Corte di Cassazione sentenza n. 18137 depositata il 6 giugno 2022
TARSU – esenzione edifici di culto
FATTI DI CAUSA
La Associazione, con separati ricorsi, ha impugnato le cartelle di pagamento relative alla Tarsu degli anni 2007 -2011 pretesa dal Comune, deducendo che i locali oggetto di tassazione sono adibiti al culto, ed in quanto tali beneficiano della esenzione prevista dal Regolamento comunale in materia di Tarsu.
I ricorsi sono stati accolti in primo grado.
Il Comune ha proposto due atti di appello (Tarsu 2007-2008 e Tarsu 2009-2001), che la Commissione tributaria regionale della Emilia Romagna con le sentenze oggi unitariamente impugnate, depositate in pari data e fondate sulle medesime motivazioni, ha accolto, rilevando che l’edificio è accatastato in categoria E/7 e pertanto non sussiste in capo alla associazione nessun obbligo di presentazione di una domanda di esenzione dal tributo; tuttavia correttamente il Comune ha limitato la propria pretesa tributaria ai locali accessori al luogo del culto pari a 55 mq, poiché il concetto di edificio destinato al culto non comprende anche il legame funzionale con di quei locali che pur accessori e pertinenziali all’edificio principale (la sala del Regno) sono autonomi strutturalmente come ad esempio l’atrio, il retro e i servizi igienici; si tratta quindi di locali
non strettamente connessi alla attività di culto incompatibili con lo svolgimento di qualsiasi attività religiosa.
Avverso le predette sentenze l’Associazione ha proposto ricorso per cassazione affidandosi a quattro motivi.
Si è costituito il Comune con controricorso. L’Associazione alla pubblica udienza del 26 aprile 2022 ha discusso la causa. Il Procuratore generale ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.- Con il primo motivo del ricorso si lamenta ai sensi dell’art 360 n. 4 c.p.c. la violazione dell’art. 36 comma 2 n. 4 del D.lgs. n. 546 del 1992 e la nullità della sentenza per mancanza di motivazione e comunque per motivazione apparente e incoerente.
La ricorrente lamenta che la motivazione resa dei giudici d’appello è intrinsecamente contraddittoria perché dopo aver dato atto che l’immobile è accatastato in categoria E/7 (edifici destinati al culto) e pur dando atto che non vi è prova che il Comune abbia effettuato verifiche o rilevazioni dirette in loco, ma solo su planimetrie catastali, ha poi escluso dalla esenzione fiscale una superficie pari a 55 m quadri considerandoli locali non destinati al culto. Ciò è intrinsecamente contraddittorio, in quanto l’intero edificio è destinato esclusivamente per il culto come è dimostrato dall’accatastamento in E/7.
2.- Con il secondo motivo del ricorso si lamenta ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c. la violazione e falsa applicazione dell’art. 62 del D.lgs. 507/1993 in combinato disposto con l’art. 5 del Regolamento per l’applicazione della Tarsu del Comune di Minerbio.
La ricorrente deduce che il Regolamento comunale prevede che sono esclusi gli edifici adibiti al culto e i locali strettamente connessi all’attività del culto stesso; pertanto il concetto di edificio di culto abbraccia l’intero immobile comprese le sue pertinenze. Infatti sono esclusi dalla tassazione non solo gli edifici e le loro parti adibiti al culto ma anche i locali strettamente connessi all’attività di culto. Pertanto è illegittimo ed immotivato l’assoggettamento a tassa di 55 mq dell’edificio, corrispondenti a “retroservizi”, considerando che che tutto l’immobile è classificato in E/7.
3.- Con il terzo motivo del ricorso si lamenta in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c. l’ omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia nella parte in cui non si è dato conto delle ragioni per cui i locali atrio, retro e servizi igienici siano da considerarsi autonomi strutturalmente e quindi tassabili pur in un edificio destinato al culto.
4.- Con il quarto motivo del ricorso si lamenta violazione e falsa applicazione degli articoli 9, 11 e 14 della Convenzione europea dei diritti dell’Uomo. La ricorrente deduce che la immotivata decisioni dei giudici di appello determinano una ingiustificata compressione dei diritti dell’Associazione, che aderisce alla Congregazione cristiana dei testimoni di Geova, dei diritti fondamentali in materia religiosa e costituiscono un trattamento discriminatorio, perché l’edificio destinato a esercizio di culto è improduttivo rifiuti.
5.- I motivi possono esaminarsi congiuntamente e sono infondati, pur se la motivazione resa dal giudice d’appello necessita di correzione.
L’art. 5 del Regolamento Tarsu del Comune di Minerbio e dispone che la Tarsu non si applica per “edifici e loro parti adibiti al culto nonché i locali strettamente connessi all’attività del culto stesso”.
La norma regolamentare in esame è una norma attuativa dell’art. 62 comma 2 del D.lgs. 507/1993 il quale dispone che: “Non sono soggetti alla tassa i locali e le aree che non possono produrre rifiuti o per la loro natura o per il particolare uso cui sono stabilmente destinati o perché risultino in obiettive condizioni di non utilizzabilità nel corso dell’anno, qualora tali circostanze siano indicate nella denuncia originaria o di variazione e debitamente riscontrate in base ad elementi obiettivi direttamente rilevabili o ad idonea documentazione”.
Si tratta quindi di una norma che specifica ed esemplifica quali locali, per l’uso cui sono destinati, sono esenti dalla Tarsu. La norma primaria a sua volta deve essere interpretata in armonia con il principio eurounitario “chi inquina paga” espresso nell’art. 15 della direttiva 2006/12/CE e nell’art. 14 della direttiva 2008/98/CE, cui si ispira l’art. 62 del D.lgs. 507/1993, sicché non potrebbe trovare spazio una norma regolamentare che esenti dal pagamento della Tarsu locali che sono invece idonei alla produzione dei rifiuti.
Per locali adibiti all’esercizio del culto, devono intendersi i locali che nei quali in concreto si esercita una pratica che può definirsi culto, nell’ambito di una confessione religiosa in cui fini non contrastano con i principi fondamentali dell’ordinamento nazionale.
6.- Ai fini della esenzione Tarsu, occorre accertare non solo che i locali appartengano ad una comunità religiosa, quale che sia il culto da essa esercitato purché non contrario ai principi fondamentali dell’ordinamento, ma anche che nei locali per i quali è richiesta l’esenzione la comunità si riunisca per esercitare il culto e non ad altri fini. Detta verifica deve eseguirsi in concreto e non in astratto e pertanto non è sufficiente la classificazione catastale dei locali come edifici destinati al culto, né si può presumere che tutti i locali così classificati siano effettivamente destinati al culto. Anche il Regolamento del Comune di Minerbio mette in evidenza la necessità della sussistenza del requisito in concreto, laddove parla di “edifici adibiti al culto” e non di edifici classificati come destinati al culto e di locali “strettamente connessi all’attività del culto stesso”.
La norma regolamentare, inoltre, deve essere interpretata in termini coerenti con la norma primaria, nonché con i principi posti dalla Direttive UE. E’ allora necessario che si accerti se effettivamente la parte contribuente abbia dichiarato che i locali sono destinati al culto nella denuncia originaria o in quella di variazione, e che tale effettiva destinazione sia stata debitamente riscontrata in base ad elementi obiettivi direttamente rilevabili o ad idonea documentazione; con la precisazione che la mancanza del primo di questi requisiti e cioè la denuncia o la variazione non è emendabile in giudizio, mentre in caso di contestazione lo è il secondo requisito e cioè la prova della effettiva destinazione dei locali (Cass. 2125/2017; Cass. 21011/2021; Cass. 14037/2019; Cass. 31460/2019).
Risulta dalle sentenze impugnate che in difetto di regolare denuncia da parte della Associazione, dal momento che la denuncia ex art 70 del D.lgs. 503/1997 era stata compilata da un soggetto non avente titolo e senza indicare la destinazione d’uso dei locali, il Comune ha proceduto ad accertare sulla base di rilievi planimetrici quali fossero i locali effettivamente adibiti al culto e tale accertamento è stato recepito dai giudici d’appello. Si tratta di un accertamento in fatto che in questa sede non può essere posto in discussione e che non può neppure essere contrastato in virtù del rilievo che l’intero edificio è accatastato in E/7, perché una interpretazione coerente con le Direttive europee impone di accertare se in concreto i locali sono adibiti ad un uso incompatibile con la produzione di rifiuti.
Ciò non interferisce in alcun modo con il diritto fondamentale al libero esercizio del culto, posto che non si vuole mettere in discussione la libertà religiosa, tutelata dalla nostra Costituzione nonché dalle norme sovranazionali e convenzionali, quanto ribadire il diverso principio che chi intende beneficiare di una esenzione fiscale deve offrire la prova della sussistenza dei suoi presupposti (Cass. 04/10/2017, n.23228); e in particolare per quanto attiene alla Tarsu, ribadire che chi richiede l’esenzione deve anche assolvere all’onere della preventiva specifica indicazione, in una regolare denuncia ai sensi degli art. 62 e 70 del D.lgs. 503/1997, di quali sono le superfici non tassabili.
La denuncia (o variazione) assolve infatti alla finalità di portare a conoscenza dell’ente impositore quali sono i locali occupati o detenuti e quelli per i quali sussistono- secondo il contribuente- i requisiti della esenzione, così da consentire all’ente di avere un quadro completo della produzione di rifiuti sul territorio, del soggetto responsabile, e di avviare gli opportuni controlli nonché di organizzare la gestione del servizio; al tempo stesso essa integra la dichiarazione della volontà di avvalersi del beneficio per i locali indicati come superficie non tassabile. Per queste ragioni, la sua carenza non è emendabile se non per il futuro, e cioè con riferimento agli anni di imposta non ancora scaduti, tramite la presentazione, nei termini previsti dall’art 70 del D.lgs. 507/1993, della denuncia o della variazione. Solo se il contribuente ha presentato la denuncia o la variazione, potrà integrare, in caso di contestazione, in via stragiudiziale ovvero anche in giudizio, la prova della effettiva destinazione dei locali.
7.- In sintesi, pur se si deve rettificare la motivazione delle sentenze impugnate nel senso sopra indicato, le decisioni meritano conferma, con il rigetto del ricorso.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso
Condanna la parte ricorrente alle spese del giudizio che liquida in euro 500,00 per compensi oltre euro 200,00 per spese non documentabili ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del DPR 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
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