire la figura dell’abuso di diritto che comunque è stata integrata tra i principi della Carta dei Diritti dell’Unione Europea (art. 54), dimostrandosi così il suo crescente rilievo nella giurisprudenza europea (cfr. Cass. n. 9217 del 2016) (cfr. su questi principi più recentemente Cass. 20/08/2019 n. 21529).
8.5. La verifica in concreto – sulla base dell’accertamento in fatto effettuato dal giudice di appello della condotta tenuta dal lavoratore in costanza di beneficio – se l’esercizio sia avvenuto con modalità abusive difformi da quelle richieste dalla natura e dalla finalità per cui il congedo è consentito appartiene evidentemente alla competenza ed all’apprezzamento del giudice di merito (in termini: Cass. n. 509 del 2018 ed anche Cass. n. 29062 del 2017 e n. 30676 del 2018).
8.6. Va qui ribadito che il permesso ex art. 33 della l. n. 104 del 1992 è riconosciuto al lavoratore in ragione dell’assistenza al disabile, rispetto alla quale l’assenza dal lavoro deve porsi in relazione causale diretta, senza che il dato testuale e la “ratio” della norma ne consentano l’utilizzo in funzione meramente compensativa delle energie impiegate dal dipendente per la detta assistenza.
8.7. Ne consegue che il comportamento del dipendente che si avvalga di tale beneficio per attendere ad esigenze diverse integra l’abuso del diritto e viola i principi di correttezza e buona fede, sia nei confronti del datore di lavoro che dell’ente assicurativo, con rilevanza anche ai fini disciplinari (Cass. 13/09/2016 n. 17968).
8.8. Sono questi i principi che hanno governato l’apprezzamento della rilevanza disciplinare di una condotta per verificare se siano state eluse in concreto le norme dettate per il godimento dei permessi in questione e la Corte ha accertato che i premessi, al cui godimento il lavoratore era stato pacificamente autorizzato, erano stati effettivamente utilizzati per l’assistenza alla madre disabile, sebbene ne fosse stato temporaneamente modificato il luogo in cui l’assistenza era prestata. Ogni ulteriore sindacato circa la ricostruzione dei fatti ed il grado di sviamento della condotta concreta rispetto al legittimo esercizio del congedo, allora, è precluso in sede di legittimità, tanto più nel vigore dell’art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c. novellato, trattandosi di apprezzamento appartenente al dominio dei giudici del merito cui è istituzionalmente riservato.
8.9. Escluso il fatto oggetto dell’addebito contestato (un uso distorto del permesso) la mera mancata comunicazione del luogo dove sarebbe stata prestata l’assistenza ben può integrare una violazione degli obblighi di correttezza (tenuto conto del fatto che all’atto della ammissione ad usufruire del permesso ex legge n. 104 del 1992 occorre comunicare il luogo per consentire i controlli) ma si tratta di condotta diversa da quella che è stata in concreto addebitata al lavoratore nel caso in esame. Ne consegue che è preclusa la verifica di una sua rilevanza disciplinare nel caso specifico. Peraltro l’art. 33 della legge n. 104 del 1992, che disciplina i permessi in esame, non prevede alcun obbligo di comunicazione a carico del lavoratore che ne beneficia. L’indicazione del luogo in cui viene prestata l’assistenza attiene alla fase amministrativa di concessione del beneficio e non interferisce sull’obbligo, che qui rileva, di prestare effettivamente assistenza all’invalido. Ne consegue che, in tale situazione, non si può ravvisare un uso improprio o addirittura un abuso del diritto né tantomeno una grave violazione dei doveri di correttezza e buona fede nei confronti del datore di lavoro e dell’ente assicurativo. In conclusione essendo stato concretamente accertato dalla Corte di merito che l’assistenza all’invalida nei giorni di permesso era stata effettivamente prestata, la circostanza che il luogo fosse diverso non ha rilievo decisivo e non configura, di per sé, un abuso del diritto al permesso concesso, va ribadito, per l’assistenza all’invalida.
8.10. Da quanto fin qui esposto consegue che, una volta circoscritto l’ambito dell’addebito disciplinare contestato alla dedotta mancata prestazione dell’assistenza durante i permessi concessi ai sensi dell’art. 33 della legge n. 104 (che come detto invece è risultata regolarmente effettuata con accertamento di fatto non più censurabile) la tutela da applicare non può che essere quella di cui all’art. 18 comma 4 dello Statuto stante l’insussistenza del fatto che è stato contestato al lavoratore.
11. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato. Quanto alle spese queste seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art.13 comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio che si liquidano in € 5500,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi, 15% per spese forfetarie oltre agli accessori dovuti per legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art.13 comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto.
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